Non c’è pace fra i velluti rossi di Piazza Castello. Dopo le dimissioni (18 aprile) dell’intero Consiglio d’indirizzo della Fondazione Teatro Regio, operative dal 31 maggio, e la decadenza contestuale del sovrintendente William Graziosi, svizzero di nascita, marchigiano d’adozione, nominato appena un anno fa, si aprono varie zone d’ombra sul futuro.

Primo: è saltata fino a nuovo ordine la conferenza stampa di presentazione della stagione lirica 2019-20, prevista inizialmente per il 3 giugno. Sappiamo che il programma degli spettacoli si aprirà con una primizia (Les Pêcheurs de Perles di Bizet, mai rappresentato al Regio) però il cartellone è ancora incompleto.

Secondo: permane una pesante incertezza sulla filiera di comando dell’ente lirico. È finito maluccio l’incontro riservato dello scorso giovedì 16 maggio, nel quale il Sindaco Appendino e l’Assessore alla Cultura Leon avevano proposto al direttore artistico Alessandro Galoppini di sanare i conflitti con Graziosi accettando una doppia riconferma: la sua e quella di Graziosi. La risposta è stata negativa: «Non penso di collaborare ancora».
La gestione Graziosi ha sollevato molte polemiche fin dal giorno della nomina avvenuta il 3 maggio dell’anno scorso. Fece molto discutere il suo curriculum artistico, considerato inadeguato per un ente come il Regio, e le sue precedenti discusse esperienze come manager di altri enti culturali. Principalmente due: in Kazakhstan, dove Graziosi è stato consulente del governo, vice sovrintendente e direttore dell’Opera di Astana; nelle Marche dove ha ricoperto vari incarichi, da ultimo al vertice delle Fondazioni Pergolesi Spontini e Federico II di Jesi. I giornali hanno spesso riferito di giudizi poco benevoli da parte degli addetti ai lavori.
Giochi di forza. Il nome di William Graziosi alla guida del Regio fu imposto perentoriamente dal sindaco Appendino nel Consiglio d’indirizzo del 24 aprile 2018, dopo le dimissioni più o meno forzate del precedente Sovrintendente Valter Vergnano. Venne votato a maggioranza, con quattro voti su sette. Contrari e subito dimissionari Vittorio Sabadin (rappresentante del Comune) e Angelica Musy (soci fondatori), mentre Filippo Fonsatti, delegato regionale, non partecipò al voto. Il decreto di nomina fu firmato dall’allora Ministro ai Beni culturali Franceschini (3 maggio 2018).
La stagione 2018-19 venne rabberciata in fretta, con diverse modifiche, e titoli collaudati, senza prendere alcun tipo di rischio. Il risultato economico, va detto, non è stato dei peggiori. Il bilancio consuntivo 2018 – approvato nella stessa seduta del 18 aprile scorso, prima delle dimissioni – chiude sostanzialmente in pareggio, grazie alle erogazioni straordinarie di Regione, Comune e Intesa San Paolo, per un totale di 2,3 milioni di euro, e all’anticipo di 500 mila euro da parte della Compagnia di San Paolo, a valere sul triennio. Si registra un incremento di spettatori paganti sul 2017: da 154 a 165 mila, 11 mila in più. Di conseguenza gli incassi di botteghino sono aumentati di quasi 500 mila euro. Anche le alzate di sipario sono cresciute da 194 a 220.
