In occasione della Festa di Don Bosco, l’Istituto salesiano Valsalice ha ospitato per un confronto con gli allievi del Liceo Gabriella Picco, vicedirettrice dell’Ipm (Istituto penitenziario minorile torinese «Ferrante Aporti», un agente penitenziario, il cappellano don Silvano Oni e don Gianmarco Pernice, responsabile dell’accoglienza comunitaria per minori stranieri non accompagnati all’Oratorio salesiano San Luigi. Le loro testimonianze hanno permesso a noi studenti del Triennio di conoscere una realtà delicata e, anche se non sembra, vicina. Un incontro che abbiamo seguito tutto d’un fiato. Don Oni ha presentato la figura di don Bosco, che nel 1844 avviava il suo progetto educativo a Torino, dove i primi oratori accoglievano i ragazzi che vivevano per strada. Gabriella Picco, con anni di lavoro alle spalle nell’Ipm torinese, uno dei 17 in Italia, ci ha spiegato che il D.P.R 448/1988 ha riformato la modalità di gestione dei minori che commettono un reato. Qualunque esso sia, il ragazzo non può interrompere il processo educativo in atto. «Il processo penale per minorenni è l’ultima ratio» ha detto la vicedirettrice sottolineando la centralità del recupero ancor prima della punizione. Un iter non semplice e che può lasciare cicatrici profonde: dopo un fermo il minore è accompagnato in un centro di prima accoglienza dove rimane per 96 ore. Il giorno del processo la magistratura e i servizi sociali forniscono al giudice un progetto di recupero individuale e, nell’attesa del processo, sono messe in atto misure cautelari come l’assistenza sociale o gli arresti domiciliari. In situazioni difficili, avviene il collocamento in comunità. I ragazzi che hanno commesso reati gravi o quelli i cui tentativi di recupero sono falliti, entrano in carcere. Insomma, per chi viene da lontano con una storia magari drammatica alle spalle si presenta un’ ulteriore prova da superare.
L’agente penitenziario ci ha informato che i ragazzi al Ferrante frequentano corsi di cucina, informatica, alfabetizzazione e percorsi di istruzione superiore. E confida: «Quando entrano per loro è il momento più difficile. Sono spaesati, non sanno quanto tempo resteranno dentro». Molti sono tossicodipendenti, la maggior stranieri e la barriera linguistica è forte. «Noi non siamo solo poliziotti, siamo le persone che ci sono per loro: ‘Siamo tutto’. In questo lavoro, dice, ci vuole coraggio perché si affrontano situazioni delicate: alcuni ragazzi si fanno del male ma il dialogo resta la cosa più importante. «Sentirsi dire un grazie è tutto, sentirselo dire da un ragazzo fa venire i brividi». E conclude: «Noi non decidiamo la loro colpevolezza, ma li salvaguardiamo in quanto le regole servono per la loro crescita: in queste situazioni siamo tutti educatori».
Don Gianmarco ha descritto infine della comunità che ospita 16 minori stranieri. La situazione a Torino, ci racconta, è critica: esistono liste d’attesa per emergenza freddo e molti ragazzi stranieri sono sfruttati. La cosa bella però è che vogliono vivere, sbagliare da soli, sperimentare la loro libertà. La comunità garantisce ai giovani stranieri l’insegnamento di una lingua, formazione professionale e l’affiancamento da parte degli educatori. «Negli ultimi due anni» aggiunge «delle 80 persone accolte nella comunità di San Salvario, solo tre sono in carcere. Come al tempo di don Bosco, anche oggi a Torino si avverte il bisogno di aiuto e solidarietà: ‘Vai per le strade e guardati intorno’ ha detto don Cafasso a don Bosco»: parole foriere di carità che arrivano dritte a noi giovani di oggi.
Cecilia BLUNDA
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