Perchè attaccano il giornale cattolico, parla Tarquinio

Intervista – Solidarietà al direttore del quotidiano cattolico Avvenire dopo i pesanti attacchi mediatici per la linea vicina all’azione del Papa e le posizioni sulla crisi siriana, sull’emergenza profughi, sull’orrore dei lager in Libia

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Marco Tarquinio

Per la sua linea vicina all’azione del Papa e dei Vescovi italiani, particolarmente sui temi dell’immigrazione e sui lager in nord Africa, il quotidiano cattolico «Avvenire» sta subendo pesanti attacchi mediatici. Ne parliamo con il direttore Marco Tarquinio.

Stanno moltiplicandosi gli attacchi contro il suo giornale, accusato di fare falsa informazione sulla crisi siriana, sull’emergenza profughi, sull’orrore dei lager in Libia. Perché «Avvenire» finisce nel mirino?

«Avvenire» fa cronaca illuminando la realtà che tanta parte dell’informazione dominante e che i politici «di successo» non considerano, svalutano o addirittura «criminalizzano». È la realtà dei più poveri e vulnerabili in Italia e nel mondo, la realtà dei perseguitati a causa del nome di Dio e a causa della giustizia, la realtà di chi costruisce e include, la realtà di chi semina fiducia.  Lo fa da 50 anni, grazie a un editore e a lettori speciali e a ottimi giornalisti, e con più forza e chiarezza nel tempo confuso che stiamo attraversando dove le vittime vengono presentate come i nemici  e i buoni – cioè quelli che si sforzano di fare in modo giusto la cosa giusta per gli altri, per i propri cari e per sé stessi – vengono accusati di «buonismo» nel nome di un «cattivismo» che prova persino a usare il Vangelo e la Croce di Gesù Cristo per legittimarsi… Per forza che subiamo qualche attacco. La cosa non ci impressiona, e non ci induce alla risposta acre. Ci spinge a cercare parole utili e limpide e, soprattutto, a non smettere il lavoro e ancor prima la passione e la speranza che lo animano.

Mentre «Avvenire» pubblicava i reportage sulla Libia, il Papa stesso ha chiesto di visionare immagini e video in diversa maniera provenienti dai lager: perché sono così importanti?

Sono la testimonianza atroce delle crudeltà esercitate su donne e uomini colpevoli solo di essere inermi, poveri di tutto e alla mercé di chi vuole usarli e sfruttarli per ottenere un guadagno, ma anche con dosi insopportabili di pura malvagità. Sono impubblicabili per la violenza che contengono, per questo li abbiamo descritti senza mostrarli e accompagnandoli con un paio di drammatiche foto di repertorio attaccate da diverse parti ma delle quale nessuno può contestare l’autenticità. Quei filmati, gli stessi visti da papa Francesco, li abbiamo fatti visionare – solo visionare – ai colleghi di giornali, tv e siti online che ce lo hanno richiesto e li abbiamo consegnati solo alla magistratura impegnata nelle indagini sul traffico di esseri umani verso l’Europa che viene condotto soprattutto dall’Africa, ma anche dal Vicino Oriente e dall’Asia centrale.

Cosa sta accadendo nel mondo dell’informazione italiana rispetto al tema migranti?

Sono costretto a registrare una per me sconvolgente perdita di sensibilità alla sofferenza umana e di capacità di racconto e di civile indignazione davanti alla miseria e all’ingiustizia. Essa si manifesta, oltre che in ampi settori della pubblica opinione, anche tra noi giornalisti e tra coloro che, grazie alle possibilità della comunicazione digitale, scatenano vere proprie campagne di disinformazione. Manovre per la deformazione della realtà e la sistematica denigrazione di profughi e migranti, che non sono tutti santi ma non sono neppure bande di invasori e di delinquenti. Campagne che si sono presto estese anche contro le persone e le associazioni umanitarie, da due anni cerchiamo di contrastare un vero e proprio «tiro alle Ong», a lungo e meritoriamente impegnate per scongiurare nuove tragedie nelle traversate irregolari del Mediterraneo. Un’azione che ha supplito all’indifferenza o rimediato all’ostilità di Stati rivieraschi e di un’Europa con princìpi e idee chiare sulla carta e a parole, ma paralizzata da egoismi nazionali e calcoli cinici. Le proporzioni di questo fenomeni sono senza precedenti.

