Arriverà un giorno nel quale l’Italia proverà vergogna per le azioni che ha lasciato correre e per le parole che ha lasciato pronunciare contro i più deboli della società, oggi particolarmente i migranti, uomini e donne umiliati con i loro bambini dalla propaganda di Stato, indicati come minaccia agli italiani, come problema da isolare e respingere. Forse il giorno in cui ci vergogneremo di questa mancanza di umanità è lontano, forse invece è vicino, perché tante persone stanno esprimendo sdegno per la brutta aria che si respira nel Paese, tante stanno opponendosi con gesti di solidarietà concreta ad un clima sprezzante, sempre più segregante, che entra nel linguaggio delle nuove generazioni contro lo straniero, l’handicappato, il gay, il barbone, lo sfigato…
La ricerca di un nemico con il quale prendercela è tipica dei tempi difficili come questi che stiamo attraversando, anni di povertà diffusa anche fra gli italiani, di tutele che stanno venendo a mancare proprio mentre altre persone bussano alla nostra porta e chiedono aiuti che non sappiamo da dove far saltare fuori. Però siamo uomini, tanti di noi si dicono cristiani, esiste il dovere di comportarci come esseri umani.
Ciascuno deve avere l’onestà di rispondere «oggi» a una domanda, non domani quando l’aria sarà cambiata: io da che parte sto? Approvo oppure non approvo il linguaggio di chi ci governa? È purtroppo un linguaggio razzista e segretante, inutile girarci attorno.
Abitiamo un tempo molto difficile, il bisogno di legalità è fuori discussione, quello di giustizia internazionale viene spesso calpestato dagli altri Paesi (la Francia, per esempio, ci restituisce i migranti di soppiatto), ma la coscienza dei problemi non può tradursi nel veleno che stiamo vedendo versare a fiumi nei social contro chi vive ai margini della società; non può coprire l’espulsione selettiva dei bambini extracomunitari dalle mense scolastiche di Lodi, o lo sfratto in blocco di tutti gli immigranti di Riace, l’equazione profughi uguale delinquenza (il Decreto Sicurezza), le minacce di polizia contro i soli negozi «etnici»… Ogni volta è un piccolo morso dimostrativo, selettivo. Quale sarà il prossimo? E dove ci porterà?
Ciascuno scriva su un foglio di carta se approva o non approva, metta la data e riponga in un cassetto. Quando il vento sarà cambiato partirà il gioco delle attenuanti e delle distinzioni, delle prese di distanza: io non sapevo, non immaginavo, credevo fosse necessario… Quel giorno torneremo a leggere quello che avevamo scritto nel nostro foglietto. E giudicheremo noi stessi, valuteremo le conseguenze o i danni, se ve ne saranno stati di più gravi. Nessuno sa in verità prevedere cosa accadrà se proseguiremo ottusamente nel gioco di spaccare e contrapporre i giusti agli ingiusti, i ricchi ai poveri, gli italiani agli stranieri, l’Italia all’Europa.
Sappiamo come andò nel passato, l’antisemitismo sfociò in tragedia (ricorre in questi giorni l’80° anniversario delle famigerate leggi razziali). Eppure il linguaggio dell’ostilità classista e razziale sta tornando a ruggire indisturbato. Accade perché noi per ora riteniamo – chissà perché – che il passato non tornerà. Così siamo indulgenti, ci illudiamo che certe parole suonino ruvide ma in fondo siano bonarie. E ci sono tanti fra noi, in buona fede, che credono un male necessario chiudere un occhio sugli eccessi di linguaggio, sulle repressioni dimostrative: sperano di vedere in questo modo corrette le contraddizioni del nostro tempo, vedere risarcita la propria sofferenza.
Un amico che stimiamo molto ci ha chiesto di riflettere sul fatto che il tema migranti oggi è sovradimensionato nella predicazione della Chiesa rispetto ad altri versanti dell’evangelizzazione. Ha ragione, i problemi della modernità sono molti e diversi, il messaggio del Vangelo è più ampio. Ma a chi dobbiamo imputare l’ossessivo martellamento sui migranti? Non certo alla Chiesa.
L’ossessione arriva da altre sirene. Sfrutta la comune fatica di confrontarci con le culture diverse, il timore di subire concorrenza nel mercato del lavoro, la paura della criminalità. È un’ossessione che può essere inculcata molto bene nelle persone moderate, abituate a operare onestamente: ad un certo punto si convincono di essere state prese in giro e chiudono i contatti, si irrigidiscono, dicono basta. Usiamo il temine «ossessione» perché è quello giusto: in Italia i numeri della criminalità stanno in verità calando; quelli degli sbarchi sono in forte calo; gli stranieri inseriti nella società civile, quando non vengono costretti alla clandestinità che diventa criminalità, svolgono prevalentemente lavori che noi italiani non vogliamo più svolgere (pagano le tasse, le nostre pensioni).
Un giorno, speriamo vicino, proveremo vergogna. Sarà un sentimento sano, ripartiremo bene. È un sentimento cui tanti, per fortuna, stanno già dando voce con la testimonianza della gioia che si prova quando riusciamo a guardare il nostro prossimo in modo diverso, come fratello al quale volere bene. È faticoso, può esserlo molto, ma è quello che rende bella la vita.