Al centro dell’agenda politica italiana si colloca da tempo la questione della famiglia, partendo dal fatto che il nostro Paese da anni vive un’inarrestabile crisi delle nascite.
Con un tasso di 1,32 figli per donna siamo, assieme alla Spagna, uno dei fanalini di coda dell’Unione europea in fatto di natalità, ben lontani da quei tassi di fecondità attorno ai 2 figli per donna che si registrano nei Paesi scandinavi o in Francia, nazione a noi tanto prossima, ma mai così distante come in questo ambito.
Certo, sulla denatalità giocano fattori per così dire culturali (le donne iniziano a pensare ai figli in età più avanzata) e sociali (crescente instabilità lavorativa, ritmi di vita troppo frenetici, assenza di servizi), ma è altrettanto vero che il desiderio di maternità sempre presente nelle famiglie può venir supportato da adeguate politiche che favoriscano questa scelta.
Ed è proprio attorno alle politiche familiari che ruota il dibattito pubblico nel tentativo di individuare le soluzioni più appropriate, tenendo naturalmente conto delle risorse disponibili. Il nostro Paese, peraltro, su questi temi ha un atteggiamento per certi versi schizofrenico: la discussione si svolge quasi sempre in termini ideologici. Ne deriva una polemica astratta e fine a se stessa che si conclude lasciando le cose come stanno, senza permettere di affrontare seriamente i concreti problemi, economici e sociali, della famiglia.
A ben vedere poi, non è neppure esatto affermare che l’Italia sia priva di interventi a favore della famiglia; solo che, come accade sovente nel nostro Paese, si tratta di strumenti che si intrecciano e si sovrappongono senza la necessaria organicità. In elenco ci sono le misure più varie: le detrazioni fiscali sui familiari a carico, che diminuiscono con l’aumentare del reddito, interessando 12 milioni di contribuenti per un importo totale di 12 miliardi annui; gli assegni familiari (quattro milioni di beneficiari per un costo complessivo di 4,2 miliardi di euro); bonus nido, bonus bebè (da zero a tre anni) e premio una tantum alla nascita che valgono rispettivamente 330, 240 e 270 milioni di euro annui.
Si aggiungono poi diverse agevolazioni a carattere regionale o locale, a seconda delle risorse a disposizione, che contribuiscono a creare un sistema a macchia di leopardo. Insomma, i finanziamenti in parte ci sono, soltanto che a causa della loro frammentazione spesso non raggiungono il loro scopo.
Adesso però sembra stia maturando, un po’ in tutte le forze politiche, la consapevolezza di dover avviare un vero e proprio mutamento di rotta, puntando su una complessiva razionalizzazione delle diverse misure esistenti.
Emerge in particolare l’idea di un assegno unico per i figli, in sostituzione di larga parte delle dotazioni e dei sussidi esistenti, da erogarsi dalla nascita del figlio sino al compimento del 18° anno per un importo complessivo di 250 euro mensili che per due figli dovrebbe salire a 400, aumentando poi di circa 100 euro per ogni altro figlio. Una proposta in tal senso è stata presentata lo scorso mese di giugno dal capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio, dando seguito ad un’analoga iniziativa, promossa già nella scorsa legislatura, da parte di Stefano Lepri, senatore Pd che può considerarsi un po’ il precursore del dibattito che si è aperto.
Nella stessa direzione si era anche mosso, sempre quest’estate, l’allora ministro leghista della Famiglia Lorenzo Fontana, senza però meglio specificare tempi e modalità di attuazione del provvedimento. D’altronde va rammentato che la destra aveva assunto come priorità la tassa piatta (Flat-tax) più che l’assegno unico, immaginando poi di inserire nell’impianto ad aliquota unica adeguate detrazioni in base al numero dei figli.
