Pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha pronunciato nella Messa che ha presieduto nella chiesa grande della Piccola Casa della Divina Provvidenza per la festa di san Giuseppe Benedetto Cottolengo.
La festa di San Giuseppe Benedetto Cottolengo ci offre ogni anno l’opportunità di riflettere insieme sull’azione poderosa e potente di grazia e di carità che ha avuto origine dal nostro Santo patrono della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Il suo esempio di santità e di testimonianza evangelica vissuta nell’umiltà e nel coraggio di fidarsi sempre della Provvidenza di Dio ci è di sprone per il nostro impegno di credenti, e lo è per tutti voi cari membri della famiglia cottolenghina che traete dalla linfa perenne di santità del vostro Fondatore la forza di continuarne l’opera anche nel mondo di oggi sempre più bisogno di amore ai poveri e agli ultimi. L’insistenza che Papa Francesco pone su questo ambito della vita cristiana si richiama molto al carisma di San Giuseppe Benedetto Cottolengo ed è dunque per tutti noi stimolo incessante per un servizio generoso, competente ed efficace verso ogni fratello o sorella in difficoltà. I nostri giorni non sono molto diversi da quelli vissuti dal nostro santo. Certo le risorse e le possibilità di intervento, i servizi sono cambiati profondamente e può sembrare che abbiamo a disposizione molto più di quanto avesse san Giuseppe Benedetto Cottolengo.
In realtà sul piano spirituale, umano di amore gratuito che mette al centro la persona oltre che i suoi bisogni possiamo ben dire che malgrado tanti principi e programmi di umanizzazione come si usa dire, siamo ben distanti dal calore e dalla passione amorosa con cui il santo avvicinava i suoi buoni figli e quanti avessero bisogno. Non è infatti la tecnica, le strutture moderne di tante case di accoglienza o l’efficienza professionale dei servizi, tutte cose necessarie e indispensabili, che possano supplire a una coscienza e un cuore che sa amare e condividere le relazioni con la persona malata ,povera o in difficoltà, lasciano vuoti dentro e aggravano lo stato d’animo delle persone che si sentono trattate da ospiti, pazienti,ricoverati, poveri, disabili..insomma una realtà anonima che spersonalizza i rapporti e lascia vuota l’anima. Occorre ridare un’anima anche alla carità e al servizio professionale di chi si occupa dei malati e dei poveri ponendo in risalto che loro non sono oggetti di cura , ma che possono darci molto di più di quello che noi pensiamo di dare loro sul piano di valori decisivi per la stessa guarigione del cuore di cui tutti sani e malati, poveri o ricchi abbiamo bisogno. Partendo da queste semplici considerazioni desidero aprirvi il cuore con una serie di considerazioni che sento forte dentro di me e che voglio condividere. Oggi a Torino sta prevalendo la città dei garantiti a fronte di una crescente moltitudine di persone che stanno fuori, non solo ai margini,ma fuori nel senso che non se ne sentono più parte e inclusi. L’ assistenza vitale di cui godono è ampia grazie ai diversi servizi,al volontariato e a tanti operatori e realtà del welfare, ma la percezione diffusa che portano nel cuore è quella dell’abbandono, della solitudine, della rassegnazione.
Quello che pesa di più nell’animo di una persona oltre la mancanza di lavoro o di casa o di sostegno morale o di beni materiali è il sentirsi inutile e di peso per gli altri, dipendente sempre su tutto: è il capitale umano rappresentato da ogni singola persona che si sta perdendo nella nostra società per cui se non si ricupera su questo aspetto, ogni altra cosa si faccia resterà priva di reale efficacia e non si riuscirà più a riconosciute un tessuto di relazioni e di giustizia, di equità e di solidarietà che cambi la situazione pesante di cui siamo succubi da tempo. Occorre pertanto un cambiamento di rotta sullo stile di vita di ciascuno passando da una cultura dell’indifferenza e dello scarto a quella del saper pagare di persona per il bene degli altri oltre che per il proprio riconoscendo che se chiude una fabbrica o tanti giovani non trovano un lavoro, o numerose persone non hanno piu’ i beni essenziali per vivere dignitosamente, la responsabilità è di tutti e ciascuno se ne deve fare carico per la sua parte non scaricando su altre componenti sociali il da farsi.
