Pensare il matrimonio in altro modo
Qual è un altro modo di pensare e trasmettere la dottrina del matrimonio? È pensare e valutare il matrimonio per quello che realmente e principalmente è: non una istituzione giuridica da trattare con categorie giuridiche, ma una esperienza di amore da trattare con categorie tratte dall’amore. Lo ha fatto Papa Francesco con la sua Esortazione post sinodale che ha titolato non Matrimoni et Familiae Laetitia, come sarebbe stato naturale aspettarsi dopo due sinodi e due anni di riflessione di tutto il popolo di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, ma Amoris Laetitia, perché il suo intento non era quello di aggiornare la dottrina e la prassi del matrimonio e della famiglia (come ha fatto Giovanni Paolo II con la Familiaris Consortio nel 1981), ma di rivisitarli alla luce del suo elemento essenziale, l’amore coniugale. Di qui la domanda iniziale: cosa avviene se si riporta il matrimonio nel suo ambito naturale, quello dell’amore coniugale? Nascono due tipi di ‘novità’: alcune particolari, altre generali.
Le ‘novità’ particolari
Anzitutto nascono delle ‘novità’ particolari che obbligano a rivedere alcuni modi consolidati di pensare e vivere la vita coniugale e familiare in modo migliorativo e non, come alcuni pensano, in modo eversivo; e in più permettono di risolvere problemi non sempre risolti in modo soddisfacente, come la famosa nota 350 dell’Amoris Laetitia in cui si dice o sembra che si dica che in certi casi può essere offerto l’aiuto dei sacramenti ai divorziati risposati. Vengono in mente le parole di Gesù: «Non sono venuto ad abolire, ma a perfezionare» (Mt. 5, 17). Se il matrimonio è una esperienza di amore, tutta la vita del matrimonio deve essere pensata alla luce dell’amore, cioè come una realtà causata, animata e finalizzata all’amore, come dice la Familiaris Consortio (nn. 11, 13, 18).
Le ‘novità’ generali
Ma le ‘novità’ più importanti hanno un carattere generale e sono due: la riscoperta della vera natura della vita morale e la necessità per l’uomo di educarsi ad amare.
a) La riscoperta della natura della vita morale
Il fatto di rivedere e ripensare il matrimonio in termini di amore obbliga a riconsiderare il nostro modo di concepire e vivere l’intera vita morale. Dobbiamo prendere atto che non solo la vita coniugale, ma tutta la vita dell’uomo deve essere pensata e vissuta come amore, cioè come un insieme di comportamenti che sono causati dal bene che non solo attrae, ma muove a produrlo. È una verità antica e sempre nuova che discende dal fatto che l’uomo è partecipazione di Dio che è amore, e quindi il suo essere è amore e il suo vivere è amore. «L’amore», dice la Familiaris Consortio n. 11, «è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano». Una verità che è oscurata dal fatto che siamo stati troppo educati a pensare e a vivere la vita morale non come un essere attratto dal bene, ma come obbedienza a principi e comandamenti. Gesù aveva corretto questo modo di pensare dicendo che «dove è il tuo tesoro ivi è il tuo cuore» (Mt. 6,21), cioè la tua vita è mossa dal bene che attrae e non da comandi che impongono cosa si deve fare. «Quando sarò elevato tra cielo e terra attirerò a me ogni cosa» (Jo, 12,32), cioè muovo le mie creature ad agire servendomi dell’attrazione e non della costrizione. Anche la Chiesa ha cercato di correggere questa concezione della vita morale premettendo, nel nuovo catechismo, ai comandamenti le virtù, ma con scarso successo.
b) La necessità per l’uomo di educarsi ad amare
Ma c’è una seconda ‘novità’, strettamente collegata alla prima: dobbiamo prendere coscienza che l’uomo per vivere la vita morale come amore deve educarsi a lasciarsi attrarre dal bene.
La necessità dell’uomo di lasciarsi attrarre dal bene: l’uomo, cioè, deve mettersi in condizione di percepire il bene e la sua forza attraente. Perché non basta conoscerlo per esserne attratti? Il bene per sua natura attrae, ma l’uomo deve essere in grado di coglierlo. Anche la luce per sua natura illumina, ma non viene percepita da chi è cieco. E’ quello che dice Gesù: «Guardano, ma non vedono, ascoltano ma non capiscono» (Mt. 13,14), e solo «chi è puro di cuore è in grado di vedere Dio» (Mt. 5,8), cioè solo chi è buono capisce la bellezza del bene e ne è attratto. Di qui la necessità per l’uomo di creare in sé le qualità che lo mettono in sintonia con il bene, cioè la necessità di educarsi a cogliere la bontà del bene per esserne attratto. Anche questo è una verità antica, ma sempre da riscoprire, perché come è diffusa la convinzione che la vita morale consiste nell’osservanza di comandamenti, così è altrettanto diffusa la convinzione che per tendere al bene basta conoscerlo. L’esperienza invece dimostra la verità ricordataci da Ovidio, video bona proboque, deteriora sequor, e da san Paolo (Rom., 7, 18-19), cioè non basta conoscere il bene per essere buoni.
La necessità dell’uomo di educarsi ad amare: l’educazione è necessaria anche in amore. All’uomo viene donato l’amore, ma l’amore ha bisogno di trovare una persona capace di accoglierlo e di svilupparlo, cioè una persona che si è educata ad amare. È l’insegnamento che possiamo trovare in tre parabole di Gesù. Quella del seme e del campo, in cui si dice che l’amore è come il seme che contiene un grande potenziale di vita, ma per fruttificare deve trovare un terreno preparato per riceverlo e svilupparlo; quella delle vergini sagge e stolte, dove si dice che non basta avere la lampada dell’amore accesa, ma è necessario avere la riserva per alimentarla; quella del grano e della zizzania con la quale Gesù insegna che l’amore ha bisogno di essere protetto e difeso dai limiti e dai condizionamenti interiori e esteriori (la zizzania che è in noi e fuori di noi) che tendono a soffocarlo.
È l’insegnamento essenziale dell’Amoris Laetitia, perché le 280 pagine dell’Esortazione potrebbero essere in qualche modo riassunte in tre grandi proposte centrate sull’educazione ad amare, nel modo seguente: l’amore coniugale visto alla luce della ragione e della fede è una grande energia di vita, ma l’uomo trova difficoltà a viverlo (capitoli 1-3); per cui l’uomo deve educarsi ad accoglierlo, a viverlo, a svilupparlo (capitoli 4-5); la Chiesa deve affiancarsi ai suoi fedeli per aiutarli in questo loro educarsi (capitoli 6-9).
Giordano MURARO o.p.