Nell’arco del prossimo semestre è prevista la costituzione di Stellantis, il nuovo gruppo automobilistico che nascerà dalla fusione di Fca e di Psa, con un’operazione che costituisce una delle novità di rilievo del sistema internazionale dell’auto. Con l’avvicinarsi della scadenza, è naturale che crescano di intensità e di rilievo gli interrogativi sull’assetto che assumerà il gruppo e sulle conseguenze che vi saranno per le sue parti costitutive, in merito soprattutto a impianti produttivi e occupazione nei paesi toccati più direttamente dalla fusione. A Torino, in particolare, si avverte un’inquietudine crescente per gli effetti che la nascita di Stellantis avrà sulla filiera locale dell’auto, specie dopo che si è saputo che la nuova Punto sarà fabbricata in Polonia e che i fornitori locali non saranno coinvolti. La notizia ha accentuato il timore che l’avvio del nuovo gruppo possa comportare delle ricadute negative per l’automotive torinese, accentuando ulteriormente il suo processo di ridimensionamento. Allo stato attuale delle cose, non è facile trarre indicazioni precise, ma è possibile avanzare soltanto delle considerazioni in via di ipotesi, che potranno essere chiarite solo dal processo di convergenza fra le due case automobilistiche.
La situazione dell’automotive a Torino è in stallo da tempo, come segnalano i dati relativi alla produzione di autovetture: i veicoli realizzati nell’area sono stati 43.000 nel 2018 e 21.000 nel 2019. È evidente che il loro numero si contrarrà ancora nel 2020, l’anno del coronavirus. Ad agosto, del resto, i dati segnalavano per l’anno in corso una caduta del mercato italiano per le marche di Fca superiore al 40%. Anche nel migliore dei casi, è palese che la contrazione non potrà essere recuperata nei mesi restanti e che dunque il 2020 rimarrà come un anno di grave crisi dell’auto.
Torino è stata particolarmente colpita dall’arretramento sia del marchio Fiat sia di quello Maserati. La produzione locale avrebbe dovuto conoscere un tentativo di rilancio, sia pure molto parziale, grazie alla presentazione della 500 Bev (completamente elettrica), il cui esordio dovrebbe ormai essere imminente, ma è ben difficile che il nuovo modello possa conseguire una forte affermazione di mercato. Le auto elettriche sono costose, difficili da mantenere (è opportuno che il proprietario possegga una centralina di ricarica) e devono poter contare su una rete vasta ed efficiente di punti di ricarica. Su quest’ultimo aspetto, in special modo, Torino, il Piemonte e l’Italia in generale sono in ritardo ed è questa una condizione destinata a influire sul mercato delle vetture elettriche, pur in netta espansione.
È improbabile perciò che l’automotive torinese possa riporre molte aspettative nella 500 Bev, quand’anche essa dovesse essere ben accolta dal mercato: non si tratta di una produzione che al momento possa trainare una ripresa. E forse non potrà farlo nemmeno in prospettiva, dal momento che Stellantis utilizzerà soprattutto le piattaforme francesi per le auto elettriche, che verranno generalizzate sui modelli del gruppo.
Torino però non è solo Fiat e Mirafiori. A Grugliasco vi è lo stabilimento ex Bertone che alcuni anni fa è stato acquisito e riorganizzato per ospitare le lavorazioni dei prodotti col marchio Maserati. Questo marchio era parso avere un buon esordio al momento del suo recupero, ma poi, soprattutto nei tempi più recenti, ha ripiegato. Le sue vendite si sono pressoché dimezzate, allontanandosi dagli obiettivi che erano stati posti. La colpa non può essere attribuita al declino dei mercati, ma va imputata anche allo scarso rinnovamento della gamma dei modelli, che non è stata aggiornata come sarebbe stato necessario. Ora la presentazione di una nuova vettura dovrebbe essere imminente, ma occorrerà valutare la sua presa all’interno di un mercato complicato e concorrenziale come quello delle auto di costo elevato e di alta qualità.
Più in generale, per le produzioni italiane esiste un problema di investimento. Per Maserati e ancor più per Alfa Romeo non si è investito a sufficienza nella gamma. Questa è per gli anni a venire la questione determinante, soprattutto per la sorte in prospettiva di questi marchi. I marchi italiani e la produzione ad essi relativa dipendono dai volumi d’investimento che saranno attuati. Bisognerà vedere il peso che ciò avrà nel piano industriale di Stellantis. Per quanto riguarda Fca, essa aveva già indicato, fin dal piano presentato all’inizio dell’estate del 2018 (quando c’era ancora Sergio Marchionne), in 5 miliardi di euro il totale degli investimenti per gli impianti italiani. Questa cifra è stata reiterata in numerose dichiarazioni successive, fino alle più recenti, quando la società italiana del gruppo ha ricevuto, grazie all’intervento del governo, un finanziamento agevolato di 6,3 miliardi di euro. Cinque miliardi rappresentano una cifra ingente, che meriterebbe di essere meglio dettagliata. Ma non sembra che il governo abbia fin qui avanzato richieste in merito.