Morto il gesuita padre Eugenio Costa, anima della Riforma liturgica

Lutto – Il 17 gennaio è morto a 86 anni, nella Casa generalizia della Compagnia di Gesù a Roma, padre Eugenio Costa: direttore del Centro teologico di Torino e tra i fondatori dell’Ufficio liturgico della diocesi torinese fu uno dei protagonisti della diffusione del Concilio Vaticano II

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padre Eugenio Costa sj

È mancato a Roma nella notte del 17 gennaio, dopo una lunga malattia presso l’infermeria della Curia generalizia della Compagnia di Gesù in Borgo Santo Spirito dove viveva, padre Eugenio Costa sj, teologo, liturgista, musicologo tra i più conosciuti divulgatori in Italia della Riforma liturgica. Già direttore del Centro teologico di Torino e collaboratore per decenni dell’Ufficio liturgico della nostra diocesi, è stato invitato, alla fine degli anni ’80, a partecipare all’équipe Cei incaricata della revisione della Bibbia Cei 1974, prima per il Nuovo Testamento, e poi anche per i salmi, che ha avuto come esito finale la Bibbia Cei 2008. Ha collaborato con l’équipe di revisione delle antifone d’introito e di comunione del Messale Romano in italiano e tra l’altro alla nuova versione della preghiera del «Padre nostro».

Collaboratore e sostenitore del nostro giornale, (suo il contributo pubblicato su La Voce e il Tempo nell’ottobre 2018 proprio sulla revisione del Padre nostro) il suo ultimo articolo, scritto con fatica durante la malattia, è un ricordo del suo confratello padre Bartolomeo Sorge (La Voce e il Tempo, domenica 8 novembre 2020 pag.15).

Nato a Genova il 25 marzo 1934, nella famiglia degli armatori Costa, dopo la scuola secondaria dai gesuiti di Genova (presso l’Istituto Arecco fino alla maturità), è stato impegnato a fondo prima nello scoutismo, poi nella locale congregazione mariana. Gesuita dal 1953, dopo un anno di giurisprudenza all’Università di Genova, ha frequentato il noviziato a Firenze e ad Avigliana dal 1953 al 1955. Ha studiato Filosofia a Gallarate (1955-1958) e Teologia a Chieri (1962-1966) nella Compagnia di Gesù. Negli anni 1958-1962, durante il tirocinio («magistero») presso l’Istituto Arecco con i giovani mentre studiava teologia, si è laureato in Lettere Moderne all’Università di Genova nel 1964 con un tesi su «‘Ecclesia’ in san Cipriano: il termine e i temi».

Ordinato presbitero nel 1965 a Chieri ha frequentato il terzo anno di «probazione» a Vienna dal 1966 al 1967 (la terza «probazione» è una creazione di sant’Ignazio: i sacerdoti, prima della loro integrazione definitiva nella Compagnia, hanno un terzo anno di noviziato per rinnovarsi spiritualmente dopo i lunghi anni di studio e per approfondire la conoscenza dell’Istituto). Ha poi conseguito un dottorato in teologia a Parigi all’Institut de Liturgie (1967-1971) con la tesi in liturgia «Tropes et séquences dans le cadre de la vie liturgique au moyen âge» (Tropi e sequenze nell’ambito della vita liturgica medievale). Componente e poi responsabile del Centro Teologico dei gesuiti a Torino (1972-2004) è stato parroco a San Fedele a Milano (2004-2008). Allievo di Martha Del Vecchio per il pianoforte, di Victor Martin e dell’Ecole César Franck (Parigi) per la composizione, del confratello Joseph Gelineau sj per la musica liturgica, ha diretto con Christine Barenton il coro giovanile «Mini-Hosanna» dell’Eglise St. Ignace (Parigi); più tardi, il coro della Cattedrale di Torino.

