Paolo Ramonda, «perché difendiamo gli affidi familiari»

Intervista – La Regione Piemonte vuole azzerare gli affidamenti dei minori a rischio, la comunità Papa Giovanni XXIII risponde con l’impegno quotidiano di centinaia di famiglie affidatarie

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La Regione Piemonte aprirà finalmente le consultazioni attorno al disegno di legge sugli affidamenti minorili, che l’assessore Chiara Caucino vorrebbe ridurre «a zero». Vista l’ondata di contestazioni, l’Assessorato alla Famiglia ha promesso una pausa di riflessione ed audizioni con gli operatori sociali, con le famiglie che accolgono bambini in affidamento. Ne abbiamo parlato con Giovanni Paolo Ramonda, responsabile dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, l’opera profetica di don Oreste Benzi, in prima linea nell’accoglienza dei minori in difficoltà.

Incontriamo Ramonda a Fossano (dove è nato), tra un suo viaggio in Thailandia ed un altro in Africa. Parliamo di bambini e ragazzi. Ramonda è sposato con Tiziana, hanno tre figli e otto «accolti». Parliamo con la serenità di chi è testimone, sempre. Ascoltiamo parole semplici e vere: stare sempre dalla parte dei bambini; ridurre gli allontanamenti, ma accettarli e difenderli quando sono necessari; prevenire eventuali abusi, ma anche riconoscere che la rete degli affidamenti è un’eccellenza d’Italia e del Piemonte. Insomma: costruire un confronto sereno per compiere le scelte migliori.

Paolo Ramonda, responsabile dell’associazione Papa Giovanni XXIII

Il disegno di legge della Regione Piemonte punta a ridurre al massimo il numero dei bambini allontanati dalle famiglie naturali. Perché tante critiche nei confronti di questa iniziativa?

Quando si parte dalla vita reale non serve estremizzare le situazioni, ma bisogna affrontarle realmente. Certamente si deve fare di tutto perché ogni minore possa vivere nella propria famiglia di origine, ma le situazioni di disagio familiare purtroppo sono in aumento, per cui in alcuni casi l’allontanamento o meglio dare una famiglia sostitutiva al minore è necessario; occorre farlo quando ci sono abusi, maltrattamenti, reale incapacità genitoriale per cui si vedono nel bambino dei gravi disagi comportamentali. Ogni buona legge deve dare indicazioni generali, ma avere anche una flessibilità di valutazione e applicazione garantita dal territorio, da una rete sociale che sostiene le famiglie di origine, ma sa anche leggere quando ci sono disagi gravi per cui bisogna intervenire per il maggiore interesse del minore.

Il disegno di legge piemontese è nato nel clima infuocato sul caso di Bibbiano. Nella polemica politica sono stati sollevati dubbi di carattere generale sulla serietà dei servizi sociali italiani. Dubbi fondati?

Parto dal leggere il sistema sociale italiano che i nostri padri ci hanno lasciato come una eccellenza. La Comunità Papa Giovanni XXIII ha diverse comunità nei vari continenti, nelle varie culture del mondo, dove i bambini a volte vivono abbandonati per la strada o al massimo inseriti in grandi istituti dove è assente la relazione genitoriale. L’assistenza sociale nel nostro Paese è valida, ovviamente dipende anche dalle risorse a disposizione per dare un sostegno a volte economico, lavorativo, educativo o ricreativo che sostenga la famiglia. Per la nostra esperienza di ormai 50 anni sul territorio nazionale evidenziamo il buon lavoro, dei giudici, assistenti sociali, psicologi, educatori. Se ci sono delle mele marce, non dobbiamo dire che la rete sociale non funziona.

Bisogna creare una rete, un controllo sociale molto ampio: è questo che garantisce. Un territorio sociale custodisce le famiglie d’origine e anche le famiglie affidatarie. Il tessuto sociale e i servizi sociali devono lavorare come una pluralità di soggetti che collaborano.

Nel mirino sono finite anche le famiglie che accolgono bambini in affidamento. Le si accusa di lucrare denaro dagli affidamenti. Come risponde la Papa Giovanni?

L’affido è la risposta adeguata ad un bambino perché, se si sente amato, non accumula aggressività che farà poi pagare ad altri.

L’affido familiare è: prevenzione sociale, risparmio economico per lo stato (che altrimenti spenderebbe rette molto alte nelle strutture statali o private), risposta civile di alta qualità. Le famiglie affidatarie sono un tesoro preziosissimo di questa nostra società. Sono una risorsa sociale insostituibile che va potenziata, sostenuta ed alimentata.

Il contributo economico che si dà alla famiglia affidataria è irrisorio, sui 500 euro al mese, quando la dedizione richiesta è 24 ore su 24 giorno e notte, quando il bimbo sta bene o è malato, quando si va in ospedale, a volte uno dei genitori deve addirittura ridurre il lavoro.

L’affidamento familiare è un’esperienza validissima dal punto di vista umano, relazionale, affettivo e dà una risposta a quei minori più vulnerabili del paese, creando in questi bimbi delle personalità mature.

Il titolo del disegno di legge regionale è «Allontanamento zero»: muove dal convincimento che l’allontanamento dei bambini delle famiglie naturali e l’affidamento ad altre famiglie sia sempre da evitare. Quale la vostra opinione?

Bisogna prevenire l’allontanamento come dicevo sopra, ma assolutamente bisogna avere la possibilità di intervenire con un «allontanamento» (termine non felice), meglio con un affidamento ad altra famiglia che continua a tenere al caldo il bisogno di affetto, di relazione e di educazione del bambino. L’attuale legge sull’affidamento familiare è una eccellenza e rientra in quel mondo del volontariato italiano di cui Papa Francesco riferisce come un fenomeno unico al mondo.

Di fronte alle critiche giunte da molte parti, l’assessore regionale Chiara Caucino ha accettato di avviare consultazioni fra i soggetti che operano nel campo degli affidamenti. La Papa Giovanni XXIII si farà sentire?

Certamente, noi da sempre abbiamo scelto, anche nella regione Piemonte dove siamo presenti da 40 anni, di collaborare con i vari governi regionali che si sono succeduti, sempre con uno spirito collaborativo, alcune volte anche critico, ma sempre costruttivo. Il Paese non ha bisogno di scontri sociali, ma di unire le forze per servire il bene comune, in questo caso i minori e le famiglie. E soprattutto per conoscere realmente i problemi, è necessario il concorso di tutti, di tutte le professionalità, del mondo dell’associazionismo familiare, del panorama ecclesiale. Non dobbiamo disperdere quella tradizione dei santi sociali piemontesi (don Bosco, Cottolengo, Frassati) che ci invita a spenderci per fare crescere comunità, un popolo attento a tutti e soprattutto a chi fa più fatica ed è più debole.

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