Papa Francesco bacia i piedi ai capi per la pace in Sud Sudan: in ginocchio – con qualche fatica: a dicembre avrà 83 anni – davanti al presidente Salva Kiir Mayardit e ai vicepresidenti Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabio che in maggio avvieranno un nuovo governo nel Paese africano: «La pace è possibile e l’armistizio va rispettato» dice l’11 aprile 2019 al termine dei due giorni di ritiro spirituale per le autorità civili ed ecclesiastiche. La riconciliazione è l’unica strada da seguire, anche se difficile: «A voi, che avete firmato l’accordo di pace, chiedo come fratello: rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore. Andiamo avanti. Ci saranno tanti problemi, ma non spaventatevi, andate avanti, risolvete i problemi. Avete avviato un processo: che finisca bene. Ci saranno lotte fra voi? Sì, ma davanti al popolo, le mani unite: così da semplici cittadini diventerete padri della Nazione. Imploro che il fuoco della guerra si spenga una volta per sempre. Guardate a ciò che unisce e non a ciò che divide: il futuro del Paese sia nel segno della pace e della riconciliazione».
LA LEZIONE AI POTENTI SULLA PACE – Con un discorso appassionato e improvvisato ricorda che la pace è il primo dono offerto agli apostoli da Gesù dopo la passione, morte e risurrezione: «Pace è il primo compito che i capi delle Nazioni devono perseguire, condizione fondamentale per il rispetto dei diritti di ogni uomo e per lo sviluppo del popolo. Anch’io rivolgo lo stesso saluto a voi, venuti dalla grande tribolazione del vostro popolo, provato dai conflitti. A noi, capi politici e religiosi, Dio ha affidato il compito di essere guide del popolo. E ci domanderà conto del nostro servizio e impegno in favore della pace e del bene delle nostre comunità, in particolare i più bisognosi ed emarginati. Ci chiederà conto della nostra vita ma anche della vita degli altri. Gesù ci guarda con amore, ci chiede qualcosa, ci perdona qualcosa e ci dà una missione, ci mostra grande fiducia per essere suoi collaboratori nella costruzione di un mondo più giusto. Il suo sguardo benevolo e misericordioso ci incoraggia a rinunciare alla strada del peccato e della morte e ci sostiene nel cammino della pace e del bene».
«SIATE ARTIGIANI DELLA PACE» – Alla vigilia della Settimana Santa il pensiero del Papa va a chi ha perso tutto nella guerra e nelle violenze che hanno seminato «morte e fame, dolore e pianto. Questo grido dei poveri e dei bisognosi lo abbiamo sentito forte, penetra i cieli e raggiunge il cuore di Dio che vuole donare loro giustizia e pace. A queste anime sofferenti penso incessantemente e imploro che il fuoco della guerra si spenga una volta per sempre, che possano tornare nelle loro case e vivere in serenità». Quindi la pace è possibile, è un grande dono di Dio ma anche un forte impegno degli uomini. Chiede ai governanti di essere «artigiani di pace» e li esorta a cercare ciò che unisce, «a partire dall’appartenenza allo stesso popolo», e a superare ciò che divide: «La gente è stanca ed esausta delle guerre: con la guerra si perde tutto», come disse Pio XII il 24 agosto 1939 nel radiomessaggio «ai governanti e ai popoli nell’imminente pericolo» della seconda guerra mondiale: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Ricordando l’accordo di pace sottoscritto in Sud Sudan nel settembre 2018, Francesco chiede che «cessino le ostilità, sia rispettato l’armistizio, si superino le divisioni politiche ed etniche, si cominci a costruire la Nazione»; conferma il desiderio di «recarmi nella vostra amata Nazione, insieme ai miei cari fratelli, l’Arcivescovo di Canterbury e il già Moderatore della Chiesa presbiteriana».
UN GESTO DI SAPORE EVANGELICO – Quello del Pontefice è il gesto sorprendente e commovente del «servo dei servi di Dio», che ha un sapore evangelico alla vigilia del Giovedì Santo quando in tutte le chiese si ripete il gesto di Gesù nell’Ultima Cena: lavando i piedi degli apostoli, indica la via del servizio. Immagine forte che non si comprende se non nel clima della riconciliazione e del reciproco perdono. Gesti simili, icona evangelica del servizio, non sono nuovi nella storia recente del papato. Il 14 dicembre 1975 il grande Paolo VI, celebrando nella Cappella Sistina il decennale della cancellazione delle reciproche scomuniche tra le Chiese di Roma e di Costantinopoli, scende dall’altare al termine della Messa e si prostra ai piedi del metropolita ortodosso Melitone di Calcedonia, rappresentante di Dimitrios, Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Un gesto che richiama gli eventi del Concilio di Basilea-Ferrara-Firenze (1431-1445) quando nel 1439 i patriarchi ortodossi si rifiutano di baciare i piedi di Papa Eugenio IV.
IL GESTO DEL SERVO DEI SERVI DI DIO – I titoli del Papa sono: «Successore del principe degli apostoli, Sommo Pontefice della Chiesa universale, primate d’Italia, arcivescovo e metropolita della Provincia romana (cioè vescovo di Roma), sovrano dello Stato della Città del Vaticano, servo dei servi di Dio» che non ha vergogna a umiliarsi a imitazione di Gesù. Francesco aveva accettato e approvato l’idea lanciata da Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury e primate anglicano, e da John Chalmers, già Moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia (con quella cattolica sono le principali confessioni cristiane del Sud Sudan). Un’iniziativa ecumenico-diplomatica per la pace in uno dei Paesi più giovani al mondo – nato il 9 luglio 2011 con l’appoggio di Papa Benedetto XVI e della Santa Sede – e uno dei più poveri e tormentato da una guerra civile atroce durata cinque anni (dicembre 2013-estate 2018). Il 10-11 aprile alla «Domus Sanctae Marthae» si è svolto il ritiro spirituale con la partecipazione delle autorità civili ed ecclesiastiche del Paese.
Pier Giuseppe Accornero