Nella classifica delle principali aree metropolitane d’Italia, Torino è quella più segnata dal declino post-industriale. Il ventunesimo «Rapporto Rota», la più importante ricerca socioeconomica sullo stato di salute del capoluogo (ricerca elaborata dal centro studi «Lugi Einaudi» e presentata la settimana scorsa), non fa sconti alla città e alle sue classi dirigenti. Anche prima che arrivasse il Covid-19, Torino era segnata dall’onda lunga di una crisi che da vertice del «triangolo industriale» del «miracolo italiano» l’ha resa «il sud del Nord». A certificarlo nelle 242 pagine dello studio ci sono serie storiche e dati inconfutabili, in cui spicca quello del saldo demografico cittadino: la differenza tra nati e morti nel 2019 è la peggiore dopo quello del 1918, anno segnato dalla fine della grande guerra e dall’epidemia di spagnola.
Una città decadente da più di un ventennio ha cercato di reinventarsi sull’onda dell’entusiasmo dei fasti olimpici del 2006, ma oggi si scopre più piccola, isolata, invecchiata, povera e incapace di offrire opportunità di lavoro ai suoi migliori laureati. «Ripartire» non è solo il titolo del Rapporto Rota di quest’anno: sembra l’imperativo categorico a cui la città dovrà ubbidire nel prossimo futuro per non finire nel baratro.
Penultima tra le 8 città metropolitane del Nord e del Centro nella capacità di attrare giovani dai 18 a 34 anni, si consola solo guardando a Genova che fa peggio. Non va meglio se guardiamo alla capacità di importare laureati, che sulla popolazione totale rappresentano solo il 5%, peggior risultato della classifica. All’incirca lo stesso quadro emerge se si guarda alle persone che dal resto d’Italia cercano una nuova città in cui vivere: si preferisce Bologna (+6 ogni 1.000 abitanti), Milano (+4,4) e Trieste (+3,3). Con un +0,9 ogni mille abitante Torino è ultima tra le grandi città del settentrione.
Il capoluogo piemontese sale sul podio, ma anche qui al terzo gradino, per il numero assoluto di stranieri, sebbene anche nei loro confronti non susciti più molto fascino: tra il 2008 e il 2020, infatti, si registra l’incremento più basso tra tutti i capoluoghi metropolitani (+16%). Fanno di più altre città del Nord: Venezia +63%, Trieste +57%, Bologna +53%. E pure quelle del Sud: Napoli +153%, Cagliari +121%, Bari +105%, Catania +93%.
Torino è anche tra le città con la popolazione più vecchia d’Europa. Dopo Genova (età media 49,2 anni) e Trieste (49,1), Torino, Venezia e Firenze confermano una media di 47,1 anni, a fronte di una percentuale di popolazione attiva e lavorativa, tra 15 e 64 anni, che arriva al 62% con un calo del 4% nell’ultimo decennio.
«Il Rapporto Rota – osserva il segretario generale della Cisl Torino-Canavese, Domenico Lo Bianco – conferma purtroppo i timori espressi dal sindacato in questi mesi e che sono alla base della ‘Vertenza Torino’ lanciata da Cgil Cisl Uil a dicembre 2019. Le elezioni comunali, ormai alle porte, oltre a rappresentare una straordinaria occasione di ricambio della classe politica locale, devono servire a convogliare le migliori idee e proposte per la costruzione della Torino di domani».
Se la demografia piange, anche il turismo non ride. La presenza turistica in città è cresciuta, ma la rete di servizi sembra non stare al passo. Basti pensare che i posti letto disponibili in città negli ultimi 10 anni sono cresciuti del 5%, contro una media italiana pari al 18%. La complessiva debolezza del settore risulta confermata dai bassi valori occupazionali: soltanto lo 0,6% di addetti che lavorano nel turismo è impegnata in hotel. In questo senso, la città metropolitana piemontese è penultima in classifica. Fa peggio solo Genova. Il maggiore punto di forza del sistema turistico torinese si conferma quello dei musei, ma aumenta anche la capacità attrattiva di flussi turistici per cure e per gite scolastiche, che hanno comunque caratteristiche di scarso valore aggiunto in termini di consumi.
«Tra le nostre priorità – osserva sempre il sindacalista Lo Bianco – c’è quella di offrire ai giovani, soprattutto laureati che si formano nelle nostre università, prospettive di lavoro e quindi progetti di vita nel nostro territorio, e ai lavoratori, duramente colpiti dalla crisi, la possibilità, attraverso un piano straordinario di formazione, di aggiornare e adeguare le proprie competenze alle grandi trasformazioni in atto nel mondo del lavoro». Riflessioni condivise anche nello studio che individua proprio nelle università e nei principali centri di formazione della città i pilastri su cui fondare la ripartenza. Servirà anche un sussulto di settori economici di base che senza rigettare la tradizione siano capaci di sfidare le nuove frontiere. Investire di più nell’internet delle cose, nella mobilità sostenibile e nella robotica. Un’opportunità tra tutte: Torino sarà sede dell’Istituto italiano per l’Intelligenza Artificiale ed è candidata ad ospitare le Universiadi nel 2025. Possono essere ingredienti giusti per ripartire, l’importante sarà maneggiarli e mescolarli con cura.