Novant’anni fa, il 25 febbraio 1930, in Cina sono uccisi i protomartiri salesiani, il sacerdote Callisto Caravario, nativo di Cuorgnè, e il vescovo pavese Luigi Versiglia. Il 1° ottobre 2000, in piazza San Pietro, Giovanni Paolo II canonizza 120 martiri in Cina, uccisi tra il 1648 e il XX secolo: 87 cinesi e 33 missionari, sei vescovi, molti sacerdoti, suore e un alto numero di fedeli: tra essi Versiglia e Caravario. Canonizzata anche l’ex schiava africana Giuseppina Bakhita e due fondatrici.
LUIGI VERSIGLIA (1873-1930) – Nasce il 5 giugno 1873 a Oliva Gessi (Pavia); a 12 anni è mandato a Torino a studiare da don Bosco che in un fugace incontro lo invita: «Vieni a trovarmi, ho qualcosa da dirti». Purtroppo la malattia e la morte di don Bosco (31 gennaio 1888) impediscono quel colloquio, ma Luigi ne è conquistato. A 16 anni emette i voti. Frequenta Filosofia alla Pontificia Università Gregoriana a Roma ed è ordinato sacerdote a 22 anni nel 1895. L’anno dopo è direttore e maestro dei novizi a Genzano (Roma). Per dieci anni è un ottimo formatore. Ma il suo sogno dalla giovinezza sono le missioni: a 33 anni può realizzarlo, è il capogruppo dei primi salesiani che nel 1906 partono per la Cina. A Macao stabilisce l’avamposto che diventa un centro per i cattolici della città; apre la missione di Shiu Chow nella regione del Kwangtung nel Sud e nel 1920 è nominato e consacrato primo vescovo e vicario apostolico. Gravi difficoltà e forti tensioni sociali e politiche investono le missioni. Egli dà una solida struttura al vicariato con case di formazione, residenze, scuole, ricoveri per anziani, opere catechistiche, un orfanotrofio.
SITUAZIONE POLITICA TUMULTUOSA – La nuova Repubblica cinese istituita dal generale Chang Kai-shek il 10 ottobre 1911, riporta all’unità il Paese sconfiggendo i «signori della guerra». Ma la sistematica infiltrazione comunista, sostenuta dal dittatore sovietico Iosif Stalin, spinge Chang Kai-shek a consegnarsi alla destra e a dichiarare, nell’aprile 1927, fuorilegge i comunisti. Cina è percorsa dalla guerra civile fomentata dai terribili Boxers. La provincia di Shiu-Chow è luogo di passaggio di combattenti ed è infestata da furti, incendi, violenze, delitti, sequestri, stupri compiuti da soldati sbandati, mercenari, sicari prezzolati, pirati. Soprattutto gli stranieri, i «diavoli bianchi», rischiano la vita. Le missioni diventano un rifugio per la povera gente. I più temibili sono i pirati e i soldati comunisti per i quali la distruzione del Cristianesimo è un invito a nozze. Per questo, negli spostamenti tra i villaggi le catechiste, le maestre e le ragazze si mettono in viaggio solo se accompagnate dai missionari. Ed è quello che succede quando il vescovo Versiglia decide di visitare la piccola missione di Lin-Chow composta da 2 scuolette e 200 fedeli in una città devastata dalla guerra civile. Nel febbraio 1930 don Callisto Caravario (27 anni) arriva a Shiu-Chow per accompagnare il vescovo Versiglia (57 anni) nella visita a Lin-Chow.
