Parla Joy, vittima dei lager

Sconvolgente testimonianza – Abbiamo intervistato la protagonista del libro di Mariapia Bonanate sulla tratta delle donne africane, rinchiuse nei campi libici, violentate, vendute in Italia sulle strade delle prostituzione

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Chi era presente, il pomeriggio di venerdì 22 ottobre, nella splendida cornice del cortile della Libreria San Paolo in via della Consolata a Torino, è tornato a casa cambiato. Eravamo in tanti «e ci ha fatto bene metterci al fianco di Joy e fermarci con lei sui suoi ‘luoghi’ del dolore inerme e innocente» – come scrive Papa Francesco nella prefazione del libro di Mariapia Bonanate «Io sono Joy: un grido di libertà dalla schiavitù» (edizioni San Paolo, pp. 176, 16 euro). «Dopo aver sostato lì, sarà impossibile rimanere indifferenti quando sentiremo parlare dei battelli alla deriva, ignorati e anche respinti dalle nostre coste. Joy si trovava su uno di essi».

Ma se già il libro, pagina dopo pagina, ci inchioda «dinanzi ai pregiudizi e alle responsabilità che ci rendono attori conniventi di questi avvenimenti», avverte ancora il Papa, sentire dalla viva voce di Joy – invitata al «Festival dell’accoglienza» promosso dall’Ufficio Migranti della nostra diocesi – il racconto del suo viaggio-calvario dalla Nigeria alle strade-bordello di Castel Volturno è come sentire «le grida delle migliaia di migranti e rifugiati nei lager della Libia» (Papa Francesco, Angelus, domenica 24 ottobre). Abbiamo parlato con Joy a margine della presentazione del libro, di cui parte del ricavato va a «Casa Rut» di Caserta, comunità che accoglie giovani donne migranti in situazioni di difficoltà o sfruttamento, fondata da suor Rita Giaretta, religiosa orsolina, dove Joy ha cominciato una nuova vita. Mariapia Bonanate, già condirettore de «Il nostro tempo», e la protagonista del suo libro stanno girando la Penisola invitate da diocesi, scuole e associazioni «perché l’unico modo per capire è conoscere cos’è la tratta degli esseri umani di cui sono vittime 40 milioni di persone nel mondo. Solo in Italia si calcola siano 50 mila le donne immigrate costrette a prostituirsi per restituire il debito con cui siamo state irretite con la promessa di un lavoro onesto in Italia». «Il mio», prosegue Joy, «era di 35 mila euro, che dovevo rendere alla madame, una donna nigeriana che con altre mie connazionali mi ha messo sulla strada»,.

Joy, Papa Francesco nella prefazione scrive che «il tuo memoriale» di sofferenza che accomuna tante vittime della tratta, uomini donne e bambini, è libro «necessario» per informare e smantellare ogni pregiudizio di chi pensa che «chi finisce sulla strada se lo vuole»… Perché hai deciso di rendere pubblica la tua storia?

Non è semplice mettere a nudo la propria vita, soprattutto quando questa è segnata da mortificazioni immani come quelle subite dalle vittime della tratta. Se sei donna poi, è ancora peggio perché vieni violata nel profondo della tua dignità. Ho deciso di affidarmi alla sensibilità e alla splendida scrittura di Mariapia Bonanate, che è venuta a conoscermi a Casa Rut, perché io sono Joy, Loweth, Glory Mary, Tina, Precius: attraverso le mie parole parlano migliaia di ragazze che hanno vissuto e vivono il mio dramma. Leggendo questo libro, ho pensato, forse posso contribuire a informare che ci sono situazioni in cui non hai altra scelta che la fuga dal tuo Paese e che non è merito nostro la culla in cui siamo nati. Io, come migliaia di ragazze ingannate e illuse con la promessa di un lavoro serio con cui avremmo potuto aiutare la nostra famiglia a uscire dalla povertà, avere un futuro e anche studiare, non abbiamo scelto di nascere a Benin City, in Pakistan o nelle baraccopoli sudamericane. Come tu non hai scelto di nascere a Torino…

Qual è stata la tua reazione quando Papa Francesco ha definito questo libro «patrimonio dell’umanità», perché gli oltraggi che patiscono migliaia di schiavi della tratta sono patrimonio dell’umanità?

