Una pesante incognita grava sul futuro del Parco della Salute, dopo le ultime modifiche annunciate dall’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Luigi Icardi. L’idea di tener fuori dal futuro polo ospedaliero tutti i servizi dell’area neonatale, di ostetricia e di ginecologia dell’attuale Sant’Anna potrebbe mettere a rischio l’intero progetto. Ne sono convinti autorevoli osservatori che danno come «molto probabile» una bocciatura del nuovo ospedale da parte del Governo e dei Ministeri a causa delle pesanti modifiche al progetto iniziale. Tra coloro che, con diverse competenze, hanno lavorato al dossier del Parco della Salute negli ultimi anni è ancora vivo il ricordo della severità con la quale il Ministero della Salute ha sempre bocciato qualsiasi ipotesi di scostamento dalla linea tracciata con lo Studio di fattibilità.
Prime modifiche. Non esente da pesanti contestazioni da parte dell’Ordine dei Medici, lo Studio prevedeva la costruzione di una struttura unica, capace di ricomprendere Molinette, Cto, Sant’Anna e Regina Margherita. Secondo il documento, avrebbe dovuto prendere forma nell’area della ex Fiat Avio di via Nizza (Lingotto) un Polo della sanità e della formazione clinica (127 mila metri quadrati, 1.040 posti letto), uno della ricerca medico-scientifica (10 mila metri quadrati), uno della didattica (per 5 mila studenti) e una foresteria.
Numerose modifiche hanno già segnato il cammino del progetto nascente: l’ospedale Cto manterrà la sua attività a media e bassa complessità nell’attuale struttura, cioè fuori dal futuro Polo di via Nizza; anche il Regina Margherita si è sfilato e resterà fuori. Ora appare destinato a stare fuori anche il Sant’Anna, per costituire addirittura un’Azienda sanitaria a sé stante.
Secondo l’Amministrazione regionale «Torino ha tutte le carte in regola per meritare la costituzione di un’azienda autonoma specializzata nell’area mamma-bambino sul modello del Gaslini di Genova, del Meyer di Firenze e del Bambin Gesù di Roma. Per questo – ha dichiarato nei giorni scorsi l’assessore alla Sanità – stiamo lavorando all’ipotesi di concentrare in un’unica struttura le migliori professionalità dell’area neonatale, ostetricia e ginecologia del Sant’Anna, destinando invece al costruendo Parco della Salute la ginecologia e la chirurgia oncologica e non oncologica delle donne».
Molinette 2. «Più che un nuovo Parco della Salute, se va bene in via Nizza sorgeranno le nuove Molinette». Con questa sintesi i critici dell’attuale Amministrazione regionale hanno commentato le recenti vicende. L’esclusione del Sant’Anna profila per il progetto unitario un declassamento a «costruzione di un nuovo presidio», con tutte le incognite del caso, prima fra tutte la convivenza con quelli esistenti, o quello che ne rimarrà.
L’Anaao Assomed, uno dei principali sindacati dei medici ospedalieri, ha elencato in una nota tutte le carenze dell’iter avviato dalla Regione e paventando l’ipotesi che «il progetto rimaneggiato non sia più appetibile per le imprese costruttrici». Il sindacato rappresentato da Chiara Rivetti e Marco Romanelli (segretario aziendale della Città della Salute) ha provocatoriamente chiesto all’Amministrazione regionale: «Era davvero così difficile trovare un sito adatto alla costruzione di un polo unico di eccellenza della sanità cittadina e regionale, che davvero racchiudesse in strutture moderne e progettate ad hoc le quattro anime dell’azienda (l’area della medicina e chirurgia dell’adulto, quella ortopedica-traumatologica, e quella materno infantile) coniugandole con le esigenze della didattica e della ricerca?».
Per la Regione, il tema dei costi non figura tra le ragioni della modifica del progetto, ben di più parrebbero pesare sottaciute ragioni di «campanile» fra aree mediche. Resta il nodo critico della vetustà delle strutture escluse dal Parco (Anni Trenta per il Sant’Anna, Cinquanta per il Regina Margherita) e quello del suo assoluto distacco dalla nuova struttura, nella nuova o nella vecchia versione, dalla rete territoriale dei servizi, sia residenziali, sia (seppur ridotti al lumicino) domiciliari.
Lungodgenza e Riabilitazione. La mancanza di un piano di continuità terapeutica in strutture sanitarie collegate e vicine al nuovo ospedale è un altro dei temi delicati, sollevati soprattutto dai rappresentanti dei malati. Alla diminuzione dei posti letto (pressoché dimezzati nel progetto originario rispetto all’attuale dotazione) si affianca, secondo gli osservatori del settore, l’impossibilità di formare medici e altri operatori sul trattamento dei malati cronici, spesso non autosufficienti, o con necessità di riabilitazione e lungodegenza, anziché di interventi «lampo» di alta complessità. Il risultato di una Sanità pubblica che non contempli questo bisogno (di gran lunga il più diffuso nella popolazione), senza che si provveda per tempo? La presidente della Fondazione promozione sociale, Maria Garzia Breda, avverte: «È una porta aperta alla totale delega ai privati per prestazioni convenzionate, cioè pagate dall’ente pubblico, sulle quali le Asl hanno dimostrato di non saper esercitare controlli. Oppure, addirittura, l’abbandono dei malati non autosufficienti».
Chieri e Settimo. Se il futuro della sanità ospedaliera cittadina non può dirsi sereno, nemmeno quella della provincia è esente da situazioni controverse. Nell’Asl To5 (che comprende i territori del chierese e del carmagnolese, fino ai confini con le provincie di Cuneo e Asti) 133 medici hanno recentemente inviato una lettera aperta alla Regione per chiedere chiarimenti sul «progetto di riorganizzazione ospedaliera, nella fattispecie riguardo alla costruzione del cosiddetto ‘Ospedale Unico’». Lamentano la vetustà degli ospedali di Chieri, Moncalieri e Carmagnola e la necessità di un nuovo presidio. D’altro canto, gruppi organizzati di cittadini dei tre comuni hanno già espresso negli anni la forte preoccupazione che un ospedale unico distante da quelli esistenti (negli anni scorsi si ipotizzò la sua localizzazione a Trofarello, Vadò e Pessione) di fatto annulli la presenza sanitaria sui territori.