Nel 2018 uccisi nel mondo quaranta missionari

Agenzia Fides – Nell’annuale rapporto, pubblicato in occasione della Giornata dei missionari martiri di domenica 24 marzo, sono 40, quasi il doppio del 2017, i missionari uccisi nel 2018 in odio alla fede, in rapine e furti, in contesti di povertà e degrado

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Sono 40, quasi il doppio del 2017, i missionari uccisi nel 2018 di cui 35 sacerdoti, in odio alla fede, in rapine e furti, in contesti di povertà e degrado, dove la violenza è  regola, lo Stato latita, la magistratura è fiaccata dalla corruzione, la religione è strumentalizzata. Lo dice l’agenzia Fides della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Nel mondo 3 mila cristiani sono stati soppressi negli ultimi 12 mesi: in Nigeria 500 sono falciati e Rebecca Bitrus è rapita e violentata dai terroristi islamici di Boko Haram; 11 cristiani copti in Egitto. Sono ricordati il 24 marzo, nell’anniversario dell’assassinio, il 24 marzo 1980, dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero, santo con Paolo VI dal 14 ottobre 2018.

IN AFRICA 19 SACERDOTI, 1 SEMINARISTA E UNA LAICA – Nella Repubblica Democratica del Congo, Thérese Deshade Kapangala, 24 anni, postulante tra le Suore della Sacra Famiglia, è uccisa in gennaio a Kintambo dai militari che stroncano le proteste contro il presidente Joseph Kabila, in carica dal 2001: sparano contro coloro che riparano in chiesa dove Thérese partecipa alla Messa e cade mentre cerca di proteggere una bambina con il suo corpo. Brutale il massacro in Nigeria di don Joseph Gor e don Felix Tyolaha. Il 24 aprile pastori-terroristi islamici a Mbalom sparano ai fedeli che entrano in chiesa e ne uccidono a sangue freddo 19, tra cui i due sacerdoti. Poi razziano e radono al suolo più di 60 case. Cinque preti ammazzati nella Repubblica Centrafricana in quattro diversi attacchi: anziano e molto amato don Albert Toungoumale-Baba, 71 anni, ucciso nella parrocchia Nôtre-Dame de Fatima nella capitale Bangui. Mentre celebra Messa il 1° maggio un gruppo armato entra in chiesa e spara: 16 morti e un centinaio di feriti.

IN AMERICA UCCISI 12 SACERDOTI (7 IN MESSICO) E 3 LAICI – Don Juan Miguel Contreras García, 33 anni, da poco ordinato, il 20 aprile è ucciso da un commando al termine della Messa nella parrocchia San Pio da Pietrelcina di Tlajomulco, dove sostituisce un altro prete minacciato di morte. Si dedica all’educazione delle famiglie dell’Amazzonia padre Carlos Riudavets Montes, gesuita spagnolo di 73 anni, trovato legato e con segni di violenze nella comunità indigena di Yamakentsa in Perù. Nel mondo 300 milioni di cristiani sono perseguitati a causa della fede. L’unica buona notizia del 2018 è la liberazione in Pakistan di Asia Bibi dopo quasi dieci anni di carcere duro, ingiustamente condannata a morte in base alla legge sulla blasfemia. L’azione della Chiesa è fondamentale per promuovere un avvicinamento tra persone di religioni diverse. Una suora, che lavora in Libano tra i cristiani fuggiti dalla Siria, racconta che un musulmano, fortemente ostile ai cristiani, ci ripensa e ora aiuta la comunità.

IN MESSICO UN’ECATOMBE – Durante la «guerra cristera», sollevazione popolare dei cattolici che fece tremare il potere messicano nel 1923-1926, le truppe del presidente-generale Plutarco Elias Calles, massone e anticlericale, fecero strage di preti. Lo storico Jean Meyer parla di 125, per lo più fucilati nelle chiese; il presidente Calles in un’intervista al londinese «Daily Express» rivelò di averne fatto fucilare 50; lo storico messicano don Juan González Morfín parla di 91 uccisioni e fornisce nomi e cognomi. Durante la presidenza di Ernesto Zedillo (1994-2000) le vittime sono 3; con Vicente Fox (2000-2006) sono 4; con Felipe Calderon (2006-2012) balzano a 17; con Enrique Peña Nieto (2012-2018) ben 26 preti uccisi e 2 spariti. Negli ultimi 12 mesi ben 7.

PRETI E GIORNALISTI I PIÙ COLPITI – Il sacerdote paolino messicano Omar Sotelo, direttore del Centro cattolico multimediale, aggiorna le cifre del più grande massacro di sacerdoti in una situazione non bellica e le espone a «Proceso», principale settimanale messicano. L’inizio della mattanza coincide con la guerra al narcotraffico dichiarata dal presidente Felipe Calderón nel 2006. Sotelo precisa che non possono essere considerate «vittime collaterali» di uno scontro tra Stato e «narcos» o criminalità organizzata dedita alla tratta, alla prostituzione e al commercio di migranti: «Il prete è una specie di stabilizzatore sociale; nella sua parrocchia offre non solamente aiuti spirituali ma anche educativi, di salute, di diritti umani e assistenza ai migranti. Il crimine organizzato sa bene che uccidere un prete causa una destabilizzazione nella comunità, semina la paura e un clima favorevole per agire senza esporsi». Non è un caso che i sacerdoti e i giornalisti, due entità che generano opinione pubblica, siano presi di mira dal crimine e dai «narcos». Il messaggio è chiaro: «Se posso uccidere un prete, posso uccidere chiunque».

IL «CLERICIDIO» E L’IMPUNITÀ – Padre Sotelo conia «clericidio», termine efficace che sintetizza la condizione del clero del suo Paese, un perdurante assassinio di preti eliminati in quanto tali, come nella «ribellione cristera»: «Siamo di fronte a un “clericidio”, non si può chiamare in altro modo. Questi crimini sono eseguiti con tremenda ferocia: prima rapiscono i preti, poi li sottopongono a orribili torture e alla fine li uccidono». Fa notare che vengono oltraggiati dopo l’uccisione: «Dopo la morte arriva la diffamazione: l’obiettivo è criminalizzare il prete, accusandolo di essere un pederasta, un dissoluto o di essere colluso con il “narco”. Per le autorità che indagano questo rappresenta una facile scappatoia perché dicono: “L’hanno ucciso perché se l’è cercata”. È così che la questione è accantonata e i crimini restano impuniti». L’impunità dilaga in Messico. Nessuno degli autori degli assassini è stato identificato, processato e condannato come colpevole. Osserva il direttore del Centro cattolico multimediale: «I parroci sono un bersaglio facile per le bande criminali perché conducono una vita solitaria e devono prendersi cura di comunità spesso isolate senza alcuna misura di sicurezza». Anche per questo la Chiesa messicana ha redatto un vademecum di raccomandazioni: non andare di notte per le strade, evitare «pueblos» isolati e lontani dai centri urbani, non spostarsi da soli, usare giubbotti antiproiettile e la scorta.

 

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