«Dopo la morte il mio Silvio è bello, bello, bellissimo, un angioletto» commenta tra le lacrime la signora Gabriella Dissegna, mamma di un eroe di 12 anni che combatte contro il cancro e che muore il 24 settembre 1979 nella sua stanzetta. Quarant’anni fa migliaia di poirinesi – scorza dura e cuore d’oro – accompagnano nell’ultimo «transito» il figlio di brava gente immigrata dal Veneto: «In Paradiso ti accolgano gli angeli e i santi». Gremiscono la chiesa Santa Maria Maggiore, nella quale i resti di Silvio, «venerabile» dal 7 novembre 2014, stanno per essere traslati.
I Dissegna sono immigrati a Poirino negli anni Cinquanta dal Veneto, dopo l’alluvione del Polesine. Papà Ottavio, classe 1937, è mezzadro e poi operaio alla Fiat (Mirafiori e poi Carmagnola); la mamma Gabriella (1943) è casalinga e poi operatrice scolastica. Silvio nasce il 1° luglio 1967 all’ospedale di Moncalieri, vive in un ambiente sereno e laborioso. È un bambino solare e gioioso, allegro e servizievole, anima poetica, amante della natura e del gioco. Perspicace e intelligente, a scuola si distingue per l’impegno e gli ottimi risultati. «Da grande farò il maestro» ma come tutti i bambini, vuole diventare anche calciatore.
All’inizio del 1978 lamenta un dolore alla gamba sinistra. La diagnosi è terribile: cancro alle ossa. Ha solo 11 anni ma capisce che il male sta per travolgerlo. Non si dispera ma si affida alla volontà di Dio e alla protezione di Maria. Le sue condizioni si aggravano e il dolore è implacabile: a nulla valgono le cure e i sette ricoveri in una clinica specializzata a Parigi. Trae forza dall’Eucaristia che riceve ogni giorno, dalla preghiera e dai rosari recitati notte e giorno. «Ma devo soffrire proprio 24 ore su 24? Sia fatta la volontà del Signore». A tutti regala un sorriso; consola i genitori e il fratello Carlo; incoraggia i medici che si sentono impotenti; rincuora chi va a trovarlo. È tutto una piaga e gli «scoppia» un occhio.
Settembre 1979 è il suo ultimo mese di vita. «Mamma, cosa ci sto ancora a fare su questa terra? È meglio morire. Per soffrire così è meglio che non fossi mai nato». Perde molto sangue dalle piaghe. Canticchia una filastrocca, il canto del cigno: «Sono nato e sono contento, / sono cresciuto e ho molto giocato; / a scuola andavo: / mi piaceva molto studiare. / La scuola ho dovuto lasciare / e all’ospedale mi avete ricoverato./ A Parigi mi avete condotto, / per me era un martirio / e ho sempre sopportato. / Che cosa sto a fare ancora / io quaggiù? È meglio morire. / Aspetto sempre il buon Gesù / che dal Cielo mi venga a prendere, / perché non ne posso più». Mentre il giorno scompare, la notte si avvicina, le ombre si allungano e le stelle si accendono nel firmamento, chiama: «Mamma, vieni qui vicino, dammi la mano». Invoca «Mamma, papà…». Il cuore si spegne e il respiro si spezza dopo 20 mesi di «via crucis». Sono le 21,20 di lunedì 24 settembre 1979. Per il papà «il ricordo più forte è quello di Silvio in preghiera: teneva le manine giunte, era concentratissimo, non un attimo di distrazione. Io provavo tante volte a imitarlo ma non riuscivo». E la mamma: «Anche prima di ammalarsi aveva questa intensità e concentrazione. La sera, quando il papà faceva il turno di notte, io, Silvio e Carlo dicevamo le preghiere inginocchiati sul tappeto nella stanza dei ragazzi. Manine giunte, riusciva a isolarsi perché la preghiera era un dialogo personale e intimo con il Signore». I parroci Vincenzo Pansa e Antonio Bellezza-Prins influiscono molto sulla sua formazione.
La notizia della morte si diffonde repentinamente. Tantissima gente sfila davanti alla bara. Il 26 settembre una fiumana lo accompagna nella chiesa parrocchiale per il commiato cristiano: «Quando busserò alla tua porta». Le mamme e le nonne piangono, i papà sono impietriti, i bambini sono attoniti, i compagni di scuola e gli insegnanti sono addolorati. Testimonia don Bellezza-Prinsi: «L’abbiamo visto partire illuminato dalla fede, sostenuto dalla speranza, infiammato dalla carità. Rimasi sorpreso che Silvio fosse così conosciuto dai sacerdoti. Per i funerali avrei voluto vestire il colore rosso perché ritengo Silvio un martire». Nel 1995 il cardinale arcivescovo Giovanni Saldarini apre la causa di beatificazione di Silvio, del sacerdote diocesano don Adolfo Barberis, della casalinga Margherita Occhiena vedova Bosco mamma di don Bosco, di suor Consolata Betrone. Sono venerabili in attesa della beatificazione. Ricevendo i coniugi Dissegna il 9 novembre 2001 Giovanni Paolo II esclama: «Silvio è una figura bellissima. Affidiamo la causa alla Madonna».
A differenza dei santi e beati torinesi, Silvio non ha il tempo né la possibilità di intessere rapporti e stabilire relazioni. Per lui nessun educatore carismatico o eccelso direttore di spirito. Può contare solo su papà e mamma, genitori all’antica con un grande cuore e una miniera di buon senso, lavoratori infaticabili: cristiani a 24 carati, sono i primi testimoni, educatori della fede e catechisti dei figli. E può contare su due-tre preti. La sua storia è tutta racchiusa nel piccolo mondo di Borgata Becchio 19 bis di Poirino. Scarsi rapporti con l’oratorio (troppo lontano), nessun contatto con gruppi, associazioni o movimenti. Dietro la causa di beatificazione non c’è nessuna potente congregazione religiosa, nessuna diffusa associazione, nessun movimento o gruppo laicale. C’è la sua famiglia, la sua parrocchia, la sua gente di Poirino. È il primo «miracolo» di Silvio, eroe e maestro di vita in una bella e grande compagnia.