Da una parte ai cattolici è restituita una chiesa dopo 25 anni di richieste. Dall’altra parte è vivissima la preoccupazione per una legge che minerebbe fortemente la libertà religiosa. Questa la situazione in Russia.
La chiesa restituita è Santi Pietro e Paolo a Novgorod, 200 chilometri da San Pietroburgo. Il vescovo Nikolaj Dubinin, primo ausiliare della Gran Madre di Dio a Mosca, ha celebrato la prima liturgia per la riapertura. A Novgorod i russi si unirono agli scandinavi formando un nuovo Stato. Vi furono deportati 2 mila cattolici dalla Polonia che costruirono la chiesa nel 1893; i bolscevichi nel 1933 la trasformarono nel cinema «Rodina, Patria»; nel 1996 alcuni cattolici cominciano a usare l’ex cinema per le celebrazioni. Nel 2009-2010 i cattolici ottennero fondi federali per restaurare le torri esterne e chiesero di riconoscere l’edificio come «monumento di valore federale» e di poter usure la chiesa. La comunità cattolica è abituata a risorgere: dispersa nel XV secolo, ricostituita nel XIX secolo, ri-dispersa sotto il comunismo. La restituzione sembra il risultato della visita nel 2017 del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Due settimane dopo un tribunale ordina la restituzione alla Chiesa di un edificio, sequestrato dai bolscevichi.
Una legge che limita la libertà religiosa. Da tempo si discute la legge sulla «Libertà di coscienza e le associazioni religiose». Il titolo «libertà» non inganni: è una legge che limita la libertà religiosa e delle minoranze. Al clero estero impone «la certificazione da una organizzazione religiosa russa» e la «rieducazione» in Russia; pretende che le Chiese presentino ogni anno al ministero della Giustizia la lista dei propri membri: sostanzialmente è un controllo poliziesco; costringe gli enti educativi, i circoli sportivi e ricreativi a ottenere un «attestato educativo» dagli organi statali; ordina di «concordare con le autorità ogni programma educativo o manifestazione, che le autorità possono annullare a loro discrezione».
Forti le perplessità dei vescovi russi, riuniti a Saratov. Per padre Stephan Lipke, segretario della Conferenza episcopale russa, «le nuove misure vengono tutte dai tempi sovietici e ci portano indietro al sistema sovietico. Da una parte assicurano che il clero sia preparato alle condizioni in Russia e dall’altra richiedono maggiore lavoro di fronte alla prospettiva che un qualunque ufficiale potrebbe dire che non ci si sta adeguando alla legge, dando allo Stato altri mezzi per una nuova repressione». D’altra parte i cattolici e le altre confessioni religiose in Russia non hanno mai avuto una vita facile con le dittature che si sono susseguite: gli zar, i comunisti sovietici, ora con il dittatore-presidente Vladimir Putin. L’unica, favorita da sempre, è l’ortodossia mosvovita.
Nel 2002 ripristinate le diocesi cattoliche – L’11 febbraio 2002 Giovanni Paolo II trasformò le quattro amministrazioni apostoliche in diocesi organizzate in una provincia ecclesiastica. Fermissima contrarietà espresse il Patriarcato ortodosso. Una nota vaticana spiegò che «si dà normalità alla Chiesa cattolica secondo l’ordinamento canonico, un normale atto amministrativo suggerito dalla necessità di migliorare l’assistenza pastorale ai cattolici, come da loro insistentemente richiesto». Così le comunità cattoliche russe furono equiparate a quelle delle altre parti del mondo: è la stessa preoccupazione che indusse la Chiesa russa a creare diocesi per i propri fedeli in Europa e in America. Il Vaticano si augurò «di poter migliorare il dialogo e la collaborazione con la Chiesa ortodossa alla quale non è mai mancato il sostegno della Chiesa cattolica». Il governo della Federazione russa non sollevò problemi tanto più che, come membro dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), ha sottoscritto il documento di Vienna che al n. 16 recita: «Gli Stati rispetteranno il diritto delle comunità religiose di organizzarsi secondo la propria struttura gerarchica e istituzionale».
La nuova organizzazione prevede: l’arcidiocesi metropolitana della Madre di Dio «a» Mosca (Russia europea settentrionale) – per rispetto non si usa la terminologia classica arcidiocesi metropolitana «di» ma «a» Mosca –; la diocesi di San Clemente a Saratov (Russia europea meridionale); la diocesi della Trasfigurazione a Novosibirsk (Siberia occidentale); la diocesi di San Giuseppe a Irkutsk (Siberia orientale). In sostanza la Santa Sede ripristinò strutture preesistenti aggiornandole alle esigenze». Non era proselitismo a danno degli ortodossi perché – dopo la caduta del comunismo e dopo la legge che ripristinava la libertà di coscienza e di religione, con un ruolo privilegiato per l’Ortodossia – tutte le religioni e le confessioni si erano riorganizzate. Quelli che si convertivano provenivano dall’ateismo, dalla miscredenza e da ambienti lontani da ogni religione: ciò scarta ogni ipotesi o accusa di proselitismo.
La Chiesa cattolica è presente in Russia dal XII secolo ma fu riconosciuta dal regime zarista nel 1772. Prima della rivoluzione bolscevica del 1917 esistevano 150 parrocchie, 2 seminari, 250 preti, 20 ordini religiosi e centinaia di migliaia di fedeli. Una comunità perseguitata e decimata dal regime comunista. Il Patriarcato era stato informato in anticipo ma aveva manifestato una dura contrarietà e interpretò l’evento come una sfida. Come reazione il Patriarcato annullò la visita del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità tra i cristiani; nessun Pontefice romano ha potuto mettere piede a Mosca. Il 21 aprile 2002 la Santa Sede si appellò al presidente Putin per la tutela della libertà religiosa e l’eliminazione delle discriminazioni contro i cattolici. Papa Wojtyla scrisse a Putin per riaffermare «la volontà della Chiesa, presente da molti secoli, di stare al fianco della grande cultura russa» e per auspicare «l’approfondimento della reciproca conoscenza e stima fra tutti i cristiani russi».