
Pubblichiamo l’intervento che l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha tenuto il 31 ottobre alla presentazione del XXVII Rapporto sull’immigrazione in Italia presso l’Ufficio per la Pastorale dei Migranti in via Cottolengo a Torino:
“Il rapporto Caritas-Migrantes sugli immigrati oltre a interessanti e significativi dati sugli arrivi di questo anno (diminuiti dell’80 per cento) e della attuale presenza degli immigrati nel Paese e il loro inserimento nel mondo del lavoro, della scuola … pone la sua attenzione sul tema della cultura e della comunicazione sul fenomeno della immigrazione nel nostro Paese. Se ne parla di più, ma spesso malevolmente, accentuando più le difficoltà dell’integrazione che le opportunità che essa offre a vari settori produttivi e culturali del Paese.
La parola è un segno che ci condiziona l’esistenza. Gesù ci ha lasciato un segno profondo attraverso la sua Parola. Ci insegna a innalzare la nostra esistenza, a vivere nella fiducia nell’uomo, nella speranza che tutti “abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). “La vita buona” secondo il Vangelo è una vita impregnata di fede viva nella visione della realtà, nelle scelte, negli atteggiamenti e nei comportamenti, nella qualità interiore ed esteriore. La fede non si aggiunge ad una umanità già compiuta e autosufficiente, ma ne viene a formare l’anima, la radice, il principio di identità, l’orizzonte ultimo e l’orientamento di fondo.
Quante voci, minacce, provocazioni abbiamo ascoltato negli ultimi tempi a proposito di immigrati, rifugiati e organizzazioni non governative, dipinti come il nemico contro cui scaricare tutte le ansie e le paure contemporanee. Quante volte la solidarietà è stata messa in discussione e con lei tutti coloro che fino a ieri pensavano di operare per il bene comune. Bene comune e solidarietà, che è opportuno ricordare, stanno alla base della buona politica e della Costituzione del nostro Paese.
Il rapporto pone in evidenza, ad esempio, come nel corso del 2017 i telegiornali di prima serata si sono soffermati per lo più sui flussi migratori (40 %) dando l’impressione che ci fosse una vera e propria invasione di massa. Ma la cosa più grave è che il 34% dei servizi è stato dedicato e viene anche oggi dedicato a mettere in evidenza la relazione tra immigrati e criminali e sicurezza. Sull’accoglienza e i vari aspetti anche positivi dell’immigrazione solo l’11% e in circostanze occasionali è stato oggetto di notizie.
“E’ evidente – nota il rapporto – che ci troviamo di fronte a una emergenza culturale che richiede un intervento strutturato e di lungo periodo. E’ necessario mettere in campo tutte le risorse educative capaci di stimolare un adeguato approfondimento rispetto a temi cruciali e di accompagnare le nostre comunità verso l’acquisizione di una nuova grammatica della comunicazione che sia aderente ai fatti e rispettosa delle persone”.
Lo ha ricordato anche Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2018: “Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano”. Il Pontefice punta il dito su una “retorica”, “largamente diffusa” in molti Paesi di destinazione, “che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio”.
La XXVII edizione del Rapporto immigrazione si interroga dunque su quale linguaggio sia opportuno proporre per ovviare a una reale “crisi culturale” che l’Italia sta attraversando. Siamo tutti coinvolti nel riflettere sul nostro linguaggio e sulla nostra capacità di comunicare e di incidere culturalmente nella società. Le parole sono segni che ci condizionano. Se rapportate a una dimensione reale, le parole possono cambiare dal negativo e critico al positivo e incoraggiante.
Essere cristiani vuole dire avere Fede nella Parola di Gesù, che non semina odio, che non insegna ad avere timore dell’altro. Nella nostra Diocesi negli ultimi anni abbiamo accompagnato le nostre comunità parrocchiali in iniziative di conoscenza dei migranti, di accoglienza.
Abbiamo superato la parola con gesti concreti, con la conoscenza reale delle persone di cui leggiamo o sentiamo parlare. Non è facile ma si tratta di piccoli segni concreti diffusi sul territorio. L’emergenza che stiamo vivendo non è solo sociale, politica e ed economica ma è anche culturale e coinvolge le nostre comunità cristiane. Papa Francesco sta cercando di insegnare che non è peccato avere dubbi e timori, lo è lasciare che siano le nostre paure a condizionare le nostre risposte.
La parola dunque ha bisogno di gesti concreti. Così come la politica ha bisogno di misurarsi con la realtà dei fatti. Torino ne è un esempio. La Città e le istituzioni pubbliche e private presenti, come la Diocesi, si stanno misurando concretamente per cercare di governare e gestire situazioni reali di povertà ed emarginazione. Situazioni di abbandono, di promiscuità che non possono essere cancellate con la forza, ma vanno affrontate in modo pragmatico e propositivo.
Il metodo Agorà (di cui si sta preparando la terza edizione in programma sabato 17 novembre sul tema del Welfare di inclusione sociale) funziona, ad esempio, in via della Salette dove la stretta collaborazione tra diverse componenti ecclesiali e sociali, ma anche degli immigrati stessi, ha determinato un percorso di vera integrazione con prospettive positive per loro e per la nostra città.
Anche il modello Ex Moi si sta rivelando vincente ed esige che sia portato avanti promuovendo un adeguato accompagnamento delle persone coinvolte, in concreti percorsi di formazione e di autonomia, basati su quelle garanzie necessarie a promuovere il loro graduale inserimento nella società con diritti e doveri propri di ogni cittadino.
Questo è un tempo di fatica: il recente Decreto Sicurezza mette insieme temi come immigrazione, richiedenti asilo, sicurezza e terrorismo. Chi si occupa di immigrazione sa che il grosso scoglio non è tanto la prima accoglienza, ma il lavoro, la casa e la salute. Oggi c’è incertezza sul futuro dell’accoglienza, e su questo è necessario continuare a confrontarsi sapendo che per i cristiani l’accoglienza è un tratto inderogabile della loro identità. “Ero straniero, mi avete accolto” senza se e senza ma. Un paese che guarda al futuro, è un paese capace di fare in modo che tutte le sue componenti camminino insieme non si creino gruppi contrapposti e forme di violenza che minano alla Pace sociale.
Troppe volte l’immigrazione è appiattita sul tema degli sbarchi, mentre lo sguardo dev’essere allargato agli oltre 5 milioni di stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro paese e al loro apporto che danno o possono dare al suo progresso umano, sociale e culturale e anche economico.
Desidero infine rivolgere il mio saluto, riconoscimento e vivo grazie alle tante organizzazioni e molti volontari dei nostri ambienti ecclesiali che hanno un impegno a tutto campo verso gli immigrati e rifugiati, i rom e senza dimora, le famiglie in difficoltà per il lavoro o la casa, i minori e le donne in particolare, manifestando così il volto di una città e territorio e Chiesa accogliente ma anche capace di accompagnare questi nostri fratelli e sorelle sulla via di una integrazione effettiva e sicura, rispettosa della loro cultura e religione e valorizzata nelle specifiche potenzialità di cui sono portatori”.
+ Cesare NOSIGLIA, Arcivescovo di Torino