Nosiglia: “Marchionne, i suoi talenti e un futuro incerto”

Commemorazione – L’Arcivescovo il 14 settembre in Duomo nella Messa in suffragio di Sergio Marchionne, già amministratore delegato di Fca, morto lo scorso 25 luglio, ha spronato le istituzioni e gli attori del territorio “ad abbattere le  barriere che ancora esistono fra le due città: tra centro e periferia, tra chi sta bene e chi sta male”

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Foto Ufficio Stampa Fca group

Pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia ha pronunciato il 14 settembre in Cattedrale nella celebrazione in suffragio di Sergio Marchionne, già amministratore delegato di Fca, morto lo scorso 25 luglio a Zurgio all’età di 66 anni dopo una malattia incurabile: 

“La Parola di Dio, che ci è rivolta dal Libro della Sapienza, ci mette di fronte alla tragedia della morte, che colpisce persone giovani o anziane, ricchi e poveri, famosi o sconosciuti. Quando però la morte raggiunge in modo inatteso una persona conosciuta e stimata per la sua statura politica o economica, culturale o religiosa, non possiamo non porci domande profonde ed esistenziali. Sono quelle che il libro biblico ci richiama e che riguardano tutti, credenti come non credenti.

Le considerazioni della Sapienza sulla vita dell’uomo appaiono di tono pessimistico; ma se ci pensiamo bene, anche realistico. Se è così, ha senso darsi tanto da fare, per compiere opere e realizzazioni pure importanti, che però non garantiscono alcuna ulteriore possibilità di vita, o tutt’al più un timido ricordo, che sbiadisce nel tempo o viene confinato nei libri di una storia sempre più lontana e dunque insignificante per l’oggi?

In una parabola evangelica (cfr. Lc 12,19-31), un uomo ricco afferma, di fronte ai patrimoni che ha accumulato: «Adesso godi, anima mia, datti alla pazza gioia e all’accondiscendenza di tutti i tuoi desideri». Per molti questo è il fine della propria vita e tutto il resto non conta, tanto meno accorgersi che attorno a sé c’è una moltitudine di poveri che chiedono aiuto e sostegno per vivere. Ma il Vangelo continua così: «Stolto
– gli dice una voce nella propria coscienza –: questa notte stessa morirai e tutto questo che hai accumulato e fatto a che cosa ti servirà?». La vita e la morte non ci appartengono e, per quanto facciamo, non riusciremo mai ad allungare la vita di un solo secondo, senza che Dio voglia. Sì – ci ricorda Ungaretti –, noi «si sta come d’autunno sugli alberi le foglie». I saggi hanno sempre detto, in ogni cultura e religione, che accettare e ricordarci della precarietà della vita è il primo passo sulla via della vera saggezza.

Quando guardiamo alla vita che conducono i ricchi e i potenti, ci sembra sempre che essi non abbiano problemi; non siamo portati ad accorgerci dei loro drammi personali e umani. Ma poi, quando arriva una malattia incurabile, a cui segue repentina la morte, allora emerge la solitudine che ha provato anche il Figlio di Dio sulla croce, quando grida: «Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Ecco perché il Libro della Sapienza non ci offre in realtà un messaggio pessimistico, ma invece carico di speranza. Esso afferma che i
giusti, che hanno agito con giustizia e lealtà e con impegno non solo per se stessi, ma anche per gli altri, sono nelle mani di Dio e nessun tormento o rimpianto li abbatterà: la loro perdita è stata considerata una sciagura e una rovina, ma essi vivono nella pace. È per questa certezza che siamo qui, in una chiesa, luogo di preghiera e di ascolto della Parola del Signore, e vogliamo ringraziarlo per averci donato una persona come Sergio Marchionne, ricco di doni particolari, frutto certo della sua intelligenza e professionalità, ma anche di Dio, perché – come ci ricorda bene la parabola di Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato – i tanti talenti, che egli possedeva, gli derivavano anche da quel Padrone che ce li ha donati e ci chiederà conto di come li abbiamo utilizzati.

