Papa Pio XII, “Defensor civitatis”

19 luglio 1943 – «In quel giorno Pio XII meritò davvero il titolo di “Defensor civitatis” che gli sarebbe stato conferito». Lo afferma lo storico Giulio Alfano, docente di Istituzioni di filosofia politica alla Pontificia Università Lateranense, ricordando le tragiche ore di ottant’anni fa: quattromila bombe sulla basilica San Lorenzo e sullo scalo ferroviario Tiburtino provocano 3 mila morti e 11 mila feriti

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«In quel giorno Pio XII meritò davvero il titolo di “Defensor civitatis” che gli sarebbe stato conferito». Lo afferma lo storico Giulio Alfano, docente di Istituzioni di filosofia politica alla Pontificia Università Lateranense, ricordando le tragiche ore di ottant’anni fa: il 19 luglio 1943 quattromila bombe (1.060 tonnellate di esplosivo) sulla basilica San Lorenzo e sullo scalo ferroviario Tiburtino provocano 3 mila morti e 11 mila feriti. Gli Alleati, per umiliare il duce, si ripetono il 13 agosto 1943. Anche grazie a questi tremendi colpi naufraga miseramente il fascismo che sfrutta i titoli dei giornali, sottoposti a rigida censura, a scopi di propaganda e incitamento: «Viva il Duce fondatore dell’Impero. Guerra fascista. L’Italia in armi contro Francia e Inghilterra. La parola d’ordine: vincere. I dadi sono gettati. Popolo italiano, corri alle armi»

Il Pontefice esce dal Vaticano quando il bombardamento del 19 luglio è in corso. Abbraccia la folla piangente: quel gesto a braccia spalancate è immortalato da una statua nel Cimitero Verano, in una Roma già «città aperta». Prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale Pio XII nel radiomessaggio del 24 agosto 1939 disse: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra». Quattro anni dopo dalle finestre del Vaticano vede che oltre 520 bombardieri americani si avventano sulla città indifesa. Senza pensare ai rischi che corre, si precipita a San Lorenzo mentre è in corso il bombardamento. Don Fiorenzo Angelini, futuro cardinale morto nel 2014, viceparroco alla Natività a Via Gallia, racconta di aver visto il Papa alle 14, ben prima della fine dell’attacco che dura dalle 11 alle 14.30 in ondate successive. La signora Maria Rigi, sopravvissuta al bombardamento, racconta: «Cadaveri per terra, crateri di bombe, morte, sangue e devastazione ovunque. Fuori e dentro il cimitero. Le bombe non risparmiarono neanche la tomba della famiglia Pacelli, che si trova poco distante dall’ingresso, vicino alla statua del Cristo».

La signora Maria si trova nella folla stretta intorno al Pontefice. Lo vede a una cinquantina di metri, con la veste bianca che si sarebbe sporcata di sangue, pregare e benedire i vivi e i morti, accompagnato da sole due persone: il conte Enrico Pietro Galeazzi e mons. Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. Pacelli arriva con loro arriva a bordo di una «Topolino» guidata dal conte Galeazzi, uno dei più stretti collaboratori laici. Spiega il prof. Alfano: dal Vaticano a San Lorenzo «un percorso di 8-9 chilometri non facile perché le ondate dei bombardieri si susseguivano. La piccola auto avrebbe potuto essere colpita. Pio XII esce senza scorta pur di essere vicino ai romani in quella tragedia». La famosa foto è pubblicata in copertina dalla rivista francese «Semaine hebdomadaire illustré» del 29 luglio 1943. Mostra Pacelli attorniato dalla folla mentre sullo sfondo si intuisce la cancellata parzialmente divelta di San Lorenzo fuori le mura e il tetto della basilica sfondato dalle bombe. Per la fine delle ostilità ci sarebbe voluti ancora due, dolorosissimi anni.

Quando torna in Vaticano ha la talare bianca macchiata di roso. «Non è il mio sangue ma è il sangue di Roma» dice alla fedelissima suor Pascalina (Josephine) Lehnert. Rammenta il cardinale Fiorenzo Angelini, allora viceparroco della Natività di nostro Signore: «Stavo celebrando un matrimonio tra sfollati a porte chiuse; uscimmo perché sentimmo i bombardamenti e vidi il fumo. Presi l’olio degli infermi e alcune particole e mi avvicinai alla zona. Mentre ero lì, venne sganciata una nuova bomba, mi salvai per miracolo. Nel via vai arrivai a una strada in salita e vidi una macchina nera che veniva giù e mi accorsi subito che c’era Pio XII insieme al conte Enrico Pietro Galeazzi e mons. Giovanni Battista Montini. Allargai le braccia, fermai la macchina perché lì vicino c’era una bomba di aereo inesplosa. La gente accorse immediatamente come una fiumana. Il Papa scese dalla macchina, sembrava il prete dei poveri, degli afflitti e dei feriti, come uno che tutta la vita avesse fatto e compiuto la sua vita pastorale tra la gente».

Stesse tragiche scene sotto le bombe del 13 agosto a San Giovanni in Laterano, al Casilino e al Tuscolano: centinaia di morti; interi palazzi crollati. Racconta ancora lo storico Alfano: «Quel giorno il Papa doveva celebrare Messa in suffragio delle vittime del 19 luglio nella chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio. Al termine avrebbe dovuto esserci anche una processione fino a San Giovanni. Ecco perché di questa seconda occasione abbiamo anche le immagini cinematografiche. La sua presenza era prevista e la coincidenza con il bombardamento fu casuale». Pacelli è profondamente colpito dai bombardamenti ed esprime la volontà di essere sepolto a San Lorenzo al Verano,  cosa che poi non si avvera. Il Papa rifiutò sempre di abbandonare Roma anche quando il folle piano di Hitler – «Operazione Rabat» – lo espose al pericolo di essere rapito e portato a Monaco per costringerlo a firmare un’enciclica filonazista.

Le braccia spalancate sono la posa più emblematica e significativa e sono l’immagine del suo cuore aperto. Ancora Amgelini: «Pio XII rischiò la propria vita. Noncurante della propria incolumità, compì atto pastorale e paterno verso i fedeli della sua diocesi di Roma. Dopo meno di un mese ci fu l’armistizio, venne raccolto l’urlo di pace, non il grido, ma l’urlo di pace che rispecchiava la disperazione della gente».

Pier Giuseppe Accornero

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