Ottant’anni dal Codice di Camaldoli, le parole di Mattarella, Parolin e Zuppi

Convegno celebrativo – Il Codice di Camaldoli 80 anni dopo. Il presidente Sergio Mattarella: «Orgoglio per la società italiana». Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin: «Il vero problema per il credente è resistere al male e perseverare nella fede senza cercare accomodanti scorciatoie». Il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della CEI: «I cristiani si impegnino contro la politica ignorante»

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«Codice di Camaldoli» 80 anni dopo. Il presidente Sergio Mattarella: «Orgoglio per la società italiana». Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin: «Il vero problema per il credente è resistere al male e perseverare nella fede senza cercare accomodanti scorciatoie». Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana: «I cristiani si impegnino contro la politica ignorante». Lo affermano nel convegno celebrativo (21-23 luglio 2023) del «Codice» redatto nel monastero di Camaldoli in Toscana un secolo fa (18-24 luglio 1943) mentre crollava la dittatura fascista.

Documento significativo del Novecento e fonte d’ispirazione per la Costituzione – Tra gli organizzatori del convegno «Toscana oggi» il settimanale diocesano regionale. Il presidente Mattarella, alla vigilia, ha inviato un messaggio ai 120 settimanali diocesani della FISC, la prima volta che succede. Il convegno rilegge il «Codice» alla luce della recente storiografia, indagandone fonti e motivi di ispirazione, evidenziando i collegamenti con le dinamiche della teologia e della filosofia del tempo, ripercorrendo l’itinerario biografico e intellettuale delle personalità coinvolte, interrogandosi sulla capacità progettuale dei cattolici e sul ruolo che hanno svolto e svolgono per una matura e consapevole partecipazione alla vita civile e politica. «Dal Codice – osserva Mattarella – provengono gli orientamenti basilari del nostro ordinamento costituzionale. È importante tornare sulle riflessioni che hanno contribuito alla sua formazione».

Mattarella esalta la dignità della persona e il suo primato rispetto allo Stato con il rifiuto di ogni concezione assolutistica della politica, da cui deriva il rispetto del ruolo e delle responsabilità della società civile, la comunità politica come garante e promotrice dei valori basilari di uguaglianza fra i cittadini e di promozione della giustizia sociale. Il principio della pace è di fondamentale importanza: «Va abbandonato il funesto principio che i rapporti internazionali siano rapporti di forza e che la forza crei il diritto. Il “Codice” ripristina la legalità che il fascismo aveva violentato». È necessario «subordinare o conformare la politica degli Stati alla superiore esigenza della comune vita dei popoli». I «padri» hanno fatto del «Codice un segno per il futuro della società, anche sul terreno della libertà di coscienza per ogni persona, da tutelare fino all’estremo limite delle compatibilità con il bene comune». Ricorda le parole che il card. Zuppi scrisse due anni fa nella lettera alla Costituzione: «Hai quasi 75 anni ma li porti benissimo! Ti voglio chiedere aiuto, perché siamo in un momento difficile e quando la nostra Patria ha problemi, abbiamo bisogno di ricordare da dove veniamo e da che parte andare».

Parolin: la guerra in Europa sembra ravvivare macabre nostalgie totalitarie – Il segretario di Stato nella Messa conclusiva sottolinea: «Il Regno dei cieli è impastato con la nostra vicenda, la nostra storia, la nostra vicenda personale. La santità di Dio è essere là dove c’è morte, insignificanza, male». Invita i cristiani a resistere al male perseverando nella fede e auspica un coinvolgimento pieno dei laici nella crescita della democrazia. «Il vero problema è resistere al male e perseverare nella fede senza cercare accomodanti scorciatoie. Il messianismo di Gesù non è politico, non tende a esprimere un potere mondano». Vede il Regno nella storia «come scarto, contraddizione, nascondimento. Quello di Gesù è un messianismo della persona, non è un’utopia. Pensarlo come utopia è stato una delle contraddizioni storiche che la cristianità ha sopportato». Aggiunge dopo il 25 luglio 1943 ci si rese conto che «il male si era manifestato nel cuore dell’Europa, aveva coperto con una densa oscurità il nostro Paese ed era penetrato in noi». Si deve guardare al «Codice di Camaldoli» come a una «iniziativa necessaria» perché «eravamo dentro la catastrofe del fascismo e della guerra, alla vigilia della costituzione di quel che sarà il partito cattolico. Oggi c’è una situazione geopolitica totalmente diversa, un’inopinata guerra nel cuore dell’Europa sembra voler ravvivare macabre nostalgie totalitarie». La situazione ecclesiale è totalmente diversa, grazie al Concilio Vaticano II: «Oggi sperimentiamo una svolta antropologica che mette in discussione la fede stessa». Occorre un accurato discernimento per comprendere la storia in atto e l’esigenza di elaborare una cultura adeguata. Come Zuppi, Parolin auspica un aumento dei luoghi di incontro, formazione e riflessione su temi civili e sociali, ma anche su quelli della fede.

La testimonianza dei cristiani nella crescita della vita democratica – Parolin conclude: la crescita democratica della società civile ha bisogno di donne e uomini cristiani, consapevoli della loro fede, che testimonino la loro ispirazione, i valori e i comportamenti che la fede continua a fermentare, senza i quali la società non sarà migliore: «Abbiamo bisogno di recuperare la passione, il riconoscimento, l’accoglienza dell’altro». Il presidente della Cei, Zuppi esorta a colmare «il divorzio tra politica e cultura, a lavorare per sanare una democrazia infragilita, a diffidare della politica epidermica». Constata che la pace non è mai «un bene perpetuo neanche in Europa». Il «Codice» risale «a uno dei momenti più bui della lunga notte della guerra. Anche allora c’era un Papa che, come Francesco, parlava senza sosta di pace: Pio XII». L’iniziativa «del Codice è intrisa di coraggio; non si stava a guardare ma si andava oltre il fascismo e le distruzioni della guerra».

Diffidare della politica epidermica, con poca visione – Il divorzio tra cultura e politica «produce una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati e polarizzati. Bisogna diffidare di una politica così: spesso ne finiamo vittime, presi dall’inganno dell’agonismo digitale che non significa affatto capacità, conoscenza e soluzione dei problemi». Poi l’affondo: «Il fatto che non ci siano più partiti di ispirazione cristiana  non sia un alibi per non cercare nuovi modi di fare politica».

Pier Giuseppe Accornero

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