Accordo, «provvisorio» ma storico, tra Santa Sede e Cina. Sabato 22 settembre 2018 la Sala stampa vaticana emette tre comunicati in lingua italiana, inglese, cinese:
ACCORDO PROVVISORIO – «Nel quadro dei contatti tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, in corso da tempo per trattare questioni ecclesiali di comune interesse e per promuovere ulteriori rapporti di intesa, oggi, 22 settembre 2018 (21 settembre in Cina, n.d.r.), si è svolta a Pechino una riunione tra mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i rapporti con gli Stati, e il signor Wang Chao, viceministro degli Esteri, capi delle delegazioni vaticana e cinese. I due rappresentanti hanno firmato un accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi. L’accordo, frutto di un graduale e reciproco avvicinamento, stipulato dopo un lungo percorso di ponderata trattativa, prevede valutazioni periodiche sull’attuazione. La nomina dei vescovi è questione di grande rilievo per la vita della Chiesa e crea le condizioni per una più ampia collaborazione. È auspicio condiviso che l’intesa favorisca un fecondo e lungimirante percorso di dialogo istituzionale e contribuisca positivamente alla vita della Chiesa in Cina, al bene del popolo cinese e alla pace nel mondo».
COMUNIONE TRA IL PAPA E I VESCOVI – «Al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina, Papa Francesco ha deciso di riammettere nella piena comunione ecclesiale i rimanenti vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio: Giuseppe Guo Jincai, Giuseppe Huang Bingzhang, Paolo Lei Shiyin, Giuseppe Liu Xinhong, Giuseppe Ma Yinglin, Giuseppe Yue Fusheng, Vincenzo Zhan Silu e Antonio Tu Shihua, deceduto il 4 gennaio 2017: prima di morire espresse il desiderio di essere riconciliato con la Sede Apostolica. Francesco auspica che si possa avviare un nuovo percorso che consenta di superare le ferite del passato realizzando la piena comunione di tutti i cattolici cinesi, chiamati a vivere in più fraterna collaborazione per portare con rinnovato impegno l’annuncio del Vangelo. La Chiesa esiste per testimoniare Gesù Cristo e l’amore perdonante e salvifico del Padre».
UNA SOLA DIOCESI NELLA CINA CONTINENTALE – «Nel desiderio di promuovere la cura pastorale del gregge del Signore e per attendere più efficacemente al suo bene spirituale, Francesco ha costituito nella Cina continentale la diocesi di Chengde, suffraganea di Beijing (Pechino), con sede nella Cattedrale di Gesù buon pastore, sita a Shuangluan “Città di Chengde”. Una parte rilevante del territorio della nuova diocesi appartenne anticamente al vicariato apostolico della Mongolia orientale, eretto il 21 dicembre 1883 ed elevato a diocesi di Jehol-Jinzhou con la bolla “Quotidie nos” di Pio XII dell’11 aprile 1946. La nuova circoscrizione è nella nella provincia di Hebei. Il territorio è compreso negli attuali confini della “Città di Chengde” e include otto distretti rurali (Chengde, Xinglong, Pingquan, Luanping, Longhua, Fengning, Kuancheng e Weichang) e tre divisioni amministrative (Shuangqiao, Shuangluan e Yingshouyingzikuang). Vengono modificati i confini delle diocesi di Jehol/Jinzhou e di Chifeng, in quanto una porzione del loro territorio viene assegnata ora alla nuova diocesi di Chengde. Questa ha un’area di 39.519 chilometri quadrati e una popolazione di circa 3,7 milioni di abitanti. Secondo dati recenti, vi sono circa 25.000 cattolici, distribuiti in 12 parrocchie, nelle quali prestano servizio 7 sacerdoti, una decina di religiose e alcuni seminaristi».
