«La mattina del 7 febbraio 1996 l’indio Sorino camminava nella foresta e cercare cibo per sé e per la moglie Helena. Figlio di un popolo primitivo, buon cacciatore e pescatore. Tornando a casa, un giaguaro lo assale alle spalle, lo azzanna alla testa e gli apre la calotta; ne esce il cervello. Cerca di rimanere in piedi e cerca di lanciargli delle frecce e riesce ad allontanarlo». Padre Michelangelo Piovano, missionario della Consolata, riferisce sul bollettino del santuario (aprile-giugno 2021) del presunto miracolo che potrebbe portare il beato Giuseppe Allamano alla canonizzazione.
Sorino è un giovane indio del popolo Yanomami, con i quali i Missionari e le Missionarie della Consolata da più di cinquant’anni lavorano, nel cuore della Foresta amazzonica, nella missione di Catrimani, nello stato di Roraima, nel nord del Brasile.
In quelle condizioni disperate l’indio riesce a ritornare alla sua «maloca, casa» dove è soccorso dalla mamma e dai parenti. Accorre la missionaria suor Felicita Muthoni Nyaga: «Impietrita e terrorizzata, non sa cosa fare, si fa coraggio e lava il capo di Sorino, cercando di sistemare il cervello e di rimettere a posto la calotta mezza divelta. Si sfila la maglietta per tamponare il sangue che continua a sgorgare». Sulla jeep lo portano alla missione: l’unica possibilità è trasportarlo all’ospedale della città con il piccolo aereo e tentare l’impossibile.
I capi indigeni «vogliono che rimanga perché, secondo le tradizioni, è nella foresta che deve morire. Suor Felicita non si dà per vinta: minacciata di morte, lo fa portare all’ospedale». Prima di prendere l’aereo l’indio le stringe forte la mano e con un filo di voce le sussurra: «Mamma, voglio vivere!». La suora corre in cappella e chiede a Dio che Sorino viva. Rammenta che è il 7 febbraio, primo giorno della novena in onore del beato Allamano: implora la salvezza per intercessione del fondatore.
Prosegue padre Piovano: «In sala operatoria il giovane neurochirurgo colombiano tenta l’impossibile. Per la fuoriuscita di parte del cervello teme che Sorino possa soffrire di convulsioni con problemi a parlare e a camminare. Anche le suore di Boa Vista, capitale dello Stato di Roraima, pregano per la guarigione. Suor Lisadele e suor Rosa Aurea lo assistono giorno e notte e mettono sotto il materasso una reliquia di Allamano. Le condizioni di Sorino peggiorano. Suor Lisadele lo battezza “in articulo mortis” con il nome di suo papà: Giuseppe».
Dubita di trovarlo ancora vivo. Invece lo trova seduto sul letto che mangia. Si riprende ma le condizioni restano gravi. «A poco a poco migliora e tre mesi dopo torna alla sua “maloca” e riprende la vita di cacciatore. Suore e missionari si convincono che qualcosa di straordinario è successo». A fine 1996 la rivista dell’Istituto racconta la «grazia ricevuta».
Dopo 25 anni, mentre a Roma si celebra il Sinodo dell’Amazzonia (ottobre 2019), decidono di cercare la documentazione e le testimonianze sul «presunto miracolo». Si forma la commissione: padre Giacomo Mazzotti (postulatore), suor Renata Conti (postulatrice), padre Michelangelo Piovano che ha lavorato molti anni in Brasile. Mons. Mario Antonio Da Silva, vescovo di Roraima, nel marzo 2021 celebra il processo diocesano sulla «guarigione miracolosa». Poi il caso passa a Roma «per arrivare, speriamo presto, alla canonizzazione del beato Allamano».
In sostanza, per Sorino Yanomami un «miracolo indigeno» per la canonizzazione del «santo delle missioni» che non si è mai mosso da Torino. La diocesi di Roraima è fortemente legata alla Consolata grazie al vescovo missionario casalese Aldo Mongiano, difensore dei popoli indigeni, in particolare degli Yanomani: muore il 16 aprile 2020 a 100 anni, 5 mesi e 15 giorni; 80 anni di vita religiosa; 76 di sacerdozio; 44 anni di episcopato, il vescovo più anziano del Brasile.
