Teresio Olivelli «ha dato testimonianza a Cristo nell’amore verso i più deboli e si unisce alla lunga schiera dei martiri del secolo scorso. Il suo eroico sacrificio sia seme di speranza e di fraternità soprattutto per i giovani» dice papa Francesco all’Angelus di domenica 4 febbraio 2018 dopo la beatificazione a Vigevano il 3 febbraio. Personaggio singolare, che passa dalla militanza nella gioventù fascista alla critica al nazionalsocialismo, all’opposizione più radicale fino al martirio. Idealista, è convinto di poter «plasmare» l’ideologia fascista con il Vangelo. Ma due viaggi nella Germania hitleriana e la guerra lo trasformano in ferreo oppositore che paga con la vita la conversione. Trascorre un paio d’anni (1939-40) a Torino.
«Signore, che fra gli uomini drizzasti la tua croce segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dominanti, la sordità inerte della massa, a noi, oppressi da un giogo numeroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libera vita, dà la forza della ribellione».
È passata alla storia come «la preghiera del ribelle per amore» composta da due partigiani cattolici lombardi, esponenti di spicco della Resistenza al nazifascismo: sono Carlo Bianchi e Teresio Olivelli.
Quest’ultimo nasce il 7 gennaio 1916 a Bellagio (Como) da famiglia benestante: 39 anni dopo, il 17 gennaio 1945, cade sotto le bastonate nel campo di sterminio di Hersbruck per difendere un prigioniero dalle angherie di un aguzzino. Alunno del famoso «Collegio Ghisleri» di Pavia, frequenta Giurisprudenza all’Università. Molto legato allo zio prete, Rocco Invernizzi, partecipa all’Azione Cattolica, alla Fuci, alla San Vincenzo. Lo zio lo dissuade, nel 1936, dal partire volontario per la guerra civile spagnola a fianco dei franchisti. Trascorre un paio d’anni, 1939-40, a Torino come assistente volontario alla cattedra di Diritto amministrativo, si iscrive alla Gioventù universitaria fascista (Guf) e collabora al «Dizionario di politica». Per incarico del presidente dell’Istituto di cultura fascista è oratore presso i fasci e i gruppi della provincia di Torino, partecipa a convegni giuridici, scrive sul foglio gufino «Il Lambello».
Il fascismo condiziona la sua formazione intellettuale ma non intacca il suo fervore religioso e la sua carità quotidiana. Il suo iniziale antisemitismo non regge agli approfondimenti spirituali e culturali che lo portano a scoprire la falsità del mito della razza e la povertà culturale del regime. Il soggiorno a Berlino per un corso di politica nazionalsocialista, e poi a Praga e a Vienna, e soprattutto la guerra lo persuadono dei suoi errori. Teresio Olivelli si converte dall’infatuazione fascista agli ideali di libertà e democrazia.
Dopo l’8 settembre 1943 aderisce alla lotta clandestina, organizza bande partigiane, esponente di primo piano della Resistenza. Il giornale «Il Ribelle», fondato nel marzo 1944, è una spina nel fianco degli occupanti nazisti e dei loro complici fascisti: «La nostra rivolta non data da questo o quel momento, non va contro questo o quell’uomo, non mira a questo o quell’altro programma, è rivolta contro un sistema e un’epoca, contro un modo di pensiero e di vita, contro una concezione del mondo». Lo arrestano a Milano nell’aprile 1944. Non crolla sotto la feroce detenzione e i brutali interrogatori.
Sotto la firma «Cursor», Olivelli elabora il manifesto del combattente cristiano: «Dio che sei verità e libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della tua armatura. Noi ti preghiamo, Signore. Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell’indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza. Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo fa’ che il nostro sangue si unisca al tuo innocente e a quello dei nostri morti a crescere al mondo giustizia e carità. Tu che dicesti: “Io sono la resurrezione e la vita”’ rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia sulle nostre famiglie. Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo delle prigioni, ti preghiamo: sia in noi la pace che tu solo sai dare. Signore della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore».
Nel campo di concentramento di Hersbruck è vicino e assiste nei momenti estremi un altro campione del coraggio e della santità, Odorado Focherini, assassinato dai nazifascisti e che aveva salvato da morte Teresio togliendosi il pane di bocca. Le ultime parole di Odoardo sono: «Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo». Focherini è beato dal 15 giugno 2013.
La motivazione della medaglia d’oro al valor militare a Teresio Olivelli dice: «Ufficiale di complemento già distintosi al fronte russo, evadeva arditamente da un campo di concentramento dove i tedeschi lo avevano ristretto dopo l’armistizio, perché mantenutosi fedele. Nell’organizzazione partigiana lombarda si faceva vivamente apprezzare per illimitata dedizione e indomito coraggio dimostrati nelle più difficili e pericolose circostanze. Tratto in arresto a Milano e barbaramente interrogato dai tedeschi, manteneva fra le torture esemplare contegno nulla rivelando. Internato a Fossoli tentava la fuga. Veniva trasferito prima a Dachau e poi a Hersbruck. Dopo mesi di inaudite sofferenze trovava ancora, nella sua generosità, la forza di slanciarsi in difesa di un compagno di prigionia bestialmente percosso da un aguzzino. Gli faceva scudo del proprio corpo e moriva sotto i colpi. Nobile esempio di fedeltà, di umanità, di dedizione alla Patria».
Benedetto XVI il 21 aprile 2007 lo definisce «vittima sacrificale di una brutale violenza, alla quale egli oppose tenacemente l’ardore della carità». Il cardinale arcivescovo di Torino Giovanni Saldarini l’8 gennaio 1995 lo colloca «martire di questa era di martiri come Edith Stein e Massimiliano Kolbe».