«Non ci sono parole per descrivere quanto è successo, ma affermare di aver ucciso nel nome di Dio è certamente una copertura». Commenta così Privantha Fernando, cappellano laico della comunità cristiana cingalese che a Torino riunisce una cinquantina di membri, gli attentati in Sri Lanka a chiese e hotel che nel giorno di Pasqua hanno causato, secondo le ultime stime, 360 morti ma molti sono ancora i dispersi e i feriti gravi.

In Italia dal 1994 e a Torino dal 1997, emigrato per lavoro, Fernando riunisce e anima con l’aiuto della moglie la piccola comunità cristiana subalpina, ma mantiene anche i contatti con i connazionali buddisti e musulmani che su Torino e provincia sono circa 450 (in Italia 100mila). Proprio il giorno di Pasqua erano riuniti nell’Oratorio San Felice della parrocchia Santi Angeli, dove don Clade viene da Milano ogni terza domenica del mese per celebrare la Messa. «Domenica scorsa era per noi una doppia festa, quella di Pasqua e quella del Capodanno cingalese, molto sentito dai buddisti (quest’anno cadeva il 14 aprile, ndr), e quindi dopo la funzione religiosa avevamo in programma di proseguire nel pomeriggio la festa insieme, perché per noi qui il dialogo tra le religioni è un’esperienza positiva che viviamo nel quotidiano, ci sono molte coppie miste. Il giorno di Pasqua poi con noi c’erano anche un musulmano e una coppia di induisti. Abbiamo celebrato la Messa pregando per le vittime, ma poi siamo rimasti insieme a pensare a quanto successo, ai nostri parenti che sono là…».
Nel Paese asiatico la maggioranza è buddista, cristiani e musulmani sono una minoranza. In passato, ancora dopo la guerra civile (dal 1983 al 2009), ci sono state tensioni verso le minoranze religiose «ma non da alimentare una reazione di questo tipo», prosegue, «la cosa che ci colpisce ad esempio è che un attacco sia stato fatto alla chiesa di Sant’Antonio dove vanno tutti. Ogni martedì ci sono musulmani, buddisti, cristiani. Sant’Antonio è una figura particolare per tutto il popolo cingalese, non solo per i cristiani, hanno colpito lì per colpire più gente, per colpire un simbolo… Hanno colpito nei giorni in cui i pescatori sospendono le attività e sono a casa».
L’odio religioso sarebbe dunque un pretesto in un Paese segnato da anni di sanguinoso conflitto etnico, ma che appariva ormai superato. «Oggi è molto complicato fare un’analisi della situazione, ci sono tanti fattori che si mescolano: ci sono probabilmente interessi legati al commercio di droga e sono interessi controllati dall’esterno, da gruppi jihadisti internazionali che potrebbero ad esempio avere base in Afghanistan o in paesi vicini, gruppi che hanno denaro, un’organizzazione tale da riuscire ad attivare un attacco simultaneo di questa portata e così efficace, e traggono vantaggio dal destabilizzare un Paese che sta investendo molto nel turismo (circa due milioni di visitatori l’anno) e che grazie ad esso si sta rafforzando». L’Isis nelle ultime ore ha rivendicato l’attacco, «ma non è da escludere», aggiunge Fernando, «un legame con la questione politica del Paese, con un Presidente (dal gennaio 2015 il Paese è guidato da Maithripala Sirisena, ex ministro della Salute, che aveva sconfitto Rajapaksa, ndr) che a fine anno spera di farsi rieleggere e un governo che non lo riconosce più. E infatti fa pensare il fatto che gli allarmi giunti nei giorni prima di Pasqua siano stati sottovalutati. Nessuna celebrazione era stata sospesa e lo stesso ministro per gli Affari religiosi quando ci sono stati gli attentati era in una chiesa per la Messa. La polemica su questo mancato passaggio di informazioni alimenta ora ancora di più la tensione a livello di governo. Poi dilaga la corruzione e anche i giornalisti vengono manovrati. Mi accorgo che la televisione di Stato dice cose diverse dalle altre reti, c’è un forte controllo, ci sono troppi interessi di potere».
Anche la reazione del governo, che ha sospeso l’operatività dei social media con lo scopo dichiarato di evitare il proliferare di false notizie, conferma una situazione difficile da decifrare e che alimenta preoccupazione. «Penso che gli attacchi si possano purtroppo ripetere», conclude Fernando, «a maggio c’è una festa buddista e tanta gente si riverserà nelle città e questo potrebbe essere una nuova occasione per colpire. Per questo ci uniamo all’Arcivescovo Nosiglia a pregare non solo per le vittime, ma per anche per la pace, giovedì 25, ma non solo. Ora è presto, la situazione è ancora confusa e in evoluzione, ma cercheremo anche di aiutare economicamente i nostri connazionali, come già era avvenuto quando nel 2004 ci fu lo tsunami. Oggi abbiamo avuto notizia di un papà che ha perso tutta la famiglia negli attentati e non ha retto e si è tolto la vita. Ci sono bambini che hanno perso i genitori… L’importante è non abbandonare il nostro Paese: anche se siamo lontani dobbiamo continuare a sostenerlo e a far sì che chi resta riesca a non permettere a chi usa questa violenza di prendere il potere e di alimentare le divisioni».