Giuseppe Allamano, figlio di una sorella di Giuseppe Cafasso, nasce a Castelnuovo d’Asti il 21 gennaio 1851: trascorre quattro anni all’oratorio Valdocco con don Bosco. Sacerdote dal 1873, si occupa della formazione nel Seminario Metropolitano. Nel 1880, nonostante la giovane età, è rettore del Santuario della Consolata e dal 1882 anche del Convitto ecclesiastico. Con il sostegno di validi collaboratori – don Giacomo Camisassa per il Santuario e don Luigi Boccardo per il Convitto – praticamente rifonda il Santuario e fa del Convitto un fondamentale strumento di preparazione dei giovani sacerdoti. Per amore delle missioni, fonda i Missionari (1901) e le Missionarie della Consolata (1910). Spira il 16 febbraio 1926 e il 7 ottobre 1990 Giovanni Paolo II lo dichiara beato.
Il quotidiano «Il momento» del 17 febbraio 1926 titola «La scomparsa d’un pioniere di Cristo: il canonico Giuseppe Allamano. L’uomo, il sacerdote, il maestro»: «Poche figure ecclesiastiche lasciano un nome, un’impronta, un rimpianto come il canonico Allamano. Quando si diffuse per Torino la notizia della sua morte è stato in tutti uno stupore pari al dolore perché si era abituati a considerarlo, più che una singola persona, un’istituzione, un programma, un centro di operosità spirituale che non dovrebbero scomparire mai. Non si poteva pensare al Santuario e alle Missioni, che dalla Consolata prendono nome, senza pensare a lui che era lo spirito animatore e propulsore di tutto e di tutti. Ricordare la sua vita e presentarla in tutta la fecondità buona e grande; ricordare l’uomo, il sacerdote, il maestro, non è solo un doveroso, imprescindibile omaggio, ma è anche un dolce, salutare ammaestramento spirituale. Non era l’uomo delle ostentazioni. Non era l’uomo eloquente. Era l’uomo del silenzio operoso».
«La mattina del 7 febbraio 1996 l’indio Sorino camminava nella foresta e cercare cibo per sé e per la moglie Helena. Figlio di un popolo primitivo, buon cacciatore e pescatore. Tornando a casa, un giaguaro lo assale alle spalle, lo azzanna alla testa e gli apre la calotta; ne esce il cervello. Cerca di rimanere in piedi e cerca di lanciargli delle frecce e riesce ad allontanarlo». Padre Michelangelo Piovano, missionario della Consolata, riferisce sul bollettino del santuario (aprile-giugno 2021) del presunto miracolo che potrebbe portare il beato Giuseppe Allamano alla canonizzazione.
Sorino è un giovane indio del popolo Yanomami, con i quali i Missionari e le Missionarie della Consolata da più di cinquant’anni lavorano, nel cuore della Foresta amazzonica, nella missione di Catrimani, nello stato di Roraima, nel nord del Brasile.
In quelle condizioni disperate l’indio riesce a ritornare alla sua «maloca, casa» dove è soccorso dalla mamma e dai parenti. Accorre la missionaria suor Felicita Muthoni Nyaga: «Impietrita e terrorizzata, non sa cosa fare, si fa coraggio e lava il capo di Sorino, cercando di sistemare il cervello e di rimettere a posto la calotta mezza divelta. Si sfila la maglietta per tamponare il sangue che continua a sgorgare». Sulla jeep lo portano alla missione: l’unica possibilità è trasportarlo all’ospedale della città con il piccolo aereo e tentare l’impossibile.
I capi indigeni «vogliono che rimanga perché, secondo le tradizioni, è nella foresta che deve morire. Suor Felicita non si dà per vinta: minacciata di morte, lo fa portare all’ospedale». Prima di prendere l’aereo l’indio le stringe forte la mano e con un filo di voce le sussurra: «Mamma, voglio vivere!». La suora corre in cappella e chiede a Dio che Sorino viva. Rammenta che è il 7 febbraio, primo giorno della novena in onore del beato Allamano: implora la salvezza per intercessione del fondatore.
