Francesco di Sales (1567-1622) «celeste patrono di tutti quei cattolici, che con la pubblicazione di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina». Cento anni fa, il 26 gennaio 1923, Pio XI nell’enciclica «Rerum omnium» scrive: «Con il suo esempio insegna la condotta da tenere: studino con somma diligenza e giungano a possedere la dottrina cattolica; si guardino dal venir meno alla verità; abbiano cura della forma ed eleganza del dire ed esprimano i pensieri con perspicuità e ornamento di parole, di maniera che i lettori si dilettino della verità; sappiano confutare gli errori e resistere alla improbità dei perversi. Poiché gli eretici disertavano le sue prediche, Francesco delibera di confutare i loro errori con volantini, scritti e disseminati in tante copie che, passando di mano in mano, finissero con l’insinuarsi anche tra gli eretici. Lo stile è elegante, garbato ed efficace e i ministri dell’eresia solevano mettere in guardia i seguaci perché non si lasciassero allettare e vincere dalle lusinghe del vescovo».
Il 21 agosto 1567 nel castello di Sales nasce François, primogenito del gentiluomo Francesco di Boisy e di Sales e della nobildonna Francesca de Sionnaz: in tempo di eresia protestante il padre chiede che «sia di fede inviolabilmente cattolica», la madre «che sia dedito al servizio di Dio e dell’altare, particolarmente santo e benedetto». Studi superiori a Parigi; all’università di Padova laurea in «utroque» Diritto canonico e civile. Avverte la vocazione è il 18 dicembre 1593 è ordinato presbitero. Vive nei tempi bellicosi degli scontri sulla Riforma. Zelante e instancabile, vuole dedicarsi a ricondurre al Cattolicesimo lo Chablais e Ginevra, patria di Giovanni Calvino.
I manifesti passaparola del Vangelo – Per incontrare i «lontani» – che non avrebbe raggiunto con la predicazione e visti gli scarsi risultati dal pulpito – escogita di pubblicare e far affiggere sui muri e di far scivolare sotto le porte i «manifesti», fogli scritti a mano («Controversie»): pensati come mezzo di catechesi e informazione, composti in agile stile, gli meritano il titolo di «patrono dei giornalisti e degli scrittori cattolici». Spirito acuto, dotto umanista, scrittore fecondo e polemista elegante, intuisce l’importanza della stampa. Ai laici apre la via dell’ascetica: «La Filotea», «Teotimo», «Introduzione alla vita devota», «Trattato dell’amore di Dio». Proverbiali i suoi insegnamenti dispensati anche con 20 mila lettere. Nel 1599, a 32 anni è vescovo coadiutore e nel 1605 vescovo di Ginevra: si preoccupa di applicare le riforme del Concilio di Trento. Nonostante gli sforzi, Ginevra rimane calvinista, ed egli trasferisce la sede ad Annecy. I duchi di Savoia sostengono con le maniere forti l’opera dell’inascoltato apostolo. Fonda con la nobildonna Giovanna Francesca Frémiot, vedova del barone de Chantal, l’Ordine della Visitazione. Muore a 55 anni per un attacco di apoplessia il 28 dicembre 1622.
Dotato di ineguagliabile dolcezza – «Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore». I contemporanei commentano: «Come deve essere buono Dio, se Francesco è così buono». Al suo nome si ispirano parecchie Congregazioni e oltre 200 anni dopo don Giovanni Bosco chiama «Salesiana» la sua famiglia religiosa. L’affetto per la Sindone gli è instillato dai genitori. La contempla a Torino nel 1613: «Una folla incalcolabile era venuta da tutto il Piemonte e aveva invaso la Cattedrale. Con mia sorpresa il principe Carlo Emanuele mi aveva designato a tenere il discorso e a esporre la reliquia agli sguardi dei fedeli insieme al principe cardinale Maurizio di Savoia. Dalla fronte alcune gocce di sudore e lacrime mi caddero sulle impronte del corpo crocifisso. Il cardinale Maurizio mostrò di mal tollerare che il mio sudore cadesse sul sudario. Mi sentii in cuore di rispondergli (ma non lo fece, n.d.r.) che nostro Signore non era così delicato e che aveva sparso il suo sudore e sangue per mescolarlo con il nostro».
Dottore della Chiesa, patrono del Seminario di Torino – Vissuto tra Cinque e Seicento, riassume il meglio delle conquiste culturali e religiose del secolo: apostolo, predicatore, scrittore, uomo d’azione e di preghiera, beatificato nel 1662, canonizzato nel 1665, dottore della Chiesa nel 1877, proclamazione sostenuta con convinzione da Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino. Nell’Ottocento nel Seminario di Torino, che lo ha come patrono, si inculca una spiritualità proposta da «L’imitazione di Cristo», da Giuseppe Cafasso e dai suoi maestri: Ignazio di Loyola, Francesco di Sales e Alfonso Maria de’ Liguori.
«Il più amabile fra i santi»; «Gemma della Savoia» – Per Giovanni XXII (27 gennaio 1963) «la sua figura non si può contenere entro limitati orizzonti: essa si leva alta e serena, più alta dei monti della sua Savoia, più serena del cielo ridente che si specchia nelle acque azzurre del lago di Annecy. Fu il più amabile tra i santi e Iddio lo mandava al mondo in un’ora di tristezza. Apparve come l’incarnazione della pietà sorridente e forte, in cui si fondono la poesia ingenua di Francesco d’Assisi e l’amore chiaroveggente di Agostino». Paolo VI (29 gennaio 1967) nell’epistola ai vescovi di Francia, Svizzera e Piemonte lo chiama «Gemma della Savoia e della Svizzera, grandissima gloria di Annecy, una delle più grandi figure della Chiesa e della storia». Il messaggio pontificio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, istituita da Paolo VI e celebrata dal 1967, è pubblicato il 24 gennaio, memoria del santo. Papa Francesco nel IV centenario della morte (1622-28 dicembre-2022) gli dedica la lettera apostolica «Totum amoris est. Tutto appartiene all’amore»: in un tempo di grandi cambiamenti, aiutò le persone «a cercare Dio nella carità, nella gioia e nella libertà. Capace di leggere i segni del suo tempo, fu guida di anime».