Pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha pronunciato mercoledì 4 luglio ai funerali di don Carlo Carlevaris.
Cari amici, le due letture bibliche ci offrono un motivo di meditazione su temi strettamenti connessi all’impegno che don Carlo svolse per gran parte della sua vita a favore dei diritti dei lavoratori e del mondo del lavoro, nella nostra città.
La prima lettura ci parla del rimprovero che Dio rivolge al suo popolo perché celebra un culto nel tempio ricco di cerimonie e sacrifici rituali ma non rispetta il diritto e la giustizia dividendo dunque in due momenti separati e che non comunicano, la preghiera a Dio che è di per stesso giudice giusto e quell’esercizio della giustizia che assicura i diritti fondamentali propri di ogni uomo. Sappiamo che il termine giustizia nella Bibbia è strettamente collegato alla carità perché Dio che è il Giusto per eccellenza è anche per eccellenza il misercordioso. Per cui non puo’ darsi separatezza tra il culto e la vita dei credenti,vita che si esprime nella fedeltà alla giustizia e carità. La giustizia nasce e fiorisce sul riconoscimento dell’essenziale dimensione sociale della persona, per cui se colta nelle sue radici profonde scaturisce dalla moralità e si configura come amore evangelico verso ogni persona e comunità.
Nella situazione odierna e in stretto raccordo con il dovere della missionarietà, VA RIPENSATA IN GRANDE ANCHE LA TESTIMONIANZA DELLA CARITA’, per cui occorre coniugare carità e giustizia unendole insieme perché ogni azione dell’una tenga conto dell’altra in quanto intimamente unite: insieme sussistono e insieme cadono. Ma il principio ispiratore resta pur sempre la carità che deve vivificare la giustizia immettendo in essa quell’impronta di GRATUITA’ e di RISPETTO della persona e dei suoi DIRITTI. La testimonianza dei credenti nella società è quella di essere coscienza critica del vero senso della legalità. Rientra qui il detto del Concilio: la risposta della Chiesa NON PUO’ ESSERE SOLO L’ASSISTENZIALISMO che lascia le persone sempre succubi di aiuti e sussidi ma deve anzittutto operare perché siano adempiuti gli obblighi di giustizia così che non avvenga che si offra come dono di carità cio’ che è già’ dovuto a titolo di giustizia.
Questo deve spingerci a denunciare senza stancarci i potentati economici e politici che perseguono propri interessi personali o di cordata a scapito del bene comune e di ogni regola etica di solidarietà ed equità. Dobbiamo non solo condannare però, ma sostenere ed esigere il riconoscimento di quei diritti fondamentali propri di ogni uomo e che garantiscano la promozione della dignità di ogni persona e l‘accompagnino a trovare le vie per un proprio riscatto e autonomia.
La carenza di questa unità di legame stretto tra giustizia e carità genera tante ingiustizie, discriminazioni e violenze verso i poveri, illegalità e soprusi, disequità nel mondo del lavoro, mafie e tangenti, corruzioni… insomma quanto di piu’ devastante si possa immaginare per una convivenza pacifica e produttrice di benessere per tutti .
E’ superfluo per quanti di voi hanno conosciuto don Carlo che sottolinei quanto questo insegnamento della Parola di Dio e della Chiesa sia stato assunto da lui con il massimo di IMPEGNO e di RESPONSABILITA’, pagando anche di persona ma rimanendo sempre in questo campo, un testimone coerente ed esemplare per tutti. La Chiesa di Torino in particolare deve molto a don Carlo perché con le sue scelte anche CONTROCORRENTE l’ha stimolata a uscire fuori da una sudditanza dal potere economico e politico del suo tempo e ha contribuito a rinnovarla e a renderla piu’ fedele al Vangelo e all’uomo come le hanno insegnato i suoi santi sociali.