Infatti, nel passo del Vangelo (cfr. Mt 25,14-30), il Padrone rimprovera il servo fannullone, perché si è tenuto stretto per sé il dono ricevuto, lo ha conservato come fosse sua proprietà e non lo ha messo a disposizione degli altri, disattendendo la via della solidarietà e della giustizia, della condivisione e dell’amore, del servizio e non solo del possesso. Al contrario, loda e premia quelli che hanno investito in favore degli altri i doni che avevano ricevuto: così, li riavranno moltiplicati per la loro gioia e per la gioia del Padrone stesso
che glieli aveva dati. È in questa prospettiva, dunque, che facciamo memoria del nostro fratello Sergio. Così, possiamo ricordare il suo coraggio, la sua intelligenza – anche spregiudicata a volte –, il cammino della sua vita, lungo il quale ha conosciuto bene la condizione difficile dell’emigrato. Un cammino in cui ha imparato la tenacia necessaria per guadagnarsi i suoi talenti, attraverso lo studio e il duro lavoro, facendoli poi fruttare
nelle situazioni in cui la vita lo ha portato.

A Sergio Marchionne è stato affidato un patrimonio glorioso, nel momento in cui era più gravemente compromesso. C’era bisogno non solo di risanare conti economici ma, insieme, di ricostruire il senso della “fabbrica” in rapporto alla città che con la fabbrica era cresciuta e sulla fabbrica aveva costruito il suo destino di metropoli. Il suo lavoro, a Torino come in America, è stato per tutti uno sprone a non perdere mai la speranza, ci ha aiutato a comprendere che dobbiamo continuamente fare i conti con la nostra storia, ma che
non dobbiamo aver paura del nuovo, dell’aggiornare i nostri orizzonti; dobbiamo considerare le difficoltà come opportunità su cui scommettere, non accontentandosi mai dei risultati raggiunti ma guardando in avanti verso nuovi e ambiziosi obiettivi.
È di questa speranza che Torino oggi ha bisogno per scuotersi dalla rassegnazione. Come nella parabola, non può bastare neppure a noi oggi limitarci a custodire i talenti acquisiti nel tempo: dobbiamo invece camminare con convinzione e speditamente verso un avvenire in cui tutte le componenti della città, industriali ed economiche, politiche e culturali, religiose e sociali condividono con gli altri ciò che hanno di più prezioso, per superare uniti l’opaca stagione che stiamo vivendo. Ma questo sarà possibile solo se sapremo abbattere le barriere che ancora esistono tra le “due città”: tra centro e periferia, tra chi sta bene e
chi sta male. È questa utopia della speranza, basata su garanzie concrete di occupazione e di sviluppo innovativo, che mi auguro possa continuare a Torino ad essere considerata una scelta irreversibile.
Anche oggi, come ogni giorno della nostra vita, siamo chiamati a costruire il futuro: ciascuno di noi come singolo individuo, e tutti insieme come comunità che condivide lo stesso territorio. I nostri progetti, le scelte che facciamo, sono la «domanda sui talenti» che il Signore ci pone. Ma il suo giudizio non è in relazione soltanto con le nostre scelte terrene – e tanto meno sul successo di questa o quella strategia. Il mistero della morte ci sovrasta in ogni momento, è l’orizzonte a cui non possiamo non guardare. Dunque siamo qui per
invocare la misericordia del Signore sul nostro fratello Sergio: non tocca a noi ma a Dio giudicare i talenti della sua vita, che riguardano le sue scelte umane, etiche e religiose.
Nella liturgia che stiamo celebrando la Chiesa ci fa pregare così: «Ricordati Signore dei nostri defunti e di quelli di cui tu solo hai conosciuto la fede». Con questa certezza, carica di speranza nella risurrezione del Signore, pegno della nostra, preghiamo per il nostro Fratello Sergio perché Dio lo accolga nel suo Regno di pace e di amore. Lui, che lo ha creato a sua immagine e lo ha dotato nella sua vita di tanti talenti, lo renda ora partecipe della sua eredità e doni ai suoi cari e a tutti coloro che lo hanno amato la consolazione della
fede e la certa speranza di risorgere tutti in Cristo per la vita eterna. Amen”.

Mons. Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino

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