Il mio pensiero è andato a Grace, una ragazzina del mio paese di 13 anni che doveva raggiungere in Spagna la madre che le aveva pagato il viaggio. Ci siamo conosciute a Tripoli in un campo-lager in attesa della traversata del Mediterraneo sui barconi. Una notte arrivarono sette uomini, scelsero cinque ragazze tra cui me e Grace. Ci caricarono su un’auto, ci portarono in una casa dove c’erano fucili e altre armi: ci rinchiusero e legarono. Grace piangeva e ripeteva in continuazione ‘mamma, aiutami, sto morendo, salvami’. Anche io piangevo e dicevo ‘Dio perché mi hai abbandonata?’. Ci slegarono e a turno ci violentarono. Grace implorava ‘vi prego, sono ancora piccola, abbiate pietà di me…’. Ma più Grace piangeva e chiedeva di essere risparmiata, più si divertivano a infierire su di lei… ‘Mamma, mamma vieni a salvarmi’, continuava a gridare. Non potrò mai dimenticare il suo sguardo. Il giorno dopo ci riportarono al campo, faticavamo a camminare ma non lo davamo a vedere per paura che ci uccidessero. Grace perdeva sangue e voleva sempre starmi vicino. Chiamava ancora la sua mamma e mi diceva ‘prega per me, voglio morire’. Il terzo giorno, pallidissima, si alzò e cadde urlando. Ho cercato di rialzarla. Era morta. Gli occhi rimasti aperti erano pieni di lacrime. Mi inginocchiai e la tenni a lungo stretta tra le mie braccia. Dovevo vivere per ricordarla, per ridarle una vita raccontando cosa succede nei lager della Libia. Ecco perché credo che il Papa abbia usato quelle parole nella prefazione del libro. Grace e tante altre ragazze morte come lei sono ‘patrimonio dell’umanità’.

Francesco, sempre nella prefazione, pone una domanda ai lettori: «Sono innumerevoli le giovani donne vittime della tratta che finiscono sulle strade delle nostre città: quanto questa riprovevole realtà deriva dal fatto che molti uomini, qui, richiedono questi «servizi» e si mostrano disposti a comprare un’altra persona, annientandola della sua inalienabile dignità?». Come rispondi?

Quando la madame – una donna del mio paese, mamma di una mia amica, che mi aveva convinta a partire perché mi avrebbe trovato un lavoro (così sono stata doppiamente tradita) – mi obbligò a prostituirmi mi cambiò anche il nome: da Joy, che significa Gioia, a Jessica. Sono stata privata oltre che del mio corpo anche della mia identità. Sono riuscita a sopravvivere, buttata tutti giorni su un marciapiede, il volto truccato in modo volgare, il corpo seminudo per provocare, perché mi dicevo: «Jessica io non la conosco, io sono Joy». E così ogni mattina lasciavo Joy a casa della madame e diventavo Jessica, una ragazza che si prostituiva sulla Domiziana per pagare un debito di 35 mila euro. Fu quello sdoppiamento che mi aiutò a sopravvivere all’inferno, alla mia seconda Libia, fatta di uomini, padri, mariti, fidanzati che vogliono soddisfare solo i loro istinti fuori da ogni regola per 10, 20 euro. Una volta mi rivolsi ad un cliente che mi sembrava più umano degli altri: gli chiesi di aiutarmi a scappare perché non ce la facevo più a sopportare quella vita. Non venne più da me, scelse un’altra ragazza. Ritentai con altri, nessuno mi aiutò: ero sconvolta dai padri che portano con sé i figli perché tu possa insegnare loro come si fa a fare sesso… L’unica domanda che mi facevano era «quanto costi?».

Ad un certo punto non ce la facevo più a reggere lo sdoppiamento e, con l’aiuto di Dio – perché Dio non dorme quando lo invochi – Joy è fuggita. Avevo il terrore che la polizia mi rimandasse in Libia o in Nigeria, invece la questura di Caserta, grazie anche ai mediatori culturali, dopo tutti gli accertamenti mi portò alla comunità di suor Rita. Appena giunta mi ha abbracciato: «Ti aspettavamo Joy, come stai?». Mai più «quanto costi» ma «come stai»? Da quel giorno Jessica è sparita: ero di nuovo la Joy partita da Benin City con tante speranze e sogni che oggi sto realizzando grazie alla comunità, lo studio, il lavoro e il sostegno a tante donne che come me hanno avuto il coraggio di denunciare gli aguzzini, a costo di morire. Ecco cosa vorrei dire alle ragazze in Nigeria che decidono di partire alla ricerca di una vita migliore: non lasciatevi ingannare neppure dai vostri famigliari. E a quelle che arrivano in Italia: si può sempre ricominciare, scappate. Io ho trovato la forza di ribellarmi grazie alla fede in Dio, per cui anche nei momenti più bui non mi sono mai sentita abbandonata, e grazie alla comunità… E a tutte vorrei ripetere le parole che Papa Francesco mi ha regalato, guardandomi negli occhi, quando suor Rita mi ha portata con altre ragazze come me in Vaticano alla VI Giornata di preghiera contro la tratta di persone. Quando è venuto il mio turno Francesco mi ha preso per mano e mi ha detto: «Coraggio, studia e non avere paura». Parole che sono diventare il mio programma di vita. Coraggio Joy, vai avanti così.

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