Ospedali cattolici, “le bollette ci faranno chiudere”

Appello – Emergenza senza precedenti per il vertiginoso rincaro dei prezzi dell’energia elettrica. L’associazione Aris, di cui fanno parte San Camillo, Cottolengo, Don Gnocchi, Fatebenefratelli e Koelliker, ha scritto al Governo per chiedere aiuti economici che evitino i rischio chiusure

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È allarme rosso negli ospedali cattolici convenzionati con il sistema sanitario nazionale, allarme drammatico e senza precedenti per il vertiginoso rincaro delle bollette dell’energia elettrica. La situazione sta precipitando perché tutti i macchinari sanitari sono ad alimentazione elettrica: per l’aumento dei costi, che in alcuni casi sono quadruplicati, alcune strutture si dicono sul punto di arrendersi e cessare l’attività. Con la lettera che pubblichiamo in questa pagina, inviata nei giorni scorsi al Governo e alle forze politiche, l’associazione nazionale Aris, che federa gli istituti sanitari del mondo cattolico e nella sola Torino comprende gli ospedali San Camillo, Cottolengo, Don Gnocchi, Fatebenefratelli e Koelliker, più tutto il mondo delle Rsa per anziani, chiede l’intervento economico dello Stato per scongiurare il rischio di chiusure.

Egregi Signori Ministri,

Egregi Responsabili dei Partiti Politici,

comprendiamo benissimo le difficoltà del momento. Comprendiamo molto meno la sordità istituzionale nei confronti di quanti, da mesi, rilanciano grida di allarme che provengono dal comparto sanitario privato, no profit nel nostro caso, che, come è noto, mette a disposizione della comunità italiana, un irrinunciabile contribuito alla salvaguardia della salute del Paese. Irrinunciabilità ammessa e sostenuta in questi giorni su tutti i palchi della campagna elettorale, ma irresponsabilmente ignorata nella realtà istituzionale del Paese, stante i dati contenuti nelle varie formulazioni del Dl Aiuti nei quali mai compare accenno al sostegno di queste strutture.

Come è stato fatto notare da altre associazioni a noi similari, se è vero che la crisi energetica in atto colpisce praticamente tutte le aziende impegnate nella produzione di beni e servizi per la comunità, è altrettanto vero che, oltre agli aiuti concessi, queste aziende possono sempre ricorrere – pur con tutti i danni connessi in termini di recessione ben noti – al malaugurato aumento dei prezzi al consumo.

Ora è chiaro che per istituzioni come le nostre strutture, se mai fosse possibile ricorrere all’aumento dei «prezzi al consumo» (impossibile per chi come noi opera in regime di convenzione con lo Stato e se mai fosse comprensibilmente umano considerare la salute un prodotto di mercato), significherebbe scaricare l’onere sui pazienti. Ciò vuol dire che a pagare sarebbero quanti non possono assolutamente rinunciare al «bene salute», ma non hanno mezzi economici per provvedervi. E considerando l’impatto dell’aumento dei costi energetici sulla gestione delle strutture sanitarie in questione, tali aumenti metterebbero certamente in ginocchio il sistema welfare del Paese.

L’alternativa che si configura sempre più minacciosa è costringere le strutture alla chiusura, incrementando notevolmente il livello di disoccupazione, mettendo sulle spalle del servizio sanitario pubblico i milioni di malati che ogni anno trovano assistenza in queste nostre strutture (l’esperienza Covid qualche cosa dovrebbe averla insegnata), rendendo eterne le liste d’attesa per prestazioni urgenti, riempiendo i marciapiedi delle nostre città di anziani non autosufficienti, persone martoriate da patologie devastanti nel fisico che non hanno più assistenza in Rsa o Centri di Riabilitazione costretti a chiudere. Chiudere perché i costi, quadruplicati in certi casi, non sono più sostenibili senza l’aiuto dello Stato.

Basterebbe rendersi conto che una qualsiasi Casa di Cura, o Rsa, o CdR, o Ospedale o ancor più Irccs che sia, non può certo staccare la corrente per risparmiare: qualsiasi apparecchiatura elettromedicale in uso, come intuiscono anche i meno esperti, funziona con l’energia elettrica. E allora cosa dovremmo fare? Decidere ogni giorno se staccare le spine alle rianimazioni o alle terapie intensive? Oppure alle sale operatorie?

Forse queste cose i cittadini non le sanno. Ascoltano solo tante promesse. Di come stanno veramente le cose si rendono conto solo quando hanno bisogno di essere assistiti nella loro fragilità. E poi sarebbe ora di cominciare a provvedere ai nostri anziani con fatti concreti, come assicuragli accoglienza, affiancamento, assistenza continua con i fatti e non con le parole o costringendo alla chiusura chi si occupa di loro. Forse è bene ricordare che siamo il secondo Paese nel mondo per il numero di anziani.

Chissà se mai ascolterete questo nostro ennesimo appello? Non abbiamo parlato di cifre e di altri numeri perché ne siete bene a conoscenza. Ci sono decine di report che vi sono stati inviati in questi mesi. Il nostro vuole essere solo un richiamo alla vostra responsabilità nei confronti di quei cittadini che oggi chiamate alle urne (e non certo per loro volontà…). Non stiamo certo chiedendo elemosine; stiamo chiedendo solo di essere messi in condizioni tali da poter continuare a servire il sistema sanitario del nostro Paese per la salvaguardia della salute della comunità che vive in Italia.

Fiduciosi nella presa in considerazione di questo ennesimo appello, rimaniamo in attesa di una eventuale convocazione.

Virginio Bebber, presidente nazionale Aris

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