«Con 400 morti di giorno di coronavirus la situazione in Brasile è fuori controllo». Non hanno aspettato a fare la clamorosa denuncia della situazione e della criminale politica del presidente Jair Bolsonaro, scriteriato negazionista, i missionari italiani in Brasile. Questo è il disastroso quadro in molte aree dell’immenso Paese latino-americano, a cominciare dalle «favelas» delle megalopoli con milioni di persone. Si aggiungono le aree amazzoniche devastate dal contagio dove si scavano immense fosse comuni e dove il sistema sanitario è saltato.
La denuncia «della politica del caos addebitabile al presidente Bolsonaro» arriva da padre Dario Bossi, missionario comboniano da anni in Brasile che alla radio della sua Congregazione così descrive l’inferno. «A Manaus siamo al collasso e le popolazioni indigene sono in pericolo».
Poi ci sono le «favelas» dove la gente vive sotto la soglia della povertà e ogni giorno è costretta a fare la drammatica scelta se acquistare il cibo per sopravvivere o un flacone di amuchina. «In questo contesto di estrema crisi sanitaria il presidente Bolsonaro sta portando avanti una politica per mantenere il suo potere basata sul caos». Di fatto nega l’epidemia e minimizza la portata del morbo con scelte irresponsabili. «Nega persino le evidenze scientifiche dell’Organizzazione mondiale della Sanità e si contrappone alla maggior parte dei governatori della Repubblica federale». Il che dimostra – denunciano i missionari – «che il potere gli sta sfuggendo di mano e cerca di radicalizzare il conflitto stringendo accordi con il fanatismo religioso e con i produttori rurali dell’agrobusiness». Recentemente ha dimesso il ministro della Salute e ha messo una figura molto più malleabile e controllabile. «Il Brasile è sull’orlo dell’abisso. Una crisi politica e sanitaria gravissima tanto che emerge la necessità di denunciare il presidente per crimini e arrivare alla sua “messa sotto accusa, impeachment”».
Questi retroscena erano poco noti sulla stampa italiana. Sono venuti ribalta con la visita di Bolsonaro a Roma per il G20, ad Anguillara Veneta per la cittadinanza onoraria che ha scatenato proteste e polemiche, e alla basilica del Santo a Padova, dove vescovo Claudio Cipolla e sindaco Sergio Giordani non sono andati ad accogliere il presidente ma hanno espresso «forte imbarazzo». Due le accuse principali: la malagestione della pandemia e la deforestazione dell’Amazzonia. Durante il Sinodo dell’Amazzonia (6-27 ottobre 2019) le severe voci degli indigeni denunciarono in faccia al mondo le malefatte del presidente che fa comunella con i latifondisti.
Il comunicato del vescovo Cipolla spiega: «Il legame fra la terra veneta, nello specifico padovana, con il Brasile è molto forte per la grande storia migratoria, per le relazioni mantenute con gli oriundi e per la presenza missionaria diocesana e di diverse famiglie religiose». La nota ricorda «le testimonianze pagate con il sangue del comboniano padre Ezechiele Ramin (assassinato nel 1985) e del “fidei donum” diocesano don Ruggero Ruvoletto, assassinato nel 2009 a Manaus. I vescovi del Brasile in questi mesi denunciano a gran voce violenze, soprusi, strumentalizzazioni della religione, devastazione ambientali e l’aggravarsi di una grave crisi sanitaria, economica, etica, sociale e politica, intensificata dalla pandemia». Non si cita esplicitamente la richiesta della commissione d’inchiesta di processare Bolsonaro per crimini contro l’umanità, ma si fa riferimento alla «gestione dell’emergenza Covid, in un Paese che ha registrato oltre 600 mila morti per la pandemia».
Scrive «Avvenire»: «Una cosa è certa: Jair Bolsonaro non merita una cittadinanza onoraria perché egli è l’espressione politica di quell’economia di rapina che saccheggia l’Amazzonia». Il quotidiano dei cattolici italiani intervista Fabiano Ramin che parla di «quei cacciatori di risorse a cui si opponeva mio fratello Ezechiele. Sono molto dispiaciuto». Ad Anguillara Veneta ha assistito al Consiglio comunale straordinario in cui è stata assegnato il riconoscimento al presidente brasiliano.
Il giovane comboniano Ezechiele «Lele» Ramin venne assassinato nella «fazenda» Coutuva, nello Stato di Rondônia il 24 luglio 1985. Vi era andato per impedire agli sgherri dei latifondisti di massacrare i contadini che avevano occupato la piantagione per chiedere la riforma agraria. Un «testimone della carità» lo definì Giovanni Paolo II. E da Papa Francesco lo ha scelto come uno dei «patroni» del Sinodo dell’Amazzonia: su di lui è in corso la causa di beatificazione. Per la sua dedizione ai senza terra e senza diritti, padre Ramin continua a ispirare tantissimi giovani in Italia e in Brasile. Soprattutto adesso: nei primi due anni di governo Bolsonaro i conflitti agrari sono aumentati, come pure la deforestazione e le violenze contro gli indigeni, come riferisce il «Consiglio indigenista missionario», organismo della Conferenza episcopale brasiliana.
Due giorni fa, nella capitale Brasilia, la Commissione del Senato ha denunciato Bolsonaro alla Corte Suprema per crimini contro l’umanità per l’amministrazione «da serial killer» del Covid. La diocesi di Padova manifesta «imbarazzo»: «Non si nasconde che il conferimento della cittadinanza onoraria ha creato forte imbarazzo, stretti tra il rispetto per la principale carica del caro Paese brasiliano e le tante e forti voci di sofferenza che sempre più ci raggiungono e che non possiamo trascurare». Ridicola appare la spiegazione di Alessandra Buoso, sindaco leghista della cittadina padovana, 4 mila abitanti: «L’onorificenza non è a un uomo e alle sue politiche ma a un Paese, il Brasile, che ha saputo accogliere chi nel passato è emigrato». Fabiano Ramin giudica la cittadinanza onoraria «più che un insulto alla memoria di mio fratello, è una ferita sulle carni del popolo brasiliano, soprattutto dei deboli, degli emarginati, degli esclusi, che lui tanto amava. Per questo non posso fare finta di niente».
Pier Giuseppe Accornero