Il vangelo racconta un episodio singolare di un miracolo di Gesu’. Il povero indemoniato e psichicamente instabile è un problema per la città e i suoi abitanti perché quelli che passavano per la strada dove lui abitava tra le rocce erano minacciati violentemente anche con lanci di sassi e pietre. Gesu’ guarisce questa persona e la libera dai demoni che lo rendono loro schiavo. Poi compie un gesto sorprendente, accoglie quanto i demoni chiedono di essere trasmigrati dall’uomo a un banco di porci che data l’ampiezza del numero era probabilmente proprietà di molti abitanti della città che ne traevano un profitto.
Rappresentavano dunque una fonte di ricchezza non indifferente per quella città. Quando la gente vede che il poveretto sta bene si rallegra ma quando si accorge che i porci si sono gettati tutti nel lago allora se la prendono con Gesu’ e lo pregano di allontanarsi dal loro territorio.Probabilmente si aspettavano che Gesu’ liberasse l’uomo ma senza distruggere un patrimonio di valore economico come era la mandria dei porci. Per Gesu’ invece CONTA PIU’ QUEL POVERETTO CHE LA RICCHEZZA di tutta una città.
Tutto cio’ pone in risalto una SCELTA MOLTO SIMILE ALLA SITUZIONE IN CUI HA OPERATO DON CARLO A SUO TEMPO E DI CUI SI E’ FATTO CARICO: si tratta di mettere al primo posto la salvaguardia dei diritti umani e cristiani di giustizia propri di ogni persona, difronte a un sistema di potere finanziario ed economico che pone invece al centro non la persona, ma il profitto Cosa che vale anche per noi oggi se pensiamo a quei lavoratori che malgrado le statistiche trionfali sulla ripresa in atto della occupazione, devono lottare per mantenere il loro posto di lavoro o non riescono a trovarlo come sono tanti giovani. Emergono poi nel nostro tempo con evidenza NUOVE POVERTA’ di persone scartate e rifiutate come sono tanti immigrati.
Il vangelo del 25 cap di Matteo (ERO FORESTIERO E MI HAI ACCOLTO) viene ignorato o ritenuta una semplice esortazione moralistica che non è possibile applicare per loro. La crisi ha reso tanta gente egoista,individualista e chiusa sempre piu’ alla prossimità e solidarietà. GESU’ VA CONTROCORRENTE dunque e non si fa condizionare dalle opinioni contrarie e strumentali dei cittadini di Gerasa, ma non si limita a rivolgere loro un invito ad accogliere quel poveretto non emarginandolo dalla comunità, compie un gesto concreto di liberazione dal suo Male e gli restituisce il diritto di reinserirsi a pieno titolo nella vita sociale.
Credo che su questi impegni debbano misurarsi le scelte della Chiesa che deve non solo richiamare tutti al dovere di difendere e promuovere la GIUSTIZIA sociale e l’ACCOGLIENZA di ogni persona in difficoltà, ma scegliere in concreto di farsi ultima CON GLI ULTIMI, povera con i poveri: la scelta privilegiata per i poveri va accompagnata dall’impegno di farsi povera condividendo la loro sorte, rifuggendo ogni privilegio, mettendo a disposizione dei poveri beni, risorse e personale. L’osservanza dei principi e valori morali individuali si intreccia con quelli comunitari e sociali e gli uni non possono stare separati dagli altri.Su tutto resta decisivo radicare tali diritti e doveri nel Vangelo di Cristo l’unico come ci mostra l’episodio che abbiamo meditato, capace di liberare veramente l’uomo da ogni forma di schiavitu’ e di emarginazione spirituale,umana e sociale. E’ è da Cristo e dalla conversione al Vangelo, che occorre ripartire, per promuovere un’azione efficace di liberazione e profondo cambiamento non solo delle singole persone ma anche della società DI TUTTO CIO’ DON CARLO CI E’ STATO DI ESEMPIO E DI SPRONE.
Preghiamo il Signore perché accolga nel suo Regno chi lo ha accolto, amato e sostenuto in tante persone scartate e doni a noi il coraggio di imitarlo e seguirne la via.
+ Cesare NOSIGLIA, Arcivescovo di Torino