Margherita Oggero sulla Maturità: “imperfetta, ma resta necessaria”

Analisi – La scrittrice: “come membro interno ero costretta a fare la chiocchia e a cercare di far superare il guado e tutti i pulcini. Un ruolo che in qualche caso mi disturbava”

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Margherita Oggero

Col passare del tempo i ricordi sbiadiscono o si ricompongono in un assetto che della realtà dei fatti tiene un conto lacunoso e parzialissimo. Ma poi cos’è la «realtà dei fatti»? Quella cosiddetta oggettiva o quella percepita, come la temperatura?

In ogni caso (domande retoriche a parte), l’esame di maturità ha sempre costituito una specie di spartiacque tra l’età di una certa svagata inconsapevolezza e quella delle prime assunzioni di responsabilità personale, è stato ed è ancora un rito di passaggio, una prova iniziatica. La vera differenza tra la «matura» di più di mezzo secolo fa e quella di oggi consiste nel fatto che allora i giornali e la radio e la televisione se ne occupavano di meno. Era un avvenimento previsto e ripetitivo, come il caldo d’estate e il freddo d’inverno, ed era inutile che l’umanità perdesse troppo tempo per strologarci sopra. Nessuno si premurava di fornire consigli banali, tipo non passate notti insonni per il ripasso finale delle materie; non bevete troppi caffè; consumate cibi leggeri; interrompete lo studio con qualche passeggiata… In altre parole, l’ovvio non aveva ancora preso il sopravvento e non si riscopriva a ogni inizio d’estate l’acqua calda.

Tuttavia per i maturandi l’esame era uno spauracchio, anche per quelli con la media dell’otto o addirittura del nove (pochi i primi, rarissimi i secondi, non perché fossimo meno brillanti, credo, ma perché forse i professori erano più selettivi). Anche per gli stretti congiunti era un momento di tensione e ai figli e nipoti era concessa una maggiore indulgenza sul cibo, sugli orari, sull’eventuale uso di un linguaggio più disinvolto. Poverino/a, ha l’esame tra poco, è nervoso/a, bisogna non farci caso!

Non ricordo la maturità come un incubo e non è mai comparsa nei miei sogni, i miei incubi si incistano su un’altra paura, quella del labirinto. A scuola andavo bene, lo studio delle materie letterarie mi piaceva, per le altre discipline mi applicavo quel tanto che bastava senza strafare. Nell’intervallo allora lungo tra la fine delle lezioni e l’inizio delle prove andai in ‘ritiro’ con la mia compagna di banco nella sua casa di campagna a poca distanza da Torino: ripassavamo insieme le materie per l’orale, cercando di colmare le lacune reciproche. Una faticata, ma anche tante risate e non troppo sporadici intermezzi sulle rispettive faccende di cuore. Nel ricordo (riassemblato), un bel periodo.

Di maturità ne ho fatte parecchie altre, dalla parte opposta della barricata, come membro interno (si diceva così una volta, con una locuzione tra l’oscenità e l’idiozia), o come commissaria, e non è mai stata un’esperienza gradita e gradevole. Come avvocata dei miei allievi dovevo spesso ‘aggiustare’ il giudizio su certi impuniti che avrebbero meritato di non essere neppure ammessi, d’altra parte il mio ruolo era quello di spendermi in loro difesa, e inoltre il triennio trascorso insieme aveva generato un’empatia protettiva talvolta anche mio malgrado. Insomma, ero costretta a fare la chioccia e a cercare di far superare il guado a tutti i pulcini. Un ruolo che in qualche caso mi disturbava come un prurito, come una piccola spina conficcata sotto un’unghia.

Nelle veci di commissaria ero sempre investita da un certo disagio, perché sapevo benissimo che nessun esame permette una valutazione pienamente corretta del candidato. Entrano in gioco tanti fattori da una parte e dall’altra: la stanchezza, la fortuna e il suo contrario, la timidezza, la sicumera, la provocazione, l’ansia, il nervosismo dell’attesa, la sfiducia… fattori che finiscono col condizionare la valutazione.

Eppure gli esami sono indispensabili, non solo quelli strettamente scolastici. Penso a una certa tendenza odierna per cui molti si ritengono competenti in campi in cui sono grossolanamente ignoranti, e non si peritano di trinciare giudizi avventati, di confutare quando non svillaneggiare chi la competenza ce l’ha. No, non in tutti i campi uno vale uno. Perciò viva gli esami.

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