Nosiglia ai giudici, “mobilitare le coscienze contro la criminalità”

Torino – Pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo ha tenuto il 31 gennaio durante la Messa per l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte d’Appello presso la chiesa dei Missionari della Consolata in corso Ferrucci

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Pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha tenuto la mattina del 31 gennaio durante la Messa per l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte d’Appello di Torino presso la chiesa dei Missionari della Consolata in corso Ferrucci.

Sono lieto di rivolgervi un saluto e insieme un vivo grazie per
avermi invitato a celebrare questa santa Messa alla vigilia della
cerimonia di apertura del nuovo anno giudiziario nel Tribunale di
Torino. Purtroppo non mi sarà possibile essere domani presente avendo
in contemporanea l’avvio dell’anno giudiziario del tribunale
interdiocesano del Piemonte. Ho accettato volentieri questa occasione
della Santa Messa, anche per potervi esprimere dal vivo
l’apprezzamento e la riconoscenza della Chiesa di Torino per il vostro
autorevole e importante servizio al bene comune e alla giustizia che
svolgete con professionalità e competenza nel Tribunale.
La Parola di Dio ci ha fatto recitare il salmo dice tra l’altro: così
“sei giusto Signore nella tua sentenza e sei retto nel tuo giudizio”.
Essa si riferisce all’episodio del Re Davide che usa il suo potere per
una scelta di ingiustizia verso Uria fino a farlo uccidere pur di
avere sua moglie, e viene condannato per questo da Dio. Tale episodio
dunque pone in risalto situazioni che richiamano il vostro servizio e
i soprusi che dovete spesso giudicare.

Oggi appare sempre più necessaria una esigenza fondamentale per la
nostra società: quella della legalità e della giustizia. Si tratta di
due realtà strettamente congiunte e complementari: la legalità, ossia
il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce una condizione
fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini.
Se manca l’osservanza di chiare e legittime regole di convivenza
oppure se queste non sono applicate con giustizia prevalgono
l’arbitrio o il potere, l’individualismo esasperato che assolutizza il
proprio bene rispetto al bene comune.

La rincorsa al bene-avere spesso ha oscurato l’esigenza del
bene-essere; la burocratizzazione della vita nel rapporto tra
cittadino e Stato ha accresciuto la dipendenza dal potere, la
costituzione e la proliferazione di organici gruppi alternativi alla
legge, che dispongono di reti relazionali e di ingenti mezzi economici
e promuovono pressioni e persuasioni anche occulte nella linea della
irresponsabilità.

D’altra parte le leggi devono corrispondere all’ordine morale poiché
se il loro fondamento immediato è dato dall’autorità legittima che le
emana, la loro giustificazione più profonda viene dalla stessa dignità
della persona umana che si esprime storicamente nella società, anzi
nella condizione creaturale dell’uomo, per cui vindice della sua
dignità non è semplicemente lo Stato ma Dio stesso.

Il rispetto della legalità e della giustizia non è un semplice atto
formale ma un gesto personale che trova nell’ordine morale la sua
anima e la sua ultima giustificazione. Ciò spiega come la caduta del
senso della legalità può avere radici diverse che vanno dal modo di
gestire il potere politico o finanziario ed economico al modo di
formulare le leggi, alla cultura ed educazione al senso di giustizia e
solidarietà tra le persone e alla loro moralità. La promozione e la
difesa della giustizia è un compito di ogni cittadino che radicandosi
nella coscienza e responsabilità personale non può essere delegato ad
alcuni soggetti istituzionalmente preposti a specifiche funzioni dello
Stato.

Per questo la Chiesa si fa carico delle educazione alla legalità e del
sostegno della giustizia perché è pienamente convinta che in questo
sta non solo una serena vita delle persone, ma anche la pacifica
convivenza della intera società. Giovanni Paolo II affermava che una
autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla
base di una retta concezione umana.

Nel nostro Paese la crisi della legalità si manifesta anzitutto nella
esplosione della micro o grande criminalità. C’è una specie di
assuefazione alla micro criminalità considerata un male minore e
inevitabile. Cresce però anche la volontà di farsi giustizia da se
stessi perché non sufficientemente protetti dallo Stato. Per altro
aumentano anche i delitti non puniti perché chi li subisce non fa
denuncia non avendo fiducia che saranno perseguiti in tempi
ragionevoli. Ciò rivela rassegnazione e sfiducia che vanificano il
senso della legalità e della giustizia.

