
Alì, Moustafa, Hasani, Lumumba…. Erano 133 a Saluzzo il 30 giugno scorso, accampati nel parco Gullino di Villa Aliberti, senza un tetto, ma con una speranza: un lavoro stagionale per raccogliere la frutta. Per molti, quasi tutti di origine africana, era la prima volta che arrivavano nelle campagne del Cuneese. Molti hanno da poco concluso la raccolta degli agrumi nel sud d’Italia, altri hanno terminato altre esperienze di lavoro nel torinese. Avevano negli occhi la speranza e la voglia di trovare un’occupazione che durasse almeno fino all’autunno e non immaginavano che a causa del Covid le sistemazioni trovate per i loro connazionali negli anni passati come il dormitorio del Foro Boario o quelli di Caritas Saluzzo non fossero più praticabili e si stavano ammassando nel parco.
A cambiare le prospettive il fatto che si sia attivata una rete di sensibilizzazione e di sollecitazione delle istituzioni prima e di sostegno e aiuto poi, che ha visto protagoniste le Caritas locali, le comunità, le associazioni del territorio. Così è stato a Savigliano dove 11 di quei migranti sono stati accolti dai volontari della Caritas delle parrocchie della città in collaborazione con il Comune, la Croce Rossa, l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Map (Migranti associati Piemonte), e ora sono supportati anche nel contatto con le aziende agricole di zona, nella messa a punto dei curriculum da una volontaria dell’associazione Pro-Tetto Migranti, tra le altre realtà coinvolte. Una rete di aiuto efficiente intervenuta nell’arco di pochi giorni.
«Un impegno che ha evidenziato due velocità», sottolinea don Paolo Perolini, moderatore dell’Unità pastorale di Savigliano, «da un lato quella dello sgombero, tanto che molti dei migranti che non erano presenti non hanno più trovato valigie, effetti personali… dall’altro quella della comunità di Savigliano che si è immediatamente attivata».
Ma come sono arrivati da Saluzzo a Savigliano gli 11 migranti, 10 uomini e una donna? «Giovedì scorso», spiega Rosanna Rastelli responsabile dell’accoglienza Caritas «il prefetto di Cuneo ha ordinato lo sgombero e ha dato attuazione ad un protocollo d’intesa siglato il giorno precedente da Prefettura, Regione Piemonte e 8 comuni limitrofi dove i migranti sono stati ripartiti, tra cui il nostro». «Nell’emergenza», prosegue la Rastelli, «abbiamo riaperto per due notti il dormitorio che la Caritas di Savigliano mette a disposizione nel periodo invernale per l’emergenza freddo con la consapevolezza che però fosse solo una soluzione provvisoria perché incompatibile con le norme anticontagio. In seguito si è individuata una zona – in via del Mutuo Soccorso 10 – dove si sarebbero potute allestire tende, come era già avvenuto nel 2014, e con la Croce Rossa sono state montate ed organizzate. L’associazione Papa Giovanni XXIII si è preoccupata del cibo».
I letti sono stati messi a disposizione dal rifugio Savigliano di Pontechianale, poi si sono attrezzati bagni, armadietti per gli effetti personali. Immediato il reperimento delle biciclette indispensabili per i braccianti per andare al lavoro». Il tutto in un clima positivo: «Testimonianza», commenta Pierluigi Dovis, direttore della Caritas diocesana di Torino e responsabile della Commissione regionale Caritas, «di un lavoro che da tempo si porta avanti per promuovere il lavoro dignitoso degli stagionali». Lo stesso protocollo firmato il 30 è in continuità con l’appello «Per una stagione di dignità» promosso dalle Caritas del cuneese, Terzo Settore e sindacati rivolto al Prefetto di Cuneo e al Presidente della Regione. Al primo punto il problema abitativo, ma non l’unico, perché la dignità del lavoratore è anche ricevere un salario equo.