Nel mare confuso di valori «Avvenire», il giornale cattolico, si conferma «guida» di una risposta garbata, sincera, vera alle idee più balsane che circolano sui giornali e il web, un frontiera che va tenuta ferma, ma a quale prezzo?

Non so e non mi interessa sapere quale sia il «prezzo» da pagare per la scelta di fare un’informazione completa e a schiena diritta. Quale che sia, vale però la pena di pagarlo. Ad «Avvenire» continuiamo a verificare che possiamo contare su lettori vecchi e nuovi che ci sostengono in un lavoro difficile ma necessario, e nel quale ci sforziamo di rimanere sempre fedeli alla nostra ispirazione e a uno stile che unisce chiarezza e carità, rigore e compassione.

Nella nebulosa delle sensazioni e percezioni, rilanciate dalla maggioranza dei giornali, «Avvenire» è una «voce», come dice Enzo Bianchi fondatore delle comunità di Bose, che indica un percorso cristiano di uscita dalla palude, riconoscendo le difficoltà, chiedendo come si augura Papa Francesco, la sapienza del cuore. È l’unica «voce»?

Grazie per questi attestati di stima… Ma non credo che siamo l’unica voce che cerca di accompagnare l’uscita di tutti dalle acque fangose e avvelenate della palude della «cultura dell’indifferenza». Di voci, grazie a Dio e a uomini e donne di buona volontà e di ottima professionalità, ce ne sono altre! Non faccio nomi di testate e di colleghi perché non ho alcun titolo per dare pagelle. Ma permettetemi di rendere omaggio al lavoro di voi tutti che ogni settimana costruite «La Voce e il Tempo».

Come si può uscire da questa atmosfera inquinata?

Dico spesso che dobbiamo saper vivere e guardare alle persone e al mondo «ad altezza d’uomo e di donna», senza salire in cima a mura di recinzione del nostro io e delle nostre vere o false ricchezze e delle nostre presunte tranquillità. È l’unica altezza possibile per essere e restare umani nel tempo delle macchine, delle tecnocratiche e neosovraniste illusioni di onnipotenza, dell’aspra sfiducia verso l’altro. Se ci riusciamo, cambia tutto. Noi proviamo fare ogni giorno un giornale che aiuti in questa «impresa».

La posta in gioco è alta, ma al centro ci sono le volontà sante dei nostri laici, dei nostri preti e dei santi che con loro hanno costruito la rete di solidarietà e carità che oggi resiste sia pure a fatica, che credono oltre ogni convenienza. Come aiutarli?

Ricambiando con fedeltà, concretezza e pulizia la dedizione a Dio e ai fratelli e sorelle in umanità di questi nostri maestri, che sono tali perché – come ci ha insegnato il grande Paolo VI – in essi sappiamo riconoscere dei testimoni credibili della solidarietà. Non si tratta di essere, a nostra volta, «esemplari» per forza, un impegno che potrebbe sembrarci soverchiante, ma di essere veri e generosi. Questo cambia la nostra vita, ci tiene col nostro povero passo nonostante esitazioni e contraddizioni sul cammino di Cristo e cambia in meglio la città degli uomini e delle donne. Nessuno si salva da solo. Diceva don Lorenzo Milani: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è l’avarizia».

Già, la politica. Quella  italiana sta vivendo un altro bivio (come in parte in passato) tra solidarietà ed egoismo. Siamo minoranza, ma forse possiamo diventare seme fecondo.

Le realtà del cattolicesimo italiano rappresentano ancora e sempre uno straordinario giacimento di esperienze e di energie buone. Penso che non possiamo sotterrare questi talenti. Penso che non possiamo pensare di usarli da soli.

E so che un tempo come questo ci chiede un di più di impegno e di tenacia.

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