Baghdad; la Piana di Ur legata alla memoria del patriarca Abramo; la città di Erbil; Mosul e Qaraqosh nella Piana di Ninive. Sono i cinque appuntamenti di Papa Francesco nel viaggio (5-8 marzo 2021) in Iraq. Venerdì 5 arrivato a Baghdad, incontra presidente, autorità, corpo diplomatico; nella Cattedrale siro cattolica Nostra Signora della salvezza incontra vescovi, sacerdoti e religiosi. Sabato 6 a Najaf incontra il Grande Ayatollah Sayyid Ali al-Husaymi al-Sistani e nella Piana di Ur ha un incontro interreligioso; nella capitale Messa nella Cattedrale caldea San Giuseppe. Domenica 7 molti spostamenti: a Erbil nel Kurdistan iracheno; a Mosul prega per le vittime della guerra; a Qaraqosh incontra la comunità nella chiesa Immacolata Concezione; a Erbil Messa nello stadio «Franso Hariri». Lunedì 8 rientro a Roma.
Undici anni fa nella Cattedrale siro cattolica Nostra Signora della salvezza in centro a Baghdad, il 31 ottobre 2010, durante la Messa, cinque terroristi islamici massacrano 48 cristiani, tra cui due sacerdoti. Per questi martiri è in corso la causa di beatificazione, come spiega all’agenzia «Sir» il postulatore don Luis Escalante che li qualifica «buoni cristiani, buoni cittadini, profondamente innocenti». I terroristi, affiliati al cosiddetto «Stato islamico», gruppo alleato di «Al Qaeda», uccidono i due sacerdoti Thaer Abdal e Wassim Kas Boutros e altri 46 «fratelli nella fede», famiglie e bambini: Adam 3 anni, un neonato di 3 mesi e un bimbo nel grembo della mamma. Una settimana prima in Vaticano si era chiuso il Sinodo speciale per il Medio Oriente (10-24 ottobre 2010) convocato da Benedetto XVI. I vescovi avevano denunciato l’orribile situazione dei cristiani sottoposti a persecuzioni e attacchi. Precisa Escalante: «I 48 martiri perirono nella chiesa, nessun ferito morì in seguito».
Il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca caldeo di Baghdad, spiega: «Il primo incontro pubblico del Papa si svolgerà, subito dopo l’arrivo e il saluto alle autorità, nella Cattedrale teatro dell’attentato. Incontrerà vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, seminaristi e catechisti. Farà memoria di questi martiri». Quella irachena è una Chiesa di martiri: suor Cecilia Moshi Hanna uccisa a Baghdad nel 2002; il sacerdote caldeo Ragheed Ganni e tre diaconi massacrati dai terroristi a Mosul nel 2007; l’arcivescovo caldeo di Mossul, Paulos Faraj Rahho nel 2008. Benedetto XVI alzò «un forte e accorato grido: basta stragi, basta violenze, basta odio. Siano la riconciliazione, il perdono, la giustizia e la convivenza fra tribù, etnie e gruppi religiosi la via alla pace». La Cattedrale, semidistrutta dai terroristi anche con ordigni esplosivi, è stata restaurata: sono rimasti l’altare e il pavimento a ricordo del massacro. Per don Escalante la presenza del Papa «sarà un momento significativo, una testimonianza nel ricordo dei martiri passati dalla mensa terrestre a quella del cielo nel giorno del Signore». Appartenevano ai riti siro e caldeo: «Erano cristiani comuni: fu un attentato contro la fede della gente comune». Un particolare agghiacciante: Adam, 3 anni, mentre i terroristi sparano con i mitra, urla «Basta, basta, basta». «È il grido di tutti i cristiani iracheni che chiedono di essere accettati in quanto esseri umani».
Dialogo, tolleranza, diritti umani, giustizia, rifiuto dell’estremismo: sono temi professati dalla Chiesa irachena da anni e risuonano nell’enciclica «Fratelli tutti» (3 ottobre 2020) e nel documento «Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune» (4 febbraio 2019) firmato ad Abu Dhabi da Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb, Grande Imam di Al-Azhar (Il Cairo). Sottolinea don Escalante: «La Chiesa di Babilonia è stata chiamata a donare i figli come perle preziose alla Chiesa universale: è ancora lunga la strada verso la giustizia, il dialogo e la convivenza. Lo Stato islamico non venne dal nulla, non apparve improvvisamente e tanti lo applaudirono. Il dialogo deve partire dal riconoscimento dei diritti umani».
Nella tappa a Najaf, roccaforte sciita il papa incontrerà il Grande Ayatollah Sayyid Ali al-Husaymi al-Sistani, autorità religiosa di riferimento, che si oppone al terrorismo. L’incontro è stato fortemente voluto dal cardinale Sako: spera che il Papa firmi una dichiarazione della «Fraternità umana» anche con la massima autorità sciita, come fece con il Grande Imam dei sunniti ad Abu Dhabi. Spera così di acquietare gli animi divisi dell’Islam perché lo Stato islamico e il suo (fallito) piano di conquista sono il prodotto di una guerra intestina all’Islam. Perché il dialogo con al-Sistani è cruciale? Rispondono gli esperti: perché egli porta avanti da tempo l’interpretazione «quietista», in cui religione e politica sono divise. Nato in Iran nel 1930, non ha mai appoggiato lo Stato teocratico iraniano. Mentre l’ayatollah Khomeini, autore della rivoluzione del 1979 da cui nacque lo Stato teocratico, riteneva che «solo una buona società può creare buoni credenti», al-Sistani pensa che «solo i buoni cittadini possono creare una buona società». Trasferito negli anni Cinquanta a Najaf, dal 1992 guida gli sciiti. Si è affermato sulla scena internazionale nel 2003 dopo la caduta del dittatore Saddam Hussein.
Sunniti e sciitti, convergenze e differenze – Sunniti: è la corrente maggioritaria (80 per cento dei musulmani) formata dopo la morte del Maometto tra coloro che appoggiarono la nomina a califfo di Abu Bakr, uno dei primi compagni del profeta. Sono i seguaci della «sunna, tradizione», detti e fatti di Maometto e si considerano il ramo ortodosso. Non c’è un vero e proprio clero: chiunque, preparato islamicamente, può guidare la preghiera («imam»), stare davanti ai fedeli e condurre il culto. I veri potenti sono i saggi e gli studiosi («ulema, mufti, mullah») con le loro prediche, infiammano gli animi in televisione e su Internet. Sciiti: è il secondo gruppo (10-15 per cento) diviso in varie correnti. È diffuso in Iran (maggioranza della popolazione), Iraq (un terzo), Pakistan (20 per cento), Arabia Saudita (15%), Bahrein (70), Libano (27), Azerbaigian (85), Yemen (50), Siria, Turchia e Occidente. Ha un clero organizzato, preparato in università di Scienze islamiche. Per salire nella gerarchia occorre studiare e si diventa «mullah» e poi «ayatollah».