Parolin al Cottolengo, “non si raggiunge la pace con le armi”

Intervista – In occasione della visita del cardinale Pietro Parolin alla Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, per la festa liturgica del Santo Cottolengo lo sabato 30 aprile, abbiamo rivolto alcune domande al Segretario di Stato Vaticano che auspica la via dei negoziati per raggiungere la pace – SERVIZIO SULLA VISITA

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Il cardinale Pietro Parolin in visita al Cottolengo di Torino - a fianco Padre Carmine Arice (foto Bussio)

In occasione della visita del cardinale Pietro Parolin alla Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, per la festa liturgica del Santo Cottolengo lo sabato 30 aprile, abbiamo rivolto alcune domande al Segretario di Stato Vaticano – SERVIZIO SULLA VISITA 

Eminenza, il grido di Papa Francesco per fermare questa «guerra sacrilega» continua ad essere incessante. I Governi europei, fra cui l’Italia, proseguono nei rifornimenti di armi all’Ucraina. Come vede questa scelta nel percorso per raggiungere la pace?

C’è un diritto alla legittima difesa che viene riconosciuto anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica, anche se, evidentemente, questo diritto alla legittima difesa armata è sottoposto a delle strette condizioni. Certamente non basta una risposta armata: bisogna fare di tutto per costruire una pace che sia solida e durabile. Quindi in primo luogo deve essere messo in campo uno sforzo di negoziato nel campo della diplomazia che dovrebbe cercare di dare una risposta alternativa alle armi. Attualmente, non per essere pessimista ma per parlare con realismo, non si vedono grandi aperture per raggiungere spiragli di pace. Ritengo però che il negoziato sia l’unico modo per creare una pace stabile in quanto la pace imposta con le armi è sempre fragilissima e rischia di essere rimessa continuamente in discussione, come abbiamo visto nella storia, riproducendo le tragedie che continuano ad affliggere la nostra umanità.

Quali strategie dunque possono essere messe in campo dalla diplomazia?

In primo luogo ritengo che non si debba confidare solamente nella forza delle armi per difendersi, ma intraprendere anche altri cammini. Questo è il senso di ciò che propone la Chiesa: c’è certamente una legittima difesa che non può essere negata quando vengono aggredite la propria patria e la propria casa, ma non si può pensare che questa sia l’unica strada, anzi devono essere messi in campo tutti gli sforzi possibili per trovare altre alternative.

Al Cottolengo Lei ha inaugurato l’ampliamento di una residenza sanitaria assistenziale per anziani non autosufficienti (104 posti letto). Nel tempo della pandemia le Rsa sono state descritte dai media come fonte di problemi, c’è anche chi ne ha invocato la chiusura. Qual è il senso allora di aprire nuove strutture, in un ambiente comunitario come qui alla Piccola Casa, per persone che non possono usufruire dell’alternativa dell’assistenza domiciliare? Quale messaggio dare alle istituzioni su questo fronte?

Mi pare ingiusto limitarsi a questa descrizione, purtroppo si ha sempre la tendenza a prendere dei casi estremi e generalizzarli; un’operazione certamente non fruttuosa, in questo ambito come in tanti altri. Su questi temi è fondamentale una capacità di riflessione e ponderazione che purtroppo molti hanno perduto. Certamente la direzione deve essere quella di strutturare un’assistenza sempre più domiciliare, allo stesso tempo bisogna però anche essere realisti: ci sono situazioni in cui questo principio non si può applicare, quindi io credo che anche le istituzioni debbono supportare e promuovere queste realtà delle Rsa di cui la società ha profondamente bisogno. Quando non ci sono più le condizioni necessarie per un’assistenza domiciliare, soprattutto per la complessità delle situazioni di salute delle persone anziane o con disabilità e quando, non di rado, questa situazione è accompagnata da una dolorosa solitudine, queste strutture diventano una benedizione, soprattutto per i più poveri e indigenti! Se guardiamo con attenzione e senza preclusioni ai bisogni delle persone, l’appropriatezza delle cure necessarie ci invita a diversificare le risposte dall’assistenza domiciliare, quando è possibile, a centri diurni, a strutture di accoglienza come questa (inaugurata al Cottolengo, ndr). E dobbiamo anche dire, con umile e sincera riconoscenza al Signore, nei secoli la comunità cristiana ha manifestato grande generosità e impegno nell’adoperarsi in tal senso, soprattutto verso le persone più indigenti».

Alla Piccola Casa dallo scorso 22 marzo sono accolti 13 profughi ucraini con disabilità. La città dei santi sociali, e tutto il Piemonte, ha ospitato migliaia di persone in fuga dalla guerra. La Chiesa locale con la Caritas, le congregazioni religiose e le associazioni ecclesiali sono state in prima linea sia per portare aiuti ai confini ucraini sia nell’accoglienza. Qual è il senso di questa mobilitazione?

Qui alla Piccola Casa saluto questi fratelli proprio per sottolineare come è importante da parte nostra avere un cuore aperto a tutte le necessità del mondo. In questo momento sono loro che soffrono di più e quindi la nostra attenzione deve essere rivolta a loro. La dimensione dell’accoglienza è fondamentale perché alla fine siamo tutti accolti dal Signore. Dobbiamo quindi fare come ha fatto lui: accogliere gli altri, non c’è altra strada per vivere autenticamente il Cristianesimo, se non in questa maniera.

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