La chiesa del Santo Sudario, vero capolavoro settecentesco, che ospita nella sua cripta il Museo della Sindone, è stata restituita ai fedeli e alla Città di Torino dopo due anni di chiusura e scrupolosi interventi di restauro. L’edificio sacro, proprietà dell’omonima Confraternita, nel centro storico all’angolo tra via Piave e via San Domenico, è dedicato alla Sindone, conservata nella vicina Cattedrale.
Venerdì scorso, l’inaugurazione del restauro degli affreschi che ornano la volta della chiesa è stata a più voci e ricca di appuntamenti che hanno visto l’alternarsi di momenti ad alto contenuto culturale, a momenti di preghiera e di visita, per concludersi con un concerto che ha offerto i Salmi di Benedetto Marcello.
Il recupero della volta a botte, dipinta intorno al 1734 da Pietro Alzeri e Michele Antonio Milocco, si è reso necessario poiché la decorazione è stata compromessa dai consistenti e reiterati fenomeni di infiltrazione d’acqua provenienti dalle coperture che hanno in parte occultato le pitture con la formazione di una patina biancastra (efflorescenze saline) o che hanno causato il distacco della pellicola pittorica. Fortunatamente questi fenomeni hanno intaccato e interessato quasi solamente gli strati di colore relativi ai numerosi interventi di restauro che si sono succeduti nel tempo, senza quindi causare gravi perdite della materia originale. L’intervento di restauro, reso possibile grazie al contributo della Fondazione Crt, della Compagnia di San Paolo e del Niaf (National Italian American Foundation di Washington), è stato eseguito dal Centro per il restauro della Venaria Reale e ha avuto una durata di circa sette mesi. Costo complessivo, poco al di sotto dei 100mila euro.
La riapertura della chiesa permette innazitutto di tornare a un’offerta completa per i visitatori del Museo della Sindone, che ospita documenti, reperti, immagini riguardanti l’intera storia del Telo.
I lavori sono iniziati nel maggio scorso con gli opportuni approfondimenti diagnostici e la mappatura delle cromie della volta, necessari a individuare i precedenti restauri. La restituzione pittorica, iniziata a luglio e conclusasi a novembre, ha reso nuovamente ammirabili tutti i partiti decorativi della volta. Questa presenta un’imponente quadratura architettonica, eseguita dal veneziano Alzeri, con al centro una complessa raffigurazione della «Trasfigurazione di Cristo» del torinese Milocco, che dialoga con la grande pala dell’altare maggiore raffigurante la Vergine, il Beato Amedeo IX di Savoia, la Sindone e l’Eterno in gloria.
Gli elementi decorativi composti a trompe l’oeil, raffiguranti motivi fitomorfi, sfondati prospettici, volute, angeli, putti in grisaille, illusionistiche nicchie che racchiudono busti, pare vogliano superare il limite fisico della volta ed esaltare il senso di spazialità. Anche l’obsoleto impianto di illuminazione della chiesa è stato sostituito con apparecchi di ultima generazione che mettono ulteriormente in risalto la freschezza dei colori e la plasticità delle decorazioni architettoniche della sala liturgica.
La chiesa del SS. Sudario nasce come cappella dell’ospedale dei Pazzerelli, istituzione affidata nel 1728 da Vittorio Amedeo II alla Congregazione del Santo Sudario, votata oltre che a diffondere il culto e la devozione alla Sindone, all’assistenza dei malati di mente. La Confraternita fu fondata a Torino nel 1598 per volere di Emanuele Filiberto, vent’anni dopo il trasferimento della Sindone nella nuova capitale sabauda. Le attività della Confraternita iniziano a seguito della donazione di una porzione dell’isolato di S. Isidoro da parte di Vittorio Amedeo II, appunto nel 1728, per la costruzione di un ospedale per l’assistenza dei cosiddetti pazzerelli. La cappella interna all’ospedale ben presto non è più sufficiente ad ospitare i confratelli e gli ammalati, quindi di fianco ad essa viene costruito un nuovo oratorio. Nel 1734 è incaricato del progetto l’ingegner Ignazio Mazzone, confratello della Congregazione del Santo Sudario, che prevede una navata unica, con angoli smussati «la monotonia delle ampie pareti laterali fu… interrotta da diverse lesene…» e un presbiterio più stretto sul quale si affacciano i coretti; le decorazioni sono affidate all’Alzeri e all’ormai famoso, e molto attivo in città, Milocco.
Michele Antonio Milocco nasce a Torino tra il 1686 e il 1690; poco più che ventenne si trasferisce a Roma, dove nel 1719 è alle dipendenze del principe Livio II Odaleschi in qualità di pittore. Finora però, non sono emerse testimonianze della sua attività artistica romana: certo è che il soggiorno nella città pontificia e le influenze classiciste torinesi, assimilate negli ultimi anni del Seicento, collaborando con Stefano Maria Legnani, «Il Legnanino», alla decorazione di Palazzo Carignano, determinano scelte stilistiche e compositive allineate con la scuola del romano Carlo Maratta. Nel 1720 Milocco ritorna a Torino e riceve le prime commissioni da casa Savoia; lavora con interventi più o meno impegnativi per le residenze di corte: sue sono la volta della cappella di Villa della Regina e l’appartamento del re nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, oppure l’affresco sullo scalone di palazzo Perrone di San Martino a Torino (attuale sede della Fondazione Crt); in alcuni casi il suo intervento è limitato al completamento delle opere del primo pittore di corte Claudio Francesco Beaumont. L’attività di Milocco non ha interruzioni: è presente in Valsesia, nel cuneese e nell’astigiano, tanto che per soddisfare la numerosa committenza elabora un apprezzato repertorio di soluzioni compositive che vengono replicate, con l’uso dei cartoni, apportando di volta in volta lievi modifiche come per la cupola della chiesa della Visitazione, la cappella del Seminario Metropolitano o la sacrestia del Santuario della Consolata a Torino, ma la decorazione più vasta, in situ, è proprio quella del SS. Sudario.
La riapertura della chiesa permette ai Confratelli di tornare a servizio delle funzioni religiose, ma ha anche l’obiettivo di estenderne la fruizione alla città con mostre, conferenze e concerti affinché, riportando le parole di mons. Giuseppe Ghiberti, presidente d’onore della Commissione diocesana per la Sindone, pronunciate al termine dell’inaugurazione, «il bello ci aiuti ad avvicinarci a Dio».