Naturalmente venuta meno la maggioranza giallo-verde, la palla è passata, per così dire, al nuovo quadripartito M5S-Pd-Leu-Italia Viva che per prima cosa ha dovuto fronteggiare la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva. A questo punto con 23 miliardi, sui 30 complessivi della manovra, impiegati soltanto per evitare l’innalzamento dell’Iva, le risorse da destinare alle politiche familiari sono risultate insufficienti, tenendo presente che il costo dell’assegno unico – secondo alcune stime – si aggirerebbe sui 22 miliardi annui da reperire riordinando tutte le misure attualmente in vigore.
E così di assegno unico se ne parlerà nel 2021, forse dopo l’approvazione del cosiddetto Family act, ovvero il futuro assetto normativo su cui dovranno innestarsi le politiche per la famiglia, sia dal lato monetario che dal lato dei servizi.
Per adesso nella Manovra di bilancio (in discussione in Parlamento, dove potrà subire modifiche) è previsto un aumento di 190 milioni per il bonus bebè, portandolo a 520 milioni di euro, e prevedendo un sussidio in base al reddito Isee: 160 euro mensili (1.920 euro annui) fino a 7 mila euro; 120 euro (1.440 euro annui) da 7 mila a 40 mila euro; 80 euro (960 euro annui) oltre i 40 mila euro. Raddoppiato anche il voucher per gli asili nido per i redditi con Isee fino 25mila euro, che passa dagli attuali 1.500 a 3.000 euro. Portato a sette giorni, dai cinque attuali, il congedo parentale per i padri, mentre è stata rinviata l’adozione della cosiddetta card bambini da 400 euro mensili, come sostegno alle famiglie per i servizi per l’infanzia (baby sitter, ecc…) che sarebbe costata circa 350 milioni di euro. Questo per il 2020, mentre è chiaro che solo un completo ridisegno dell’intero sistema, ripartendo in maniera più razionale le risorse, permetterà di dar vita all’assegno unico.
Se si osserva cosa accade nell’Unione europea vediamo che secondo i dati Eurostat, la quota media di Pil destinata alla famiglia dai 28 Paesi Ue è del 2,4 per cento. L’Italia è ben al di sotto della media con l’1,7 per cento; la Francia appena al di sopra con il 2,5 per cento, la Germania giunge al 3,2 mentre la Gran Bretagna si situa al 2,7. In Francia è lo stesso sistema fiscale, ancor prima dei sussidi erogati alla famiglie, ad essere congegnato per fornire un efficace supporto alle famiglie numerose. Da decenni funziona infatti il quoziente familiare che divide l’imponibile sul quale si è tassati per il numero dei componenti della famiglia. A questo si aggiungono poi molteplici sussidi monetari (bonus alla nascita, ecc.) o legati ai servizi (asili nido, ecc.).
In Germania, evidenzia l’Istituto di politica familiare, è previsto un assegno universale che garantisce 250 euro al mese con un figlio (3.000 euro annui), 384 con due figli (4.608 annui), 582 con tre figli (6.984 euro annui). Un intervento in larga parte dovuto all’attuale presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, negli anni in cui era ministra per la Famiglia. La Gran Bretagna dispone di un sussidio per i figli che dura fino ai 16 anni: 20 sterline settimanali per il primo figlio, 13 per i successivi, entro un limite di reddito di 50 mila sterline (48 mila euro). Oltre a questo sostegno generalizzato vi è un voucher per l’infanzia di un importo settimanale di 55 sterline che decresce all’aumentare del reddito ed infine un’indennità per la maternità di 140 sterline per 39 settimane.
Nel confronto tra il diverso assetto delle politiche familiari in Italia e negli altri Paesi dell’Unione europea, va sottolineato come da noi sia stata praticamente cancellata l’imposta di successione e questo comporta che, comunque, le famiglie italiane trattengano al loro interno una parte significativa di risorse. Nazioni come Francia, Germania o Gran Bretagna in cui sono previste politiche familiari più generose delle nostre, hanno anche una più elevata imposta di successione. Si tratta un’impostazione differente da quella prescelta dal nostro Paese che conduce evidentemente a risultati diversi in termini di risorse a disposizione dell’intera collettività.