Ancora più preoccupante è la presenza di forti poteri cimininali super
organizzati e forniti di ingenti mezzi finanziari che spadroneggiano e
impongono la loro legge e potere, condizionano l’economia e la
finanza. Le risposte istituzionali sembrano ancora troppo deboli e
confuse talvolta meramente declamatorie con il rischio di rendere la
coscienza civile sempre più opaca.

Occorre una mobilitazione delle coscienze che insieme ad una efficace
azione istituzionale possa frenare e ridurre il fenomeno criminoso. La
paura si aggiunge all’omertà, al disimpegno e non poche volte
all’accondiscendenza.

Credo che ci sia nel nostro ordinamento l’esigenza di meno leggi e più
Legge, meno leggi farraginose, soggette a un estenuante compromesso
politico, che spesso sviluppa una disciplina rigorosa per gli aspetti
minuti della vita quotidiana e tace su altri settori di grande
importanza che riguardano la persona. L’eccessiva proliferazione delle
leggi insieme all’aumento del numero delle trasgressioni provoca
l’intasamento giudiziario che impedisce di concentrare le forze sulle
violazioni che mettono realmente in pericolo i beni fondamentali della
collettività.

Oggi si tende a ricercare un punto di convergenza e di unità attorno
al grande capitolo della dignità dell’uomo, che interessa sia la sua
persona soggettiva che la dimensione sociale del suo esistere e
comportarsi. Questo fatto, certamente positivo, tuttavia resta un
capitolo ancora aperto e non sempre accettato, perché a volte diventa
difficile comprendere ed accogliere il contenuto stesso del senso di
dignità dell’uomo, non omogeneo ed univoco nella cultura a seconda che
ci si riferisca ad una antropologia, cioè ad una concezione dell’uomo,
che faccia riferimento ai principi anche religiosi della fede in Dio o
ad altri principi non metafisici o di puro ordine storico e culturale.

Non sono tuttavia pessimista e ritengo che sia possibile ed
auspicabile un costante dialogo tra quanti hanno a cuore queste
materie, perché la ricerca della verità sull’uomo e sulla sua dignità
ed il conseguente impegno anche della legge di sostenerla e
promuoverla è una avventura troppo importante e decisiva per essere
abbandonata. La verità non si impone dall’esterno, ma si accredita per
se stessa in forza della stessa verità. Inoltre, siamo certi che
l’uomo è fatto per la verità e per il bene e la stessa ricerca di un
minimo di riferimento etico per tutti è già un primo avvio di
accoglienza della stessa, secondo il bel detto di S. Agostino: “Tu non
mi cercheresti, se non mi avessi già trovato”.

Concludo con un vivo grazie per quanti lavorano nel nostro Tribunale e
per l’importante servizio che esso svolge nel territorio. Mi pare
dalle informazioni che ho anche attraverso la stampa e dal rapporto
che all’inizio dell’anno giudiziario viene presentato, che malgrado le
difficoltà a tutti note in cui si dibattono oggi i Tribunali e il
problema della giustizia in generale, il vostro lavoro sia veramente
indefesso, competente e concreto con risultati molto apprezzati anche
dall’opinione pubblica e con sentenze coraggiose che fanno scuola e
aprono prospettive di vero rinnovamento anche sociale.

Non sto a citare ovviamente questo o quel procedimento attuato o in corso e i
campi a cui mi riferisco ma credo che tutti ne siamo consapevoli ogni
giorno. Questo rende il tribunale di Torino di eccellenza come è
riconosciuto e punto di riferimento anche per tanti aspetti della vita
nazionale.

Voglia risuonare in voi tutti il detto consolante e ricco di speranza
del Vangelo: “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia
perché saranno saziati.”

Beati voi dunque se coerenti con il vostro impegno saprete, ciascuno nel proprio ambito, contribuire con rigore e solidarietà insieme, con coscienza retta e scelte etiche conseguenti,
alla applicazione delle leggi tenendo sempre presente la fedeltà alla norma ma anche lo spirito con cui va applicata e la persona a cui si applica, perché risulti sempre promozionale di un cambiamento di vita per ogni cittadino coinvolto e di un costume sociale regolato dalla
legalità, giustizia e solidarietà.

Anche il vostro servizio è un atto di amore dunque verso la persona e di promozione della comunione fraterna nella società.

+ Cesare NOSIGLIA, Arcivescovo

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