Il luogo dove a Torino si amministra la giustizia si riempie delle immagini di vita quotidiana degli «Invisibili», i senza fissa dimora che nelle città italiane e del mondo non godono della giustizia e che, per la condizione in cui vivono, vedono ristretta la propria libertà.
Si tratta della mostra fotografica di Mauro Raffini che dal 21 giugno al 3 settembre viene allestita nella caffetteria del Tribunale di Torino (corso Vittorio Emanuele II 130), promossa dall’Ufficio per la Pastorale dei Migranti della Diocesi torinese e dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Torino.
«Il luogo scelto per l’esposizione è certamente provocatorio», evidenzia don Fredo Olivero della Pastorale Migranti, «intendiamo riportare all’attenzione delle istituzioni e dei cittadini un problema sociale che ancora oggi resta irrisolto, nonostante l’impegno sinergico di vari attori del territorio e i passi avanti compiuti. Resta, infatti, aperta la sfida del reinserimento nella società delle persone che per vari motivi si vengono a trovare ai margini. I progetti virtuosi attivati, infatti, non hanno diminuito il numero dei senza tetto che ogni anno aumentano in modo esponenziale sulle nostre strade (in Italia sono oltre 50 mila)».
Gli scatti della mostra raccontano la condizione degli homeless negli ultimi 50 anni in diverse città d’Italia e dell’Occidente del mondo.
«Iniziai a fotografare i senza dimora nel 1968 a Londra», racconta il fotografo Mauro Raffini, «nell’ultimo decennio è cambiato il loro profilo: incontro, infatti, persone che fino a ieri conducevano una vita dignitosa e che per eventi destabilizzanti dall’oggi al domani sono approdate sulla strada e divenute «invisibili». Per alcuni di essi la situazioni è precipitata dopo aver scontato la pena in carcere per aver rubato lo cibo in negozi e supermercati: per dei nullatenenti la vita nei luoghi di detenzione è ancora più dura. E dopo il carcere diventa il percorso di reinserimento si fa più arduo. Le mie foto diventano quindi un appello per un sistema di giustizia reale nei confronti di queste persone attraverso strumenti concreti di inclusione sociale».
La caffetteria del Palazzo di giustizia, dove lavorano alcuni detenuti del carcere torinese, dallo scorso febbraio è diventata uno spazio di cultura inclusiva: ospita infatti mostre e dibattiti sui temi della giustizia, della legalità e dei diritti. Il bar è un luogo di passaggio a disposizione di associazioni, organismi e cittadini interessati a promuovere un’idea di umanità e di diritto che salvaguarda la dignità anche quando la libertà è ristretta.
«È significativo», conclude don Fredo Olivero, «che nello spazio ristretto del bar, dove servono i semiliberi e dove prendono il caffè avvocati, giudici e magistrati, saltino all’occhio le persone che la nostra società non riesce ancora a vedere e, quindi, accompagnare concretamente verso l’autonomia».