Mancano tre mesi alla riapertura delle scuole dopo la pausa estiva. E tre mesi sono un tempo strettissimo per i dirigenti scolastici, che devono prepararsi alla rivoluzione imposta dal Coronavirus: distanziamento degli studenti, mascherine, riorganizzazione degli spazi, didattica in classe ma anche a distanza…
In questa intervista Fabrizio Manca, direttore generale dell’Ufficio Scolastico del Piemonte, spiega i preparativi in corso.
Le famiglie sono disorientate, non capiscono cosa accadrà a settembre. Cosa sappiamo di sicuro in questo momento?
Sappiamo che le scuole riapriranno. Ma di sicuro, per ora, c’è solo un documento consegnato il 28 maggio al Ministero dell’Istruzione dal Comitato Tecnico Scientifico nazionale, che ha definito in via generale le misure di sicurezza e contenimento dei contagi.
Un prontuario?
Sì, un elenco di condizioni da soddisfare in tutte le scuole.
Quali sono?
Le principali condizioni sono il distanziamento fisico degli studenti (1 metro), l’uso delle mascherine, il divieto di assembramenti, lo scaglionamento delle entrate e delle uscite degli studenti da scuola, la pulizia rigorosa dei locali.
Le scuole sono in grado di garantire queste condizioni?
Il problema è proprio quello di passare dalla teoria ai fatti. Se ne sta occupando, sempre a livello nazionale, un Comitato composto da 18 esperti, che entro il 31 luglio (ma pare che impiegherà meno tempo) presenterà al Ministro alcune linee di azione per le scuole che devono applicare il prontuario.
Quali sono queste linee?
Non le conosciamo ancora, ma a quanto si apprende si tratterà di un rafforzamento dell’autonoma delle scuole e di un potenziamento del rapporto fra le scuole e il territorio. L’autonomia non è un concetto nuovo, sta scritta nei regolamenti fin dal 1998, ma è spesso rimasta lettera morta: invece è lo strumento chiave per i dirigenti scolastici, che avranno bisogno di vera autonomia per organizzare la propria scuola. Il rapporto con il territorio sarà l’altra leva importante, perché molte scuole avranno bisogno di spazi aggiuntivi per garantire la didattica: potranno cercarli sul territorio, per esempio nei teatri, nei centri culturali, ovunque sia possibile ospitare classi di studenti.
Tutto questo sarà pronto in tre mesi?
È una corsa contro il tempo, ma non ci sono alternative. Senza attendere che il Comitato di esperti concluda il suo lavoro, il nostro Ufficio Scolastico piemontese si è già attivato a studiare le situazioni concrete e ad effettuare simulazioni in vari contesti scolastici. Abbiamo selezionato un gruppo di scuole campione, avendo cura di inserire tutte le tipologie: i licei, ma anche le scuole tecniche che hanno bisogno delle attività in laboratorio; i convitti, dove gli studenti risiedono anche la notte; i corsi serali, e via elencando… Per ciascuna scuola abbiamo calcolato quante classi e quanti studenti sono gestibili mantenendo le distanze di sicurezza. Si andrà probabilmente verso modelli di didattica mista: lezioni a scuola, ma anche lezioni a distanza da seguire da casa.
In caso di emergenza sanitaria si chiuderebbe di nuovo tutto?
L’obiettivo è evitare nuove chiusure, che in questi mesi hanno penalizzato le fasce più deboli della popolazione. La didattica a distanza è stato un esercizio virtuoso da parte degli insegnanti, degli studenti e delle loro famiglie, ma non dobbiamo nasconderci che molte famiglie, circa il 12%, non possiedono strumenti digitali e quindi sono rimaste tagliate fuori. Il 47% delle famiglie possiede solo un dispositivo elettronico, che in questi mesi è stato diviso fra i genitori (che lavorano da casa) e i figli, magari più figli…
Come sono stati gestiti nei mesi passati gli studenti che non possedevano strumenti digitali?
Nonostante i 6 milioni di euro stanziati dal Ministero alle scuole della regione per l’acquisto di dispositivi e connessioni a favore dei più bisognosi, la didattica a distanza ha evidenziato difficoltà e il rischio di aumento delle disuguaglianze per gli studenti più vulnerabili, quelli a rischio di dispersione scolastica. Questo è stato il grande problema e dobbiamo fare in modo che non accada più: a settembre la scuola deve tornare a occuparsi di tutti.
Come?
In autunno, come ho detto, è probabile che la didattica si svolgerà in parte a scuola, in parte a distanza nelle case. Il nostro Ufficio Regionale sta individuando le categorie di studenti che rischiano di essere tagliati fuori e devono invece, a tutti i costi, essere integrati e proseguire il loro percorso di studi stando a scuola.
Quali sono queste categorie?
Innanzi tutto i bambini più piccoli, iscritti alle scuole dell’infanzia o alle primarie. Per questi bambini la didattica a distanza è molto difficoltosa, impegna troppo i genitori, presenta problemi tecnici non da poco. L’obiettivo di massima è fare in modo che i bambini piccoli tornino tutti a scuola fisicamente.
Le altre categorie?
Dobbiamo garantire la scuola non solo agli studenti disabili, a quelli che studiano in ospedale, ai carcerati, ma a tutte le categorie più fragili: è impensabile che vengano lasciate indietro.