Venerdì 17 marzo, in Vaticano nella Sala Clementina, papa Francesco ha incontrato i membri della Congregazione di San Giuseppe, meglio conosciuti come i Giuseppini del Murialdo. Così iniziava il suo intervento: «Ci incontriamo nel 150° anniversario di fondazione della vostra Congregazione. Infatti, il diciannove marzo 1873 San Leonardo Murialdo fondava la Pia Società Torinese di San Giuseppe per la cura e la formazione soprattutto dei giovani operai. A me fa pensare tanto questo tempo, lì, nel “fuoco” – diciamo così –, nel centro della massoneria, a Torino, nel Piemonte, tanti santi, tanti! E dobbiamo studiare perché, perché in quel momento. E proprio nel centro della massoneria e dei “mangiapreti”, i santi, e tanti, non uno, tanti. Dunque ha fondato a Torino, in questo contesto duro, segnato da tanta povertà morale, culturale ed economica, di fronte alla quale non è rimasto indifferente: ha raccolto la sfida e si è messo al lavoro, in mezzo alla massoneria».
Le parole del pontefice hanno richiamato una stagione torinese (piemontese) molto vivace e non completamente conosciuta, quella dei cosiddetti santi sociali (santi e sante, beati, venerabili,…) che indicativamente iniziano con san Giuseppe Cottolengo (nato a Bra a fine Settecento) e si concludono (concludono?) col beato Filippo Rinaldi (morto nel 1931). Nel mezzo abbiamo, tanto per ricordarne solo alcuni, i coniugi Barolo (venerabili), l’epopea dei santi salesiani, i beati Allamano e Frassati, ecc. Forse molti di questi sono noti, perché in tante parti del mondo le opere intraprese parlano per loro, altri invece lo sono di meno, quindi è opportuno ricordarli almeno collettivamente. Per quanto riguarda l’altro aspetto citato da Bergoglio (il centro della massoneria e dei “mangiapreti”), per sommi capi si sa che in Piemonte operarono (operarono?) per molti decenni le cosiddette società segrete, che ebbero parte anche nel Risorgimento e nei moti che lo precedettero: non solo i massoni, ma anche i carbonari, i federati, gli adelfi e i filadelfi,… e chi più ne ha, più ne metta. Negli stati assolutisti di allora, le società segrete erano tra i rari luoghi dove si potevano esprimere liberamente pensieri ed idee non conformi ai regimi governativi totalitari senza correre troppi rischi. Nell’insieme di quei tempi, in cui le attività civili erano sia molto distanti sia, paradossalmente, talvolta molto vicine, nonostante differenti posizione di partenza, l’Ottocento piemontese fu un periodo estremamente vivace, culturalmente e politicamente.
In questo variegato contesto di iniziative, è forse ancor meno conosciuta un’altra caratteristica di allora: Torino (e il Regno di Sardegna in generale) ebbe un’alta concentrazione di pensatori politici cattolici (liberali e non), probabilmente senza uguali in Italia che, in modi diversi, segnarono il percorso verso l’unità nazionale. Alcuni ancora oggi hanno ancora una certa notorietà, altri li si ricorda solamente per l’intitolazione di una via, di un giardino o di una scuola,… altri ancora sono quasi sicuramente ignoti o ignorati. Proviamo a ricordarne qualcuno: Gian Francesco Galeani Napione (1748-1830), forse il primo a pensare ad una confederazione degli stati italiani, ottenibile senza una guerra; Joseph de Maistre (1753-1821), conservatore, autore dell’opera politica Du pape; i gemelli liberali Santorre di Santa Rosa (1783-1825) e Cesare Balbo (1789-1853), con i loro testi quasi omonimi (Le speranze degli Italiani l’uno, Le speranze d’Italia, l’altro) e Vincenzo Gioberti (1801-1852), sacerdote e ministro, il più noto teorico del neoguelfismo liberale. Anche Antonio Rosmini (1797-1855), beato, si può considerare un piemontese di adozione, in quanto operò a lungo tra Torino e Stresa, dove pure si dedicò a imprese e studi politici.
Benedetto XVI nel 2011, per il centocinquantenario dell’unità nazionale, riconobbe il contributo dei cattolici all’unificazione: «Dal punto di vista del pensiero politico basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfismo che conobbe in Gioberti un illustre rappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, […]. Per il pensiero filosofico, politico, e anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana». Ratzinger citava quasi tutte personalità piemontesi, tra le quali Massimo d’Azeglio (1798-1866), pittore, scrittore e ministro, annoverandolo come cattolico liberale, argomento che sarebbe da approfondire, mentre sicuramente pensatore cattolico fu suo fratello, il gesuita Luigi (1793-1862), forse non ugualmente così liberale. Insomma, se teniamo presente anche il saluzzese Silvio Pellico, che a Torino fu segretario dei marchesi di Barolo,… potremmo affermare che l’ottocentesca Torino fu la culla del pensiero politico cattolico italiano, prima liberale e che poi divenne democratico.
Anni vivaci all’epoca, in cui i confini tra il pensiero cattolico e quello laico non erano così netti: l’assolutista de Maistre era dichiaratamente massone e teorizzò (spregiudicatamente) la possibilità di essere contemporaneamente cattolici e iscritti alla massoneria; si ipotizza che Gioberti fosse massone, mentre Santa Rosa ed esponenti della famiglia d’Azeglio dovrebbero essere stati carbonari. Il laico Cavour (col quale collaborò Rosmini), pur scomunicato, in punto di morte volle ricevere i sacramenti,…
Quindi grande vivacità intellettuale e politica nei piemontesi diversamente cattolici dell’Ottocento, divisi tra i nostalgici della Restaurazione e i più moderni liberali, tanto da pensare che non sarebbe stato possibile veder militare nello stesso partito confessionale de Maistre, Santa Rosa o Rosmini.
Su queste robuste basi cosa oggi di sta costruendo?