Basilica di San Pietro, Concilio Vaticano II

Ha insegnato canto liturgico alla Scuola diocesana di musica e liturgia di Torino (1974-2004) e ha collaborato con l’Ufficio liturgico nazionale della Cei. Dal 2008 fino alla malattia è stato addetto alla Curia Generalizia dei gesuiti a Roma. Oltre alle decine di collaborazioni editoriali come redattore, traduttore (parlava correntemente inglese, francese, tedesco e spagnolo) per riviste (tra cui Civiltà Cattolica, Aggiornamenti Sociali, Musica e Assemblea che ha coordinato per anni) è stato membro tra l’altro della «Jungmann Society» (la rete dei gesuiti per la liturgia), tra i fondatori di Universa Laus (gruppo internazionale di studio su musica e liturgia) e insegnante del Coperlim, il corso di perfezionamento liturgico-musicale della Cei. Alcuni dei più noti canti liturgici italiani sono sue composizioni o rielaborazioni e traduzioni dalle pratiche religiose del mondo, fondendo l’ispirazione di fede e le competenze letterarie, liturgiche e musicali con il rigoroso lavoro di etnomusicologo. Di padre Eugenio Costa è il testo dell’Inno per l’Anno santo della Misericordia «Misericordes sicut Pater», la musica dell’amico compositore inglese Paul Inwood.

Il compositore inglese Paul Inwood e padre Eugenio Costa, autori dell’Inno per il Giiubileo della Misericordia (2015-2016)

Al di là della sua sterminata cultura musicale, letteraria, teologica e liturgica, nella diocesi di Torino, per quanti lo hanno conosciuto e avuto come maestro insieme a liturgisti che hanno divulgato la Riforma del Concilio Vaticano II tra cui don Domenico Mosso, don Beppe Cerino, don Aldo Marengo, i salesiani don Antonio Fant e don Giuseppe Sobrero (padre Costa collaborò alle edizioni del repertorio nella Casa del Padre), padre Eugenio lascia una eredità preziosa di grande umanità e fedeltà alla Chiesa che ha servito fino all’ultimo in umiltà. Almeno tre generazioni gli sono grate soprattutto perché è stato un grande maestro di vita e di spiritualità.

“Sei stato immerso
nella morte di Cristo.
La morte di Cristo
ti riporti al Padre.
E nella sua casa
noi ti rivedremo.”

(Didier Rimaud, trad. Eugenio Costa, da ‘Ultimo a Dio’, in «Gli alberi del mare», Elledici, 1977)

Compose l’Inno per il Giubileo della Misericordia

di Pier Giuseppe Accornero

Una volta mi raccontò del suo incontro con il card. Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Con don Felice Rainoldi, liturgista della diocesi di Como, aveva scritto la voce «Canto» (Rainoldi) e «Musica» (Costa) del «Dizionario di Liturgia» per le edizioni San Paolo. In un convegno internazionale di teologi in Ungheria nel 1986 il prefetto Ratzinger «ci attaccò a testa bassa. Mi rivolsi al mio superiore generale, padre Peter Hans Kolvenbach che mi disse di andare dal card. Ratzinger a esporgli  le mie ragioni. Andai dal prefetto: fu gentilissimo e cordialissimo ma ripeté le sue critiche. Io risposi con le mie osservazioni. Rimanemmo nelle nostre posizioni ma con rispetto reciproco e signorilità». Questo era padre Eugenio Costa, morto a 86 anni nella notte del 17 gennaio 2021 nella residenza «Pietro Canisio» della Casa generalizia della Compagnia di Gesù a Roma. «Politici, andate a scuola», titolò «La Stampa» del 13 aprile 1989 l’intervista al «Gesuita con la frusta. Scomodo, battagliero, propositivo per il suo impegno di risvegliare coscienze intorpidite, di risollevare il dibattito politico dal pantano dei bla bla e dell’affarismo spicciolo.

