Spesso nelle controfacciate delle chiese romaniche o altomedioevali erano affrescate scene di giudizio (diavoli, inferno, purgatorio) con un chiaro intento sociale nella regolamentazione dei costumi. Questo immaginario che sembrava aver esaurito il suo potere di suggestione, mi pare ritorni (con diversificate e inedite declinazioni) in diverse forme, di cui la minaccia terroristica è la più tipica. Questo clima culturale, mediatico e certamente politico non è estraneo ai fenomeni di massa e ai fenomeni religiosi come Freud li ha descritti.
Soprattutto due aspetti mi hanno interessato e allertato in questi ultimi anni: in primis le forme che la comunicazione ha preso, qualcosa che assomiglia alla propaganda, per utilizzare un termine politico, o alla suggestione di cui parla Freud in «Psicologia delle masse»; in seconda battuta, un funzionamento sociale fortemente imparentato con quello che Freud ed altri autori (Le Bon e Canetti in particolare) hanno chiamato «massa», cercando di individuarne i funzionamenti e le ricorrenze.
Un libro di Remo Bodei, «Destini personali» (2002) che conclude una trilogia, comporta due parti: una prima che si potrebbe considerare come una analisi del soggetto postmoderno e una seconda dedicata alle masse: «L’età della colonizzazione delle coscienze», che compare in copertina come sottotitolo. Dopo l’11 settembre 2001 (diventato per molti uno spartiacque) abbiamo sentito ripetere, anche troppo, che «nulla sarà più come prima» o che «il mondo è cambiato», con esplicito riferimento non tanto a condizioni materiali quanto a qualcosa di mentale.
L’angosciante esperienza di sentirsi vulnerabili, esposti all’azione di un nemico che può trasformare, improvvisamente, la quotidianità in tragedia, riaccende un sentire oscuro e potente che per secoli ha alimentato la vita dei popoli: la paura della contaminazione, la paura di chi sta al di là di un limite e per questa stessa ragione si oppone a noi (cfr. R. Escobar, «Metamorfosi della paura»). Elias Canetti nel suo «Massa e potere» descrive il funzionamento di quella che chiama una massa doppia che, come tale, si regge sulla contrapposizione e determina una paura che potremmo, in prima battuta, chiamare speculare.
Un primo aspetto di questa antica paura, oggi declinata con forme inedite, è proprio il limite, la linea di demarcazione con cui distinguiamo il noi dagli altri. Questa linea sembrerebbe rafforzata ponendo l’Occidente sotto una identità ricostituita ma nello stesso tempo indebolita perché si accompagna alla constatazione di non poter più chiudersi all’interno di confini netti. Il limite è politico piuttosto che, come pretendono alcuni, religioso. Si demanda alla religione una funzione che parrebbe in contraddizione con molti contenuti delle religioni in gioco, e questa funzione sarebbe appunto quella di opporre. Con ogni probabilità se non ci fosse, come in questo caso, una dimensione religiosa oggettiva che può far distinguere Oriente e Occidente, ne inventeremmo un’altra.
Fino al 1989, individuata come data spartiacque, il limite si alimentava non più su opposizioni religiose, ma prevalentemente ideologiche. Due paure speculari hanno retto il mondo fino a ieri, dando forza al nostro ottimismo sotterraneo. Fino a ieri, dalla minaccia dell’annientamento reciproco i due ‘grandi nemici’ traevano consistenti strumenti per governare l’ostilità. Anche la previsione della catastrofe avvenuta era trasformata in una paradossale via di fuga dall’angoscia. La paura, secondo Norbert Elias («Humana conditio. Osservazioni sullo sviluppo dell’umanità nel quarantesimo anniversario della fine di una guerra», 1987), è stata, per più di quarant’anni, un gioco di specchi ambiguo: malattia e nello stesso tempo rimedio. Il mondo, diviso e unito dal dominio dei due fratelli nemici, si teneva saldamente dentro lo schema canettiano della massa doppia, dilatato fino a includere l’intero pianeta. In una reciprocità mimetica interminabile ognuna delle due parti scorgeva la conferma della propria immagine nell’immagine rovesciata dell’altra.