CALLISTO CARAVARIO (1903-1930) – Callisto Giacomo Caravario nasce il 18 giugno 1903 a Cuorgnè (Torino), da due operai, Pietro e Rosa Morgando. Bambino buono, spesso raccolto in preghiera, aiuta la mamma. La famiglia si trasferisce per lavoro a Torino e Callisto frequenta la scuola elementare salesiana «San Giovanni Evangelista»: l’oratorio di corso Vittorio Emanuele II – voluto da don Bosco anche per contrastare il proselitismo dei valdesi – diventa la sua seconda casa. Avvicina i ragazzi di strada: «Io ho avuto la fortuna di avere una famiglia; questi, invece, possono soltanto affidarsi al Signore. Voglio aiutarli a trovare la strada del bene». Frequenta il ginnasio a Valdocco e decide di farsi salesiano: «Spero, un giorno, di diventare missionario, come don Bosco». A 16 anni emette i voti, a 19 promette a don Versiglia: «La seguirò missionario in Cina». La prassi salesiana vuole che i missionari siano destinati giovanissimi nei vari Paesi in modo che studino la lingua, assorbano la cultura, si immergano negli usi e costumi delle popolazioni. La Cina è la sua destinazione. Nel 1924 Si imbarca da Genova. A Shanghai impara l’inglese, il francese e il mandarino; inizia la Teologia e prepara i cinesini al Battesimo. Scrive alla mamma: «A 20 anni imparo a scrivere e a balbettare come un infante. Pensiamo spesso all’Italia, perché è impossibile non pensarvi, ma siamo felicissimi di essere in Cina. Mia buona mamma, preghi per il suo Callisto, affinché possa imparare questa lingua assai difficile e possa fare del bene. Io non la dimentico mai: ogni tanto guardo il suo ritratto e la raccomando alla Madonna. Il suo Callisto non è più suo, deve essere del Signore. Sarà breve o lungo il mio sacerdozio? L’importante è che io faccia bene. Lei, madre mia, ravvivi il suo coraggio. Avere un figlio sacerdote è una grande grazia e un grande onore». È contento come un bambino quando riesce a tenere il primo catechismo in cinese. Nel 1926 i cattolici, cacciati dai comunisti, si trasferiscono nell’isola indonesiana di Timor. Nell’aprile 1929 Callisto torna in Cina e il 19 maggio 1929 è ordinato prete e destinato a Lin-Chow.
IL MARTIRIO SULLA RIVA DEL FIUME – Fatti i rifornimenti, all’alba del 24 febbraio 1930 parte in treno il gruppo composto da mons. Versiglia, don Caravario, due giovani maestri diplomati (uno cristiano e l’altro pagano), due sorelle – la maestra Maria di 21 anni e Paola di 16 – e la catechista Clara di 22 anni. Il 25 mattina salgono sulla barca che risale il Pak-kong fino a Lin-Chow. Un drappo bianco con la scritta in cinese «Missione cattolica» sventola ben visibile sulla grossa barca condotta da quattro barcaioli. Si aggiungono un’anziana catechista e un ragazzo di 10 anni. Verso mezzogiorno avvistano sulla riva dei fuochi e una decina di uomini che ordinano di accostare e fermarsi. Puntano fucili e pistole: «Non potete portare nessuno senza la nostra protezione. I missionari devono pagarci 500 dollari o vi fucileremo tutti». I missionari non hanno tanto denaro. I pirati saltano sulla barca e a poppa vedono le ragazze: «Portiamo via le loro mogli». I missionari spiegano che non sono le mogli ma le alunne che tornano a casa. I pirati infuriati bastonano i missionari che cadono a terra sanguinanti e tramortiti. I malviventi si avventano sulle ragazze e le trascinano a riva con i missionari e liberano i barcaioli, l’anziana catechista, il ragazzo e i due giovani: daranno l’allarme. Sulla riva del fiume si consuma la tragedia: i missionari legati si confessano a vicenda ed esortano le tre ragazze a essere forti nella fede. I pirati li spingono su una stradetta. Il vescovo implora: «Io sono vecchio, ammazzatemi pure. Ma lui è giovane, risparmiatelo». Le ragazze vengono spinte verso una pagoda e odono cinque colpi di fucile. Gli assassini tornano: «Ne abbiamo visto tanti e tutti temono la morte. Questi due invece sono morti contenti e anche le ragazze desiderano morire». È il 25 febbraio 1930.