Il nuovo anno è iniziato con i dati preoccupanti dell’Istat, l’Istituto di statistica nazionale, che ha certificato per il 2019 un calo della produzione industriale di -1,4%. Cosa ci si aspetta dal 2020? Ne abbiamo parlato con Corrado Alberto, presidente dell’associazione Piccole e Medie Imprese (Api) di Torino dal 2014, 53 anni, sposato, due figli, laureato in Economia e commercio, legale rappresentante della Taurocaf di Alberto & Anzola s.n.c., azienda di torrefazione del caffè di Mappano.

«Ci aspetta un 2020 difficile. I risultati che arrivano dalla consueta indagine congiunturale sui nostri associati offrono indicazioni che non lasciano spazio a dubbi: sono previsti in calo i livelli di produzione, il fatturato, l’occupazione; in rallentamento gli investimenti. L’unico indicatore che cresce è quello riferito al livello dei pessimisti».
Torino e il Piemonte da motore d’Italia sono ormai fanalino di coda tra le aree più produttive del Paese. Come mai si è arrivati a questo punto?
Le ragioni sono tante. Ma qui vorrei sottolinearne due. La struttura produttiva e manifatturiera locale era improntata alla mono committenza Fiat e all’indotto metalmeccanico dell’auto. Negli anni Ottanta del secolo scorso si è avviata una transizione verso un modello di economia legato anche ai servizi alle imprese, al turismo e all’alta formazione. Questa metamorfosi, però, non si è compiuta e non è stata adeguatamente sostenuta.
Di chi sono le maggiori responsabilità di questa situazione?
I soggetti sono tanti, ma le istituzioni hanno più responsabilità di altri. Il problema è che mancano interlocutori seri e credibili capaci di definire gli impegni, stanziare risorse adeguate ed implementare concretamente quanto si concorda.
Può fare un esempio?
Gli esempi a Torino si sprecano. La linea 1 della metropolitana, inaugurata nel 2006, ancora non è stata completata. Evito di fare commenti sulla linea 2. Eppure in una tra le città con la peggiore qualità dell’aria d’Europa il trasporto pubblico locale dovrebbe essere la priorità numero uno in agenda.
Più di un anno fa il movimento «Sì, Torino va avanti» sul tema delle infrastrutture e dello sviluppo locale ha portato in piazza più di 40 mila persone. Oggi quell’onda civica sembra essersi affievolita. Crede che bisognerebbe ripartire da lì?
Il 10 novembre 2018 si è verificata una congiunzione astrale unica: lavoratori e imprenditori, sindacati e imprese, studenti e pensionati sono scesi in piazza per sostenere una visione di Torino e del Piemonte in linea con i centri urbani più avanzati d’Europa. Sulla Tav il movimento ha sortito gli effetti sperati. Ma sono ancora tanti i «sì» che bisogna affermare. Sì a gallerie, ponti ed autostrade sicure. Sì ad aeroporti ricchi di collegamenti e sì ai grandi eventi. La lista dei sì potrebbe allungarsi a dismisura. Queste opere per essere concrete e realizzabili richiedono interlocutori locali e nazionali affidabili. In questo senso, l’immobilismo che continuano a patire la Città e il Paese rischia di generare un gap che sarà sempre più difficile colmare.
Lei sembra puntare il dito contro i danni del «non decidere», mentre guarda con favore alle domande che arrivano da gruppi di cittadini più o meno organizzati. È una novità per un’organizzazione datoriale non trova?
Assolutamente sì. Questo le fa comprendere la gravità della situazione. Anni di non decisioni provocano casi come Alitalia e Ilva che hanno ripercussioni sulla vita di tutti gli italiani. In 20 anni sull’ex compagnia di bandiera sono stati sprecati più di 8 miliardi di euro di soldi dei contribuenti che si sarebbero potuti impiegare per fare anche una terza linea della metropolitana a Torino. Pensi alle conseguenze che la vertenza Ilva può avere su Novi Ligure e Racconigi. In questo senso la politica avrebbe bisogno di più coraggio e magari le istanze di «Sì, Torino va avanti», delle «sardine» oppure dei «Fridays for future» possono dare quella scossa di cui c’è bisogno.
Quindi da una situazione del genere come se ne esce?
È evidente come, di fronte ad una situazione del genere, sia necessario avviare una politica industriale più decisa e nuova sia a livello locale che nazionale. Le imprese non possono più aspettare i distinguo della politica, il proliferare di nuovi partiti, le diatribe di corrente e i dibattiti in televisione. Occorrono misure che diano competitività a questo territorio e al Paese. Misure che si chiamano abbattimento del costo del lavoro, aumento degli investimenti in infrastrutture, sostegno alle aggregazioni d’impresa e all’export, diminuzione del costo dell’energia, lotta alla burocrazia, accelerazione delle decisioni, equità fiscale, attenzione alla sicurezza del territorio e sostegno per la compatibilità ambientale delle produzioni.
La Regione Piemonte attraverso l’assessore al lavoro, Elena Chiorino, sta definendo due misure concrete, una prevede un ruolo più attivo di Finpiemonte nelle crisi aziendali e un’altra riguarda un’assistenza manageriale alle aziende prima che si trovino in una situazione di crisi conclamata. Cosa ne pensa?
Sono due misure interessanti ma che da sole non bastano. La Regione ha la forza per essere regista di un’operazione di rilancio della nostra area. Nei prossimi messi sarà fondamentale far arrivare sul nostro territorio tutte le risorse promesse per «Torino area di crisi industriale complessa», per la metro 2, per il Manufacturing Technology Center e per tutti quei progetti che rappresentano una vera opportunità di rilancio dell’economia locale.