Quarant’anni fa l’assassinio dello statista Aldo Moro

9 maggio 1978 – Alle 13 il brigatista Valerio Morucci telefona a Saverio Fortuna, assistente di Aldo Moro: «in via Caetani c’è un’auto rossa con il corpo». Quarant’anni fa si conclude tragicamente il sequestro di Moro, il più importante uomo politico con Alcide De Gasperi, rapito dalle Br. Anche Paolo VI tenta di salvarlo

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Aldo Moro

Il 9 maggio 1978 alle 13 il brigatista Valerio Morucci telefona a Saverio Fortuna, assistente di Aldo Moro: «In via Caetani c’è un’auto rossa con il corpo», parcheggiata tra le sedi del Pci e della Dc. Quarant’anni fa si conclude tragicamente il sequestro di Aldo Moro, il più importante uomo politico con Alcide De Gasperi, rapito dalle Br. Anche Paolo VI tenta di salvarlo – erano amici di vecchia data, dalla giovinezza nella Fuci – come racconta mons. Pasquale Macchi, segretario del Papa, nel libro «Paolo VI nella sua parola» (Morcelliana, 2001)

L’11 marzo 1978 Giulio Andreotti costituisce il suo quarto governo. Il 16 marzo mattina lo deve presentare in Parlamento. Poco prima in via Mario Fani le Brigate Rosse rapiscono l’on. Moro, presidente della Democrazia cristiana, e sterminano i cinque della scorta: i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci e gli agenti Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Il Parlamento vota subito la fiducia al monocolore Dc sostenuto dal Pci di Enrico Berlinguer, da Psi, Psdi, Pri. Devastante la prigionia di 55 giorni: è sottoposto a processo dal «Tribunale del popolo» e giustiziato.

Dopo il rapimento il Papa invia due messaggidi profondo dolore alla signora Eleonora Moro e al cardinale vicario di Roma Ugo Poletti e incarica il cardinale segretario di Stato Jean Villot di significare al popolo italiano la sua deplorazione. Il 19 marzo, domenica delle Palme, a migliaia di giovani in piazza san Pietro: «Voi presentate uno spettacolo di pace, di speranza, di amore, che offre un motivo di conforto in un tragico momento. Siamo sconvolti, turbati e sgomenti perché le forze disgregatrici hanno colpito con freddezza e cinismo. Preghiamo per quanti soffrono, per le famiglie che piangono i loro cari stroncati nel compimento del dovere da un insensato odio omicida, per l’onorevole Aldo Moro, a noi caro, sequestrato in vile agguato, affinché sia restituito ai suoi cari».

Il 2 aprile, dopo 20 giorni di attesa, aggiunge: «Con trepidazione partecipiamo alla vicenda dolorosa che tiene in sospeso questa amata città di Roma e l’Italia. Rivol­giamo agli ignoti autori del terrificante disegno un appello pressante per scongiurarli di liberare il al prigioniero». Il 20 aprile a Paolo VI giunge una lettera di Moro: «Nella mia difficilissima situazione e memore della sua benevolenza, da quando ero giovane dirigente della Fuci, voglia favorire lo scambio dei prigionieri politici, pratica umanitaria in uso presso moltissimi governi, che danno priorità alla salvezza delle vite umane. Quale altra voce se non quella della Chiesa può rompere le cristallizzazioni e quale umanesimo più alto vi è di quello cristiano?».

Il 21 aprile Papa Montini verga di suo pugno ai rapitori un messaggio nobilissimo e dolente: «Scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile, l’on. Aldo Moro. Uomo buono e onesto che nessuno può incolpare di reati o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla convivenza civile. Non ho alcun mandato né sono legato da alcun interesse. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi e come fratello di fede e figlio della Chiesa. Nel nome supremo di Cristo mi rivolgo a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente, e vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per la mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità. Già troppe vittime dobbiamo piangere e l’odio degenera in vendetta. Tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa. Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un sentimento di umanità».

Tutti i media ne parlano ma i destinatari – spiega Macchi – «non si fecero vivi in alcun modo, né allora né mai». Si intensificarono le iniziative per la liberazione:  Caritas internaionalis, Croce Rossa, segretario dell’Onu Kurt Waldheim. Il 23 aprile Paolo VI aggiunge: «Di Moro nessuna notizia. Trepidiamo sperando e pregando che sia risparmiata a Roma, all’Italia, al mondo, alla famiglia e agli amici il criminale misfatto». E il 26 aprile: «Possiamo trascurare il sequestro d’un uomo della statura morale, politica, accademica, sociale dell’on. Moro? È mai possibile che la vita innocente ed eminente d’un uomo di Stato sia messa in gioco in modo iniquo?».

Quando il 9 maggio arriva la notizia, Montini cade in ginocchio a pregare sul pavimento della cappella. Le esequie fotografano la spaccatura del Paese. Il 10 Moro è sepolto a Torrita Tiberina, 50 chilometri da Roma, dove aveva comprato una villetta con orto e giardino. Celebra il parroco don Agostino Mancini, presenti la vedova e i figli, i collaboratori e la gente. Il 13 in San Giovanni in Laterano i funerali di Stato, celebrati da card. Poletti con autorità e politici, giornalisti e televisioni, senza bara né famiglia. Da una parte, Moro senza lo Stato. Dall’altra, lo Stato senza Moro.

Paolo VI, invecchiato e stanco, innalza la sua implorazione a Dio: «Le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, vogliono aprirsi per esprimere il “De profundis”, il grido e il pianto. E chi può ascoltare il nostro lamento, se non Tu, Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per l’incolumità di Aldo Moro,  uomo buono, mite, saggio, innocente e amico. Ma non hai abbandonato il suo spirito immortale. Padre di misericordia, non sia interrotta la comunione tra i defunti e noi in questa giornata di un sole che inesorabilmente tramonta. La nostra carne risorgerà: Aldo e tutti i viventi in Cristo noi li rivedremo. Il nostro cuore sappia perdonare l’oltraggio inflitto a questo uomo carissimo. Fa’ che raccogliamo nel puro sudario della sua nobile memoria l’eredità della sua diritta coscienza, dei suo esempio, della sua dedizione alla redenzione civile e spirituale della diletta Nazione italiana».

A Torino nel pomeriggio del 9 maggio, 40 mila cittadini scendono in piazza san Carlo contro il terrorismo e a sera affollano il Duomo per la Messa.

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