Le capriole della Storia, la sua imprevedibilità, le sue rivincite, i suoi riscatti. Anni Cinquanta del secolo scorso: Matera è «una vergogna nazionale»; 2019: Matera è capitale della cultura europea. Com’è potuto avvenire, quali e quanti elementi sono intervenuti per ribaltare la situazione e il giudizio su di essa?
A ripensarci bene, non molti: una visione non miope del futuro, la fiducia in un progetto di largo respiro, l’impegno di portarlo a termine, in altre parole cultura e concretezza da parte di chi pose mano al risanamento di Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Qualcuno potrebbe obiettare che tra gli elementi ne manca uno: i soldi, e avrebbe ragione, allora c’era il piano Marshall, grazie a cui fu possibile portare a compimento una parte dell’opera. Però, contro-obiezione: oggi ci sarebbero i fondi della Comunità europea per finanziare progetti simili, se si fosse capaci di richiederli e, una volta ottenuti, di spenderli, per il fine preposto. Superando il labirinto di norme e regolamenti burocratici che a definirli borbonici gli si farebbe un complimento, e inoltre il rimpallo delle competenze, la diffidenza generale verso tutto ciò che non ripaga immediatamente in termini di consenso elettorale o tornaconto personale.
Qualcuno disse, anni fa (ma pare che l’affermazione non sia stata riportata correttamente) che «con la cultura non si mangia», però non è comunque vero, perché in una civiltà avanzata la cultura produce anche un riscontro economico, e insieme a quello tanto altro, a breve, medio e lungo termine. Produce consapevolezza, senso critico, rispetto delle opinioni altrui, tolleranza, senso civico, appartenenza a una comunità. Produce addirittura bellezza e una sensazione diffusa di tranquillità.
Cosa immaginare allora per l’Italia e in particolare per Torino? Sia chiaro, sono fantasie e pareri di Perpetua, che qui esplicito solo perché sono stata tirata in ballo. Prima di tutto, chiarezza di linguaggio, che non significa eliminare la complessità ma renderla comprensibile, in lingua italiana a chi in Italia vive; chiarezza significa non trincerarsi dietro promesse fumose quasi sempre disattese (ci riuniremo, abbiamo nominato una commissione, valuteremo con attenzione, sentiremo i pareri di…); chiarezza significa anche avere il coraggio di prendere una posizione precisa e non smantellarla a pezzi e bocconi giorno dopo giorno, confidando nella scarsa memoria di chi più che concittadino è considerato avversario se non si allinea e non approva sempre.
Cultura è esercizio della cortesia verbale e comportamentale. Sì, la cortesia, che è un bene da difendere sempre, anche nelle contese più aspre, perché dovremmo ricordarci che dopo gli sberleffi e gli insulti non resta che lo spintone, oppure il pugno, il coltello e la pistola. Chi urla, chi esibisce i muscoli non giova a una civile convivenza, e, ripensando alla storia passata, «me ne frego» non è un motto dalle fauste conseguenze. La cortesia è l’opposto della tracotanza e della supponenza, quindi è un’acquisizione culturale, che partendo dalla famiglia coinvolge la scuola e poi l’intera società.
Già. la scuola: è lì che si dovrebbe investire il massimo delle risorse disponibili. Non siamo messi troppo bene, a questo riguardo, anche se a Torino meglio che altrove. In questi tempi di vacche magre, perché Torino e l’intera Regione non si fanno promotori di un «nuovo corso», coraggioso come quello del risanamento dei Sassi, che ha trasformato un’utopia in realtà: migliorare la scuola sotto ogni aspetto, coinvolgendo tutti quelli che la scuola la frequentano in prima persona o attraverso persone vicine per parentela, affetto e amicizia: l’entusiasmo collettivo che ha preceduto e accompagnato le Olimpiadi potrebbe questa volta rinnovarsi per un obiettivo di non minore importanza. Torino oggi vive una stagione un po’ grigia (non solo per lo smog): diamogli uno scatto d’orgoglio: una scuola migliore, partendo da dove ce n’è più bisogno, cioè dalle periferie.