NON LA FINE MA L’INIZIO DI UN CAMMINO – Per Greg Burke, direttore della Sala Stampa vaticana, «Questa non è la fine ma l’inizio di un processo. L’obiettivo non è politico ma pastorale, permettere ai fedeli di avere vescovi in comunione con Roma e riconosciuti dalle autorità». Nel commento diffuso da «Vatican News» il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin afferma: «La firma riveste una grande importanza per la Chiesa in Cina e per il dialogo tra Santa Sede e Pechino, ma anche per il consolidamento deella pace. L’obiettivo della Santa Sede è pastorale, aiutare le Chiese locali a godere di maggiore libertà, autonomia e organizzazione in modo che possano dedicarsi all’annuncio del Vangelo e contribuire allo sviluppo integrale della persona e della società. Per la prima volta dopo tanti decenni, i vescovi cinesi sono in comunione con il Vescovo di Roma. C’è bisogno di unità, di fiducia e di nuovo slancio; c’è bisogno di pastori buoni, riconosciuti dal successore di Pietro e dalle autorità civili. L’accordo si pone in questo orizzonte: è uno strumento che può aiutare questo processo con la collaborazione di tutti. Alla comunità cattolica il Papa affida l’impegno di vivere un autentico spirito di riconciliazione tra fratelli, ponendo gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni. I cattolici in Cina potranno testimoniare la fede, vivere un genuino amore di patria e aprirsi al dialogo tra tutti i popoli e alla promozione della pace».
TRATTARE CON UN GOVERNO COMUNISTA – Nell’aprile 2018 Parolin, a una domanda sul perché la Santa Sede tratta con un governo comunista che nega la libertà religiosa, rispose: «Se il governo non fosse comunista e rispettasse la libertà religiosa, non ci sarebbe bisogno di trattare: avremmo già ciò che vorremmo». Parole chiarissime. I concordati e gli accordi sono necessari per cercare di risolvere i problemi. Nell’ottica ecclesiale l’unità e la comunione dei vescovi con il Papa è un elemento primario. Ogni lettura politica o geopolitica dell’accordo – anche se proposta, suggerita, sbandierata da quanti hanno cercato di farlo fallire paventando una «svendita» al potere comunista – non regge di fronte ai fatti. Parolin ripete: «Il nostro non è uno scopo politico. Ci hanno accusato di volere le relazioni diplomatiche. Ma alla Santa Sede non interessano i successi diplomatici, interessano gli spazi di libertà per vivere una vita normale, fatta di comunione con il Papa».
LE DUE COMUNITÀ VERSO LA RICONCILIAZIONE – Da sempre fiero oppositore dell’accordo è l’86enne cardinale cinese Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong: salesiano, ha studiato a Torino-Crocetta e fu ordinato prete (probabilmente dal cardinale Maurilio Fossati) l’11 febbraio 1961. Alla «Reuters» ha detto che «Parolin deve dare le dimissioni. Io non penso che lui abbia fede. Egli è solo un buon diplomatico in senso molto secolare e mondano». A parte la richiesta di dimissioni – diventata uno sport praticato da ecclesiastici di rango che hanno smarrito il senso delle proporzioni – colpisce l’ergersi a giudice della fede personale di Parolin, noto per l’umiltà e per anteporre l’essere prete e vescovo all’attività diplomatica. Sostiene Parolin: «È fondamentale che la Chiesa sia unita, che la comunità ufficiale, sottoposta al controllo del governo, e quella “clandestina”, possano essere unite. Scopo di tutto il lavoro è la comunione fra le due comunità e la comunione della Chiesa cinese con il Papa». A «Vaticaninsider-La Stampa» Parolin disse: «La finalità della Santa Sede è la salvaguardia della comunione nella Chiesa, nel solco della genuina tradizione e della costante disciplina ecclesiastica. In Cina non esistono due Chiese, ma due comunità di fedeli chiamate a compiere un cammino di riconciliazione. Si tratta di trovare soluzioni pastorali realistiche che consentano ai cattolici di vivere la fede. La Santa Sede conosce le gravi sofferenze patite dai cattolici e la loro generosa testimonianza. Ma la libertà della Chiesa e la nomina dei vescovi sono sempre stati cruciali nei rapporti tra la Santa Sede e gli Stati».
Nomina dei Vescovi, storico accordo fra Cina e Santa Sede
Raggiunta un’intesa che aiuterà a ristabilire l’unità della Chiesa cinese con il Papa. L’analisi di Ermis Segatti – Storia delle relazioni Cina-Santa Sede