Tutto questo è durato per circa quarant’anni: poi il crollo. All’improvviso, non più ‘grandi nemici’. Sono svaniti i confini che si fondavano nella simmetria della grande semplificazione. Ne è nato uno stupore, uno spaesamento di massa. Scomparsi gli specchi, sono scomparsi anche i fantasmi simmetrici che sostenevano e avvelenavano l’immaginario politico: così, per qualcuno ha preso corpo un inaspettato ottimismo. A qualcuno è sembrato che il mondo nel suo complesso si fosse fatto univoco: solo nostro. Altri l’hanno visto farsi plurale ampio e aperto: potenzialmente più ricco e libero di quanto fosse mai stato e così è stato annunciato quello che periodicamente viene annunciato sul mercato delle idee di seconda e terza mano: la fine della storia, il superamento del conflitto tra modelli politici e sociali, l’instaurarsi di uno sviluppo lineare, senza più blocchi, senza più totalitarismi, né di sinistra né di destra.
L’89 e il finire del millennio non producono però solo ottimismi. Ci sono anche pessimismi estremi. La fine della fede nei vecchi fantasmi non è però la fine della fede nei fantasmi. Alle due paure che hanno dato forma a percezioni storicizzate dell’Altro se ne sostituisce una diversa. Questa non è più strutturata secondo la figura canettiana della massa doppia, è indefinita, non univocamente afferrabile. Prendono forma nuove declinazioni della paura: in esse si muovono fantasmi meno definiti, il desiderio di paura, paradossalmente, è ancor più alimentato dalla non possibilità di nominare in modo preciso un nemico.
Volendo azzardare una qualche approssimazione sulle nuove declinazioni del fantasma, si può forse dire che sono i popoli del Sud del mondo che hanno sostituito l’Est nel ruolo di nemico dell’Ovest. Il confine che correva tra Est e Ovest era un fronte, ora sembra che si delinei un limes. Mentre il primo era una linea di separazione, ma anche di contatto (in Europa correva pur sempre al suo interno), il secondo sembra isolare ed escludere, venendo meno il terreno comune della religione, dello spirito filosofico. In termini canettiani, il fronte attraversa linearmente una massa doppia che, come tale, si regge sulla contrapposizione (o sul confronto speculare e fraterno) tra due metà di uno stesso intero: l’una tiene in vita l’altra, l’odio e il riconoscimento si implicano.Il limes invece è alimentato dal senso di persecuzione d’una massa: la circonda come le mura circondano una città assediata. Fuori delle mura non c’è l’altro, non c’è un nemico che si possa riconoscere e che ci possa riconoscere. C’è piuttosto il disordine, un pericolo non definibile compiutamente e dal quale neppure ci si può attendere d’essere compiutamente definiti. La massa si conferma e si solidifica certo a causa del pericolo e del senso di persecuzione, ma restando tutta all’interno di sé.
I nuovi barbari che, nell’immaginario, cingono d’assedio l’impero vengono dal Terzo e dal Quarto mondo e penetrano fino nel Primo. La geografia simbolica del limes non riesce a erigere mura capaci di resistere all’infezione o di bloccare il contagio. I barbari non sono solo alle nostre porte, si insinuano tra noi. Ed è qui, tra noi, che deve correre un confine più radicale e più rigido. L’esclusione che non ci riesce verso l’esterno deve essere spostata all’interno: nell’immaginario, nel funzionamento psichico soggettivo, nella mente sociale, se vogliamo attenerci all’affermazione inaugurale di Freud in «Psicologia delle masse e analisi dell’Io» che non vi è contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia sociale o delle masse:
È dentro la città che si erigono nuove separazioni, difese più sicure, confini più certi. È nel nuovo territorio, sociale e soggettivo, realmente e immaginariamente invaso, che l’odio, parola a parola, muro a muro, erige barriere di filo spinato. Il funzionamento sociale e soggettivo si fa sempre più bipolare fino ai limiti della paranoia e lo psicanalista non può non essere sollecitato dall’ampiezza dell’attenzione che Canetti riserva a Schreber nell’ultima parte del suo lavoro dedicata a dominio e paranoia:
Charles Melman nelle sue «Osservazioni contemporanee sulla psicologia delle masse» evidenzia che la positivizzazione dell’istanza fondatrice delle comunità nazionali produce una «organizzazione paranoica del sistema» che individua uno spazio omogeneo (quella dei nativi sulla base del sangue o di quelli che condividono lo stesso «spirito filosofico»), spazio che esclude l’alterità e si circonda di una frontiera che difende da ciò che è divenuto lo straniero, figura sempre pronta a svelare il suo lato ostile. I barbari, quando vengono da ‘fuori’, trovano sempre ‘dentro’ qualche predisposizione.