Eugenio Costa  nasce il 25 marzo 1934 a Genova, entra nella Compagnia il 26 dicembre 1953 a Fiesole e pronuncia gli ultimi voti il 1° febbraio 1975 a Torino. Dopo la Teologia a Chieri (1962-1966) è ordinato nella chiesa Sant’Antonio l’11 luglio 1965 da mons. Francesco Bottino, vescovo ausiliare del cardinale Maurilio Fossati – morto il 30 marzo 1965 – che ordinava tutti i preti, diocesani e religiosi, Salesiani e Domenicani, Francescani e Gesuiti – junior perché ha un omonimo cugino senior – nasce il 25 marzo.

Nel 1972 è destinato al Centro Teologico di corso Stati Uniti, «fiore all’occhiello» della Compagnia a Torino: resta per 32 anni. Guida di esercizi spirituali; superiore della comunità; direttore del Centro; docente di Teologia, Liturgia e Musica sacra alla Scuola superiore di Cultura religiosa, all’Istituto piemontese di Teologia pastorale, alla Facoltà Teologica di Cagliari e alla Pontificia università Gregoriana di Roma – rette dai Gesuiti – e all’Institut catholique di Parigi, redige la rivista «Musica e assemblea». Membro del Consiglio presbiterale, vive la stagione post-conciliare dei cardinali arcivescovi di Torino Michele Pellegrino, Anastasio Alberto Ballestrero, Giovanni Saldarini. La diocesi gli deve molto per l’importante contributo offerto all’attuazione della riforma liturgica che conosceva nella cabina di regia. I torinesi lo ricordano, con il camice bianco, dirigere i canti dell’assemblea in Duomo nelle solennità liturgiche; nelle ostensioni della Sindone 1978, 1998 e 2000; nelle visite di Giovanni Paolo II nel 1980, 1988, 1998. Consulente dell’Ufficio Liturgico nazionale, dirige il canto delle assemblee della Cei e dei convegni nazionali: Loreto 1985, Palermo 1995.

L’altra grande passione  di padre Eugenio è il Centro teologico e la sua splendida biblioteca: 130 mila volumi, 11 incunabli, 367 cinquecentine, edizioni del Seicento e del Settecento, 567 periodici in varie lingue, 288 riviste da tutto il mondo. Nel 2004-2008 è a Milano a San Fedele come parroco. Dal 2008 vive nella  Curia generalizia come segretario-assistente del preposito generale per le province di lingua italiana della Compagnia.

Compositore di molte musiche liturgiche, la sua ultima memorabile fatica è «Misericordes sicut Pater», l’«Inno della misericordia» per l’Anno Santo straordinario (2015-2016): «È semplice, tutti lo possono imparare e cantare. È stato concepito per un utilizzo ordinario nella liturgia. È in latino perché è la lingua liturgica: se utilizzato con circospezione, per assemblee diversificate, svolge la sua funzione perché la liturgia non è una macchina, né un masso granitico, non è bianco o nero, non è prendere o lasciare ma è un ricchissimo progetto a nostra disposizione».

Lo scorso anno, nel pieno della Pandemia, scrive un’appassionata difesa di Papa Francesco a piedi per le vie di Roma («Vatican news», 19 marzo 2020): «Guardare pensosi il passo, leggermente claudicante mentre, solitario, attraversa le strade del centro di Roma, all’inizio di una settimana segnata dal coronavirus, un momento non facile da dimenticare. Non lo si cancella facilmente e si rimane presi. C’è chi fa scattare ogni genere di critiche e osservazioni malevole, come se avesse fatto meglio a starsene chiuso in Santa Marta. Non c’è in lui nessuna intenzione esibizionistica nel bel mezzo di un momento drammatico. In preghiera a Santa Maria Maggiore e a San Marcello al corso, con il gesto umile e affettuoso dei fiori, che vale sempre come una presenza viva e un omaggio concreto di bellezza. Francesco non si propone come padrone di casa, ma come ospite gentile e gradito. La situazione è tesa, incerta e confusa. Nella preghiera cerchiamo maggiore chiarezza e conforto. Nessuno può dire di vedere brillare qualche luce in più. Il comportamento di Francesco è istruttivo e indica un modo di fare, un atteggiamento esemplare».

Pier Giuseppe Accornero

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