Mi auguro e chiedo in particolare che la politica in questo tempo di cambiamento che sta vivendo riesca a dare un forte segnale di discontinuità con il passato quando i giochi di potere e di poltrone e i programmi fatti a tavolino e pieni di promesse adatte solo a carpire il consenso riempivano le pagine dei giornali, e ritorni ad ascoltare la gente, a fare insieme ad essa programmi concreti e fattibili mettendo al centro i problemi quotidiani che assillano: quanti si sentono esclusi dal mondo del lavoro, dalla propria casa perchè impossibiliti a pagarne l’affitto, da quei minimi sussidi di sopravvivenza nel caso di disabilità grave, quanti debbono attendere tempi eccessivamente lunghi per una visita medica specialistica ma necessaria, quanti pensionati sono anni e anni che non si vedono piu’ aumentare il sussidio iniziale che era allora modesto ma sufficiente per vivere e ora per molti non lo è piu’, quante famiglie che provano vergogna nel chiedere il pacco spesa o nell’andare a mangiare alle mense, quando erano abituate a contribuire loro stesse per i poveri di cui oggi si sentono parte… Tutto ciò impegna la nostra Chiesa, nelle sue varie componenti, a fare scelte profetiche come le ha fatte san Giuseppe Benedetto Cottolengo e come le stanno facendo i suoi figli e figlie qui nella Piccola Casa e altrove in Italia e nel mondo, basate su fatti concreti e non solo su parole,per esempio nell’uso dei beni, delle risorse finanziarie, dell’accoglienza non solo occasionale ma continuata dei poveri, come si constata frequentando questa casa, dalla mensa giornaliera che accoglie molte persone italiane e straniere, anziani che non riescono ad arrivare a fine mese avendo una pensione minima, senza dimora che trovano un tetto in questa casa ma soprattutto trovano amore e accoglienza, tanti ammalati e disabili segnati a volte da situazioni dolorose e ritenuti solo un peso per la stessa sanità pubblica
Quì di nessuno si dice: ormai è molto anziano e spendere tanti soldi per cure costose è inutile, qui nessuno è abbandonato al suo destino con la scelta della eutanasia attiva o passiva,quì ogni persona è accolta e considerata un unicum da amare e sostenere non solo con beni e servizi ma con relazioni di amicizia, di affetto, di aiuto anche morale e spirituale sempre nel massimo rispetto della sua dignità e della necessaria privatezza se necessario. La Piccola Casa è un modello di umanità e di carità proprio come l’ha voluta e promossa sa Giuseppe Cottolengo. Ed io non cesserò di ringraziare sentitamente sacerdoti, le suore, i fratelli, i volontari e tutto il personale che operano in questa Piccola casa cuore pulsante di amore della nostra città.
Che cosa ci chiede dunque il Signore di fronte a questa moltitudine di gente che versa in situazioni di grave difficoltà? Ci chiede quanto ha chiesto ai suoi apostoli davanti alle oltre cinquemila persone che avevano fame: “ date voi stessi da mangiare, da dormire, da abitare, da lavorare, da curarsi .. mettete anche quel poco che avete a disposizione insomma,il resto ,il miracolo avverrà” perché il Signore moltiplica il poco in molto di piu’.San Giuseppe Cottolengo ci aiuti a credere nell’impossibile azione provvidente di Dio che interviene al di là dei nostri impegni e sforzi e fa sì che il bene anche piccolo ma umile e fatto con spirito di gratuità e fraternità, si espanda sempre piu’ contagiando le coscienze delle persone anche meno attente e disponibili come succedeva spesso ai suoi tempi di fronte alle sue opere.Egli ci dia occhi per vedere Cristo nei poveri e per amarlo così come è e si presenta nella sua debolezza,malattia, miseria,ma circondato della gloria del Padre secondo la nota espressione di sant’Ireneo : La gloria di Dio sta nell’uomo vivente,e la vita dell’uomo sta nella piena comunione con Lui. Amen.
+ Cesare NOSIGLIA, Arcivescovo di Torino