Prosegue padre Piovano: «In sala operatoria il giovane neurochirurgo colombiano tenta l’impossibile. Per la fuoriuscita di parte del cervello teme che Sorino possa soffrire di convulsioni con problemi a parlare e a camminare. Anche le suore di Boa Vista, capitale dello Stato di Roraima, pregano per la guarigione. Suor Lisadele e suor Rosa Aurea lo assistono giorno e notte e mettono sotto il materasso una reliquia di Allamano. Le condizioni di Sorino peggiorano. Suor Lisadele lo battezza “in articulo mortis” con il nome di suo papà: Giuseppe».
Dubita di trovarlo ancora vivo. Invece lo trova seduto sul letto che mangia. Si riprende ma le condizioni restano gravi. «A poco a poco migliora e tre mesi dopo torna alla sua “maloca” e riprende la vita di cacciatore. Suore e missionari si convincono che qualcosa di straordinario è successo». A fine 1996 la rivista dell’Istituto racconta la «grazia ricevuta».
Dopo 25 anni, mentre a Roma si celebra il Sinodo dell’Amazzonia (ottobre 2019), decidono di cercare la documentazione e le testimonianze sul «presunto miracolo». Si forma la commissione: padre Giacomo Mazzotti (postulatore), suor Renata Conti (postulatrice), padre Michelangelo Piovano che ha lavorato molti anni in Brasile. Mons. Mario Antonio Da Silva, vescovo di Roraima, nel marzo 2021 celebra il processo diocesano sulla «guarigione miracolosa». Poi il caso passa a Roma «per arrivare, speriamo presto, alla canonizzazione del beato Allamano».
In sostanza, per Sorino Yanomami un «miracolo indigeno» per la canonizzazione del «santo delle missioni» che non si è mai mosso da Torino. La diocesi di Roraima è fortemente legata alla Consolata grazie al vescovo missionario casalese Aldo Mongiano, difensore dei popoli indigeni, in particolare degli Yanomani: muore il 16 aprile 2020 a 100 anni, 5 mesi e 15 giorni; 80 anni di vita religiosa; 76 di sacerdozio; 44 anni di episcopato, il vescovo più anziano del Brasile.
Giuseppe Allamano, figlio di una sorella di Giuseppe Cafasso, nasce a Castelnuovo d’Asti il 21 gennaio 1851: trascorre quattro anni all’oratorio Valdocco con don Bosco. Sacerdote dal 1873, si occupa della formazione nel Seminario Metropolitano. Nel 1880, nonostante la giovane età, è rettore del Santuario della Consolata e dal 1882 anche del Convitto ecclesiastico. Con il sostegno di validi collaboratori – don Giacomo Camisassa per il Santuario e don Luigi Boccardo per il Convitto – praticamente rifonda il Santuario e fa del Convitto un fondamentale strumento di preparazione dei giovani sacerdoti. Per amore delle missioni, fonda i Missionari (1901) e le Missionarie della Consolata (1910). Spira il 16 febbraio 1926 e il 7 ottobre 1990 Giovanni Paolo II lo dichiara beato.
Il quotidiano «Il momento» del 17 febbraio 1926 titola «La scomparsa d’un pioniere di Cristo: il canonico Giuseppe Allamano. L’uomo, il sacerdote, il maestro»: «Poche figure ecclesiastiche lasciano un nome, un’impronta, un rimpianto come il canonico Allamano. Quando si diffuse per Torino la notizia della sua morte è stato in tutti uno stupore pari al dolore perché si era abituati a considerarlo, più che una singola persona, un’istituzione, un programma, un centro di operosità spirituale che non dovrebbero scomparire mai. Non si poteva pensare al Santuario e alle Missioni, che dalla Consolata prendono nome, senza pensare a lui che era lo spirito animatore e propulsore di tutto e di tutti. Ricordare la sua vita e presentarla in tutta la fecondità buona e grande; ricordare l’uomo, il sacerdote, il maestro, non è solo un doveroso, imprescindibile omaggio, ma è anche un dolce, salutare ammaestramento spirituale. Non era l’uomo delle ostentazioni. Non era l’uomo eloquente. Era l’uomo del silenzio operoso».