Il Perù, con 33 milioni di abitanti, nel mese scorso è stato dichiarato dall’Oms il primo Paese al mondo per numero di vittime Covid rispetto alla popolazione, registrando, nelle ultime settimane, ogni giorno oltre 10 mila nuovi casi e più di 300 morti, che hanno fatto superare il numero complessivo di 60 mila decessi dall’inizio della pandemia. Dati probabilmente sottostimati secondo lo stesso «Sistema informático nacional de defunciones» per mancanza di tamponi e di verifiche sulle cause dei decessi che sopraggiungono senza «passare» dagli ospedali.
Il Paese, il prossimo 6 giugno, è chiamato al ballottaggio tra i due candidati per la successione al presidente ad interim Francisco Sagasti: Pedro Castillo (Perù libre), candidato della sinistra e la leader della destra, Keiko Fujimori (Fuerza popular), figlia dell’ex presidente e dittatore Alberto Fujimori. Ma le votazioni – a differenza di quanto accaduto in altri paesi nel mondo – non subiranno rinvii nonostante la situazione epidemica in costante peggioramento a causa dell’arrivo della variante brasiliana, più letale e contagiosa, come già accaduto nelle settimane a ridosso della prima votazione, che si è svolta regolarmente l’11 aprile senza differimenti.

«La pandemia», ci spiega da Lima Ernesto Sueiro Cabredo, ex assessore della Alta Dirección presso il Registro Nacional de Identificación y Estado Civil (Registro nazionale di identificazione e stato civile), «è arrivata nel quadro di una grave insufficienza strutturale dei servizi sanitari e in assenza di misure preventive. Lo Stato è al collasso e mancano risposte; la capacità di progettare e attuare strategie permanenti e a lungo termine è precaria. La carenza di riserve di ossigeno è critica. A ciò si aggiunge la pressione della sanità privata che mira ad arricchirsi ancora di più a scapito della popolazione, che necessita di cure».
Proprio la carenza di ossigeno – che incide pesantemente sulla possibilità di sopravvivenza popolazione peruviana – ha mosso le Chiese locali a cercare soluzioni svincolate dal sistema sanitario. La diocesi di Carabayllo, ad esempio, alla periferia nord di Lima, sta realizzando grazie ad una colletta un nuovo impianto per la produzione di ossigeno. Si tratta di un impianto del costo di 130 mila euro da 15 mq che, una volta a regime, produrrà 48 bombole al giorno, oltre mille in un mese, dando così una risposta ai bisogni dei quartieri più poveri. Insieme alla Società nazionale degli industriali e all’Università San Ignacio de Loyola, la Conferenza episcopale peruviana ha inoltre raccolto oltre 3,5 milioni di dollari e creato 17 siti per la produzione di ossigeno nelle zone più povere del Paese, e ha distribuito migliaia di respiratori.
«Sui media tutti dicono che siamo nel pieno della seconda ondata», ha riferito al Sir don Ivan Manzoni, missionario fidei donum della diocesi di Como in Perù, «ma a me sembra che la prima non sia mai finita: la percentuale dei decessi è da sempre stabile sopra il 10 per cento e la zona a nord di Lima, dove ci troviamo, è tra le più colpite».
Ad un anno dall’inizio della pandemia e secondo i calcoli del ministero della Salute, riportati dalla stessa diocesi, nel primo trimestre del 2021, il coronavirus ha provocato in Perù un aumento della domanda di ossigeno medicinale di 120 tonnellate al giorno. «Nei mesi scorsi», continua don Manzoni, «abbiamo assistito a scene davvero inimmaginabili: uomini e donne costretti in coda anche per tre giorni, davanti agli impianti o agli ospedali, per poter riempire anche solo parzialmente una bombola. Oppure pazienti ricoverati che dovevano farsi portare l’ossigeno dall’esterno perché gli ospedali erano senza». Cosi le tante associazioni e comunità che riuniscono i peruviani emigrati nel mondo stanno organizzando collette e inviando (anche da Torino) aiuti per l’acquisto di bombole che hanno costi insostenibili per la maggior parte della popolazione.
Ma come si è arrivati a questo punto? «Da una parte», prosegue Sueiro, «la mancanza di strutture efficienti nella sanità pubblica e dall’altra la ristrettezza economica della maggior parte della popolazione, che è costretta ogni giorno al commercio ambulante (anche abusivo) per poter sopravvivere, hanno ulteriormente aggravato la situazione. Ci sono persone che muoiono di Covid e persone che muoiono di fame. Lo Stato neoliberista ha fornito più di 60.000 milioni di soles per agevolare le grandi aziende, le banche e persino i media a causa delle misure restrittive dovute al lockdown; le classi meno abbienti invece hanno ricevuto un aiuto irrisorio».
E intanto in queste settimane il Paese si prepara al ballottaggio… «La pandemia ha colpito l’affluenza alle urne in una percentuale senza precedenti e le promesse elettorali per risolvere il problema della mancanza di vaccini sono insensate e irresponsabili. Lo scontro politico ha peggiorato la situazione determinando l’arrivo di vaccini in quantità insufficiente (attualmente è stato sottoposto a vaccinazione completa solo il 2,4% della popolazione), cosa che ha rallentato ulteriormente il Servizio sanitario pubblico. Dobbiamo essere consapevoli che conviveremo con la pandemia per diversi anni e lo Stato dovrà farsi garante della prevenzione di questi eventi nel futuro: purtroppo il modello neoliberista che prevale in Perù non è pensato a servizio della popolazione, ma per arricchire una minoranza e incoraggiare una rete di corruzione già molto estesa».