Povera Torino. Sono passati pochi giorni da quando Fca ha svelato la strategia operativa del prossimo triennio 2019-2021 e oggi è già tutto in discussione. Il Piano, lo ricordiamo, prevede un investimento di 5 miliardi di euro per la realizzazione di 13 nuovi modelli, di cui 12 con motorizzazioni ibride, fino ad arrivare alla propulsione a zero emissioni.
Il Piano prevede di installare a Mirafiori la prima piattaforma 100% elettrica applicata sulla nuova Fiat 500 che sarà pronta nel primo trimestre 2020 e potrà essere utilizzata per altri modelli a livello globale. Per l’Agap di Grugliasco è previsto il restyling del Levante e l’ibridazione plug in hybrid per Ghibli e Quattroporte.
Una dichiarazione di fiducia assai importante nelle competenze automotive di Torino che potrebbe svanire (il condizionale è d’obbligo soprattutto di questi tempi) a causa di un emendamento del Governo all’articolo 79 bis delle legge di Bilancio che introduce la «ecotassa» e incentiva l’acquisto di auto poco inquinanti. Nella sua versione originale il sistema bonus-malus, così è stato battezzato, introduce un prelievo che colpirà l’acquisto di auto immatricolate tra il primo gennaio 2019 e il 31 dicembre 2021 in base alle emissioni di anidride carbonica (CO2).
La ‘minaccia’ di introdurre l’ecotassa ha scatenato le reazioni di Fca, dei sindacati e di tutte le associazioni di categoria tornate a fare fronte comune dopo tanti anni di separazioni. Il Presidente dell’Unione Industriale di Torino è stato il più esplicito, definendo una «beffa» la scelta del Governo.
Nella lettera inviata al Consiglio regionale del Piemonte, dove doveva tenersi un incontro «aperto», che è stato rinviato, il responsabile Emea del Lingotto Pietro Gorlier ha «minacciato» a sua volta di rivedere il piano industriale se il sistema bonus-malus non sarà abolito o quanto meno modificato. Per Gorlier tale sistema «inciderà significativamente sulla dinamica del mercato in una fase di transizione del settore estremamente delicata, modificando le assunzioni alla base del nostro piano industriale» e aggiunge «se tale intervento fosse confermato fin dal 2019, riferendosi all’imposta sulle emissioni, si renderà necessario un esame approfondito dell’impatto della manovra e un relativo aggiornamento del piano».
Alla presa di posizione di Fca hanno fatto eco i dirigenti dell’Anfia, secondo i quali con l’introduzione dell’ecotassa si penalizza l’80% del parco auto costituito da vetture di uso comune, più popolari come la Panda1.2, la Y, la Citroen C3, la Renault Clio e la Golf 1.0. Sempre secondo l’Anfia in uno scenario di ecotasse in Italia il mercato delle auto che un tempo chiamavamo «utilitarie» subirà un calo dell’8% all’anno con l’avvertenza che non saranno le vetture elettriche a bilanciare il calo dal momento che in Italia ci sono 2 milioni di immatricolazioni e di mezzi elettrici se ne acquistano 2mila. Un’avvertenza ovvia, ma anche un invito a non attendersi miracoli, nel breve e forse anche nel medio periodo, dal passaggio alla combustione zero dal momento che, sempre secondo gli studi Anfia, solo una piccola parte della filiera automotive (poco meno di un terzo) ha un progetto di sviluppo dell’elettrico.
Di fronte alla minaccia di Fca e alle richieste di abolire l’ecotassa che provengono all’interno della stessa maggioranza di Governo, i fautori del provvedimento si sono detti favorevoli a rivedere le soglie di emissione di anidride carbonica per l’applicazione dell’ecotassa e ad estendere il bonus all’acquisto di motorini elettrici o ibridi. Anche queste nuove soglie avvantaggiano i concorrenti di Fca, che sono più avanti sul fronte delle auto elettriche e ciò contribuisce a spiegare la posizione fortemente critica della stessa Fca nei confronti dell’intero sistema di incentivi e disincentivi.
Abituati come siamo al succedersi di promesse e smentite e difficile prevedere come andrà a finire l’intera vicenda. Siamo certi invece che a pagare le spese di questa «politica dell’improvvisazione», come la chiama giustamente il Presidente Gallina, saranno ancora una volta territori come il nostro che confidano nel rilancio dell’automotive per contrastare il declino. Le uniche cose certe per il momento sono la cassa integrazione a Mirafiori e il rinnovo al 30 giugno 2019 dei contratti di solidarietà a Grugliasco.
Proprio in questi giorni la Giunta presieduta da Sergio Chiamparino ha approvato la delibera che dà il via libera al dossier per candidare il sistema locale del lavoro di Torino (112 comuni per un milione e 700 mila abitanti) quale «area di crisi industriale complessa». Basterà questo riconoscimento, se ci sarà, a rilanciare l’industria e l’economia torinese? Di fronte alla decisione di bussare alla porta (e alle risorse) del Ministero dello sviluppo perché ci aiuti a risolvere i nostri problemi si prova la sensazione che Torino abbia deciso di arrendersi, getta la spugna, non ce la fa da sola a risolvere i suoi problemi e chiede aiuto al Ministero. Eppure, anche di fronte alle situazioni più difficili, al crescente numero di giovani accumunati dalle difficoltà di realizzare un «normale progetto di vita» c’è sempre stato chi ha sostenuto che Torino ha in sé i germi per uscire dal declino; che Torino ha la forza che le deriva dalle molte «eccellenze». Un sano ottimismo della ragione; una dimostrazione di orgoglio, che rischiano di venir meno nel momento in cui si fa affidamento su altri per risolvere i nostri problemi.
Di fronte a questa prospettiva cosa hanno da dire, come reagiscono quanti hanno creduto e credono che Torino ce la possa fare da sola? In realtà questo modo di procedere per tentativi rende sempre più evidente la mancanza di una strategia che definisca dove si vuole arrivare e su quali motori puntare per accrescere la produttività del sistema economico, condizione indispensabile per offrire ai giovani un lavoro stabile e dignitoso.