«Dio, non lasciarci in balia della tempesta». Papa Francesco prega per la fine della pandemia sul sagrato di San Pietro in una piazza deserta e inondata dalla pioggia. Storico momento di supplica seguito da milioni di persone grazie ai media e alle dirette-tv: «Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Tu hai cura di noi». Nell’atrio della basilica adora il Santissimo Sacramento e poi benedice «Urbi et orbi, la città e il mondo» con l’ostensorio.
Il silenzio echeggia milioni di persone in preghiera con un bisogno universale di speranza. Alla voce emozionata di Francesco si unisce il respiro affannoso dei malati in ospedale, il rantolo dei morenti, i sussurri nelle case, la speranza dei sopravvissuti. Un giornalista della «Radio Vaticana» scrive: «L’universalità della preghiera e l’unità spirituale hanno dato un timbro corale alle speranze del popolo di Dio, con Francesco a incarnare il ruolo di “pontifex, costruttore di ponti, pontefice” tra la terra e il Cielo».
Con il Papa, l’umanità provata prega di fronte all’icona della Madonna «Salus populi romani» di Santa Maria Maggiore e al Crocifisso di San Marcello al Corso che, sotto la pioggia, sembra piangere per il lutto del Pianeta. Quel crocifisso in legno del XV secolo salvò Roma dalla peste. Il 23 maggio 1519 un incendio distrusse la chiesa di San Marcello ma dalle macerie si salvò il crocifisso. Nel 1522 Roma, colpita dalla «Grande peste», lo portò in processione, vincendo i comprensibili divieti delle autorità. La processione verso la basilica di San Pietro durò 16 giorni (4-20 agosto): a mano a mano che procedeva, la peste regrediva e al rientro a San Marcello il morbo era cessato. In ogni Anno Santo si ripete la processione da San Marcello a San Pietro e sul retro della croce sono incisi gli anni dei Giubilei e i nomi dei Pontefici che li hanno celebrati.
A commento della «tempesta sedata» (Marco 35-41), Francesco dice: «Viviamo un tempo sferzato dalla tempesta. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti».
Venerdì 27 marzo 2020 è un anticipo del Venerdì Santo in una piazza sprofondata in un silenzio irreale. Francesco appare più piccolo, più curvo, più stanco mentre sale in solitudine e zoppicando vistosamente i gradini del sagrato. Sembra davvero il capo morale dell’umanità che si fa interprete dei dolori del mondo per offrirli ai piedi della Croce: «La pandemia smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità: mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore! Aiutaci!”». La sirena di un’ambulanza – una delle tante che in questi giorni attraversano con il loro lugubre ululato le nostre città per soccorrere – si mescola al suono delle campane di San Pietro mentre il Papa da solo si riaffaccia sulla piazza sferzata dalla pioggia e traccia il segno della croce con l’ostensorio.