Te Deum, Nosiglia: “non rimarremo mai senza speranza”

Santuario della Consolata – Nella tradizionale preghiera del Te Deum la sera del 31 dicembre, l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha evidenziato, al termine di un anno “che ha messo a dura prova le nostre capacità individuali di resistenza e la tenuta dei nostri sistemi sociali”, le prorità per le istituzioni e la società, a partire dal lavoro e dalla sanità. GALLERY

746

Pubblichiamo il messaggio del Te Deum che l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha pronunciato la sera di giovedì 31 dicembre al Santuario della Consolata a Torino.

«Te Deum laudamus, Te Domine confitemur». In questo giorno di fine anno la Chiesa canta l’inno del Te Deum: è il modo per ringraziare il Signore dell’anno trascorso, e per chiede di benedire l’anno nuovo perché sia più sereno e ricco di grazia.

Questo 2020 che si conclude ha messo duramente alla prova tanto le nostre capacità individuali di resistenza quanto la tenuta dei nostri sistemi sociali. La solitudine e la paura hanno segnato i nostri giorni e le nostre notti come non accadeva più, qui da noi, da molti decenni. Ma, di fronte alle difficoltà appena vissute e alle prove che ancora ci attendono la sapienza del Signore viene ancora in nostro soccorso. Anche il nuovo anno che comincia è un tempo che ci viene donato, una dimostrazione che la storia continua, e che non rimarremo senza speranza.

Di che cosa abbiamo bisogno, in realtà? Molte delle nostre attese dipendono principalmente da noi stessi. Se coltiviamo le grandi vie che il Signore ci ha indicato fin dall’inizio – la fede la speranza la carità – non potremo mai essere delusi, comunque vadano le cose. Ci sono però altri bisogni che dipendono non solo dai singoli individui ma dalla società nel suo insieme, e su questi siamo tutti chiamati ad impegnarci. Provo a indicarne alcuni.

Il bisogno del lavoro – Le conseguenze sociali ed economiche della crisi sanitaria hanno cominciato a farsi sentire, e i prossimi mesi porteranno nuove difficoltà. Di fronte ad esse potremo forse ritrovarci un poco più poveri, ma abbiamo il dovere di diventare ancor più solidali. C’è però un rischio che dobbiamo assolutamente evitare: quello dell’assistenzialismo, del distribuire aiuti fin che ce ne sono, senza un progetto. Dietro questo atteggiamento si potrebbe nascondere infatti un’idea pericolosa e ingiusta: che sia più semplice e meno costoso mantenere persone e famiglie con i sussidi, piuttosto che impegnarsi a creare progetti e condizioni per una autentica promozione delle persone. Non è così, non può essere così. L’intera nostra società è «fondata sul lavoro», come è scritto all’inizio della Costituzione della Repubblica. Ed è dunque il lavoro la strada giusta, la via maestra per garantire ad ogni cittadino quell’indipendenza economica che sta alla base della stessa dignità. Insieme con la salute e l’istruzione l’opportunità del lavoro è un diritto basico di ogni cittadino, di cui la società intera deve farsi carico.

Nessuno di noi è solo, facciamo tutti parte di una rete, locale e globale, di relazioni. Se lasciamo crescere ancor più in mezzo a noi le disuguaglianze, le ingiustizie, le esclusioni stiamo, in realtà, danneggiando noi stessi: perché ci ritroveremo tutti a vivere in un territorio più povero, meno sicuro. E, in definitiva, meno felice.

Il bisogno di qualità – In tempi straordinari come quelli dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo si capisce meglio quanto sia importante poter gestire correttamente ed efficacemente l’ordinario, la vita quotidiana. Molto dell’emergenza era dovuto sì all’aggressività della pandemia, ma anche a un sistema che, nel suo insieme e non solo per quanto riguarda il mondo della sanità, aveva patito trascuratezze e negligenze. Un sistema in cui si sono forse coltivate troppo poco quelle competenze «ordinarie» che invece sono la garanzia di funzionamento di una città. Se è vero che dobbiamo «pensare in grande» io credo anche che non possiamo trascurare la cura di quanto già abbiamo. Il che significa formazione permanente, aggiornamento, attaccamento al proprio servizio come segno di responsabilità verso il bene comune. Anche se dovremo fare a meno di padri, padroni e «padrini» abbiamo l’opportunità di migliorare comunque le nostre condizioni e le nostre relazioni nella città.

Andiamo, nel 2021, verso molteplici sfide del «nuovo». Il mio invito e il mio augurio è che non ci disperdiamo a cercare il nuovo solo nell’innovazione tecnologica, nelle macchine che governano le macchine, nel denaro che vorrebbe produrre altro denaro. L’anno nuovo che ci viene donato sta a dirci che la vera «novità» siamo sempre noi, per noi stessi e per il nostro prossimo. È il prossimo la «persona» in cui Dio chiede di essere riconosciuto, servito e amato.

L’ anno 2021 il Papa lo ha dedicato a San Giuseppe padre putativo di Gesù e sposo di Maria santissima, patrono della Chiesa universale, protettore dei lavoratori e dei moribondi. Lui, che ha sempre obbedito al Signore anche quando ha dovuto affrontare situazioni di dolore e di difficoltà, ci sostenga nel compiere la volontà del Signore e benedica il lavoro perché sia per tutti la via da perseguire per la propria vita e quella dei propri cari; e ci renda sempre più capaci di aiutarci ad affrontare i mali che ci rattristano e preoccupano, con coraggio e speranza. San Giuseppe custode della Santa Famiglia custodisca la Chiesa e ciascuna nostra famiglia e comunità perché testimoni al mondo quanto grandi e potenti siano la fede le la carità che ci fanno un cuor solo ed un anima sola e ci renda sempre più solidali verso ogni fratello e le sorella che il Signore ci fa incontrare sul nostro cammino. e bussa alla porta del nostro cuore.

Buon anno dunque a tutti voi cari amici che Dio vi benedica e faccia risplendere sulla vostra casa il suo volto di misericordia e di amore.

+ Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino

OMELIA S. MESSA FINE ANNO 2020

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome