«I beni culturali e le chiese dismesse siano finalizzati alle attività caritative svolte dalla comunità ecclesiale». Papa Francesco sottolinea «il dovere di tutela e conservazione dei beni della Chiesa» ma «essi non hanno valore assoluto e in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e al servizio dei poveri. La dismissione non deve essere la prima e unica soluzione». È molto articolato il messaggio papale ai partecipanti al convegno internazionale del 29-30 novembre 2018 «Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici» organizzato dal Pontificio Consiglio della cultura, presieduto dal cardinale milanese Gianfranco Ravasi, dall’Università Gregoriana e dall’Ufficio nazionale per i beni ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza episcopale italiana, presenti delegazioni di 23 Conferenze episcopali d’Europa, America settentrionale e Oceania, dove il problema è più avvertito.
IL MESSAGGIO INSISTE SUL SENSO DI COMUNITÀ – Francesco è chiarissimo: «L’edificazione di una chiesa o la sua nuova destinazione non sono operazioni trattabili solo sotto il profilo tecnico o economico. Il senso comune dei fedeli percepisce per gli ambienti e gli oggetti destinati al culto la permanenza di un’impronta che non si esaurisce anche dopo che hanno perduto tale destinazione. I beni culturali ecclesiastici sono testimoni della fede della comunità che li ha prodotti nei secoli e per questo sono strumenti di evangelizzazione che si affiancano all’annuncio, alla predicazione, alla catechesi. Ma questa loro eloquenza originaria può essere conservata anche quando non sono più utilizzati nella vita del popolo di Dio, in particolare attraverso una corretta esposizione museale, che non li considera solo documenti della storia dell’arte, ma ridona loro quasi una nuova vita, così che possano svolgere una missione ecclesiale».
CI SONO CHIESE CHE FINISCONO ALL’ASTA O IN MOSCHEA – Non è una notizia rara suscita proteste e indignazione. Per i credenti la chiesa è luogo d’incontro con Dio e con i fratelli; per tutti rappresenta un patrimonio storico, culturale, artistico, un riferimento non secondario. In Occidente attorno alla chiesa e alla piazza si è costruito la vita dei nostri paesi e delle nostre città. Francesco constata: «Molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione». Un fenomeno che va accolto «non con ansia ma come un segno dei tempi che ci invita a una riflessione e ci impone un adattamento». Sottolinea l’importanza della riflessione e del dialogo. Ai vescovi – ai quali spettano le scelte concrete e ultime – raccomanda vivamente che ogni decisione «sia frutto di una riflessione corale condotta in seno alla comunità cristiana e in dialogo con la comunità civile. La dismissione non deve essere la prima e unica soluzione a cui pensare, né mai essere effettuata con scandalo dei fedeli. Qualora si rendesse necessaria, dovrebbe essere inserita per tempo nella ordinaria programmazione pastorale, essere preceduta da una adeguata informazione e risultare il più possibile condivisa».
IN ITALIA 600-700 CHIESE DISMESSE E DESTINATE AD ALTRI USI – Mons. Stefano Russo, vescovo di Fabriano e segretario della Conferenza episcopale italiana, un ragguardevole passato da architetto, suggerisce «trasformazioni equilibrate delle chiese dismesse e consone all’architettura». Il forte carattere identitario delle chiese, «al di là dell’appartenenza religiosa delle persone, fa sì che siamo molto interessati al loro utilizzo» quando sono dismesse. Il carattere delle chiese è tale che solo determinate destinazioni profane risultano appropriate. Per questo definire «linee guida orientative che tengano conto delle esperienze può essere un buon servizio. Va privilegiata la destinazione di uso culturale» come auditorium, biblioteche, musei. Invece la trasformazione in ristoranti, locali notturni, sale per matrimoni civili – per di più mantenendo inalterato l’apparato liturgico, scultoreo e decorativo – «è assolutamente inopportuno». La dimissione delle chiese aumenterà: «Confido che riusciamo a trovare valide soluzioni e nel confronto con le istituzioni possiamo condividere percorsi che favoriscano trasformazioni equilibrate e consone».
IMPOSSIBILE MANETENERE TUTTE QUESTE COSTRUZIONI – L’Europa E L’Italia hanno un grande patrimonio di chiese, decisamente superiore alle necessità. Per esempio in molte città e paesi della Penisola era un punto d’onore che le contrade e le confraternite si costruissero la loro chiesette. In Italia le chiese sono circa 100 mila, di cui 65 mila delle diocesi. Ieri era difficile e oggi è impossibile mantenere tutte queste costruzioni. Alcuni paesi e città, con bellissime chiese, oggi sono disabitati. La drastica riduzione della pratica religiosa e delle attività pastorali; la drammatica diminuzione del clero; la crisi economica; la diminuzione dei fondi pubblici per la gestione del patrimonio artistico non giustificano più la presenza di diverse chiese. Ad aumentare le difficoltà i terremoti degli ultimi anni hanno danneggiato circa 3 mila luoghi di culto, 300 nella sola diocesi di Camerino. Il card. Ravasi invita a «fare in modo che il tempio rimanga sempre un simbolo spirituale, culturale, sociale ed eventuali trasformazioni consentano di tutelarne il patrimonio trasferendolo nei musei diocesani in modo da lasciare lo spazio il più nudo possibile». Alla sede della Cei a Roma, in via Aurelia 50, in questi anni sono giunte molte richieste e proposte di valorizzazione di edifici non più utilizzati per la liturgia. Già nel 1992 i vescovi dissero di destinare le chiese dismesse a fini culturali: biblioteche, archivi, musei. Sul biglietto d’ingresso sperimentato dal ministero degli Interni in alcune chiese monumentali sono arrivate moltissime proteste in Cei. Non è una strada percorribile