L’invasione dei marchigiani. Graziosi ha preteso una ristrutturazione radicale degli uffici, collocando ovunque persone di sua fiducia, quasi sempre di origine marchigiana, oppure di stretta osservanza politica. È il caso del corista e sindacalista Roberto Guenno, fortemente marchiato 5Stelle, nominato responsabile dei progetti europei e della formazione del Regio (in pratica un vice, che non a caso occupa l’ufficio accanto a quello del Sovrintendente). Si sono infittiti gli incarichi diretti, senza bando. È avvenuto per il capo del personale, dove l’avvocato di Ancona Francesca Orazi ha sostituito Alessandra Bazoli in aspettativa; è accaduto per la struttura di marketing affidata direttamente all’esperta di comunicazione marchigiana Priscilla Alessandrini e alla sua associazione Lagru Play di Porto San Giorgio. Sta avvenendo, e in forma più vistosa, per il sistema operativo della biglietteria. Il contratto con il colosso Vivaticket è in scadenza e Graziosi vuole trasferirlo a una società a lui vicina che si è occupata finora solo delle biglietterie di parchi a tema (tipo Gardaland per capirci). Nessuna esperienza sulla complessità e lo specifico dei botteghini teatrali.
L’ondata marchigiana si è allargata a tutti gli uffici dell’ente lirico torinese, sollevando rilievi anche sul metodo. È vero che la legge consente affidamenti per chiamata diretta fino a importi di 40 mila euro e nessuno di questi incarichi nominalmente li supera, ma gli osservatori si domandano se per rispettare la soglia non sia stato fatto ricorso al vecchio trucco dello «spezzatino»: invece che affidarti un unico incarico da 100 mila euro, te ne assegno tre da 33 mila in tre anni e i giochi son fatti.
Futuro incerto. Si attende in questo clima velenoso la nomina del nuovo Consiglio d’indirizzo e del nuovo Sovrintendente. In teoria deve arrivare entro il 31 maggio, ma è praticamente impossibile che la scadenza sia rispettata. Per le nomine dei Consiglieri da parte di Comune e Regione sono richieste pubbliche manifestazioni d’interesse, di cui per ora non c’è traccia. I privati devono convocare le rispettive assemblee, e anche di queste nessuno sa nulla. Infine c’è il Ministero che ha i suoi tempi. In mezzo, tanto per gradire, le Elezioni regionali ed europee del 26 maggio. Un bel groviglio.
Unica certezza è l’evidente intenzione, da parte del sindaco Appendino, di riconfermare Graziosi, con un contratto prevedibilmente pluriennale. Poco o nulla sembrano pesare i malumori, vedi la paginata della Stampa del 5 maggio, e una infuocata intervista al regista Giancarlo Del Monaco (figlio del tenore Mario), con dure accuse al Sovrintendente. Graziosi non risulta ben visto neppure dal Ministro ai Beni Culturali Bonisoli, ma godrebbe di alte protezioni. Non di Beppe Grillo, ormai fuori dai giochi, ma del sempreverde berlusconiano Gianni Letta, niente meno. Inoltre c’è una parte del teatro, il sindacato ad esempio, per nulla contraria alla sua riconferma.
Non è detta l’ultima parola, il futuro è gravido d’incognite. A gennaio è stato presentato un ambizioso piano di sviluppo pluriennale, firmato dal professor Guido Guerzoni, che prevede investimenti per 14 milioni e un aumento dei ricavi, tra biglietteria e nuovi sponsor del 40 per cento. L’ipotesi è a dir poco ottimistica per una città affaticata come Torino.
Il piano non dice nulla su due punti fondamentali, a cominciare dal bisogno di nominare un direttore musicale di rango, che colmi il vuoto apertosi dopo che Gianandrea Noseda, bacchetta di fama internazionale, se ne andò sbattendo la porta. Seconda questione: manca qualunque parvenza di un progetto culturale e artistico che spieghi che cosa si vuole fare e perché del Regio, che come tutti i teatri d’opera italiani ha un valore simbolico e sociale di enorme impatto. Nel piano si parla solo di mettere a reddito la sala di Mollino affittandola il più possibile per eventi esterni…
Soprattutto rimane sul tappeto il pesante deficit strutturale, cioè lo scompenso tra costi e ricavi, per due milioni annui, più volte denunciato da autorevoli amministratori. I quasi 400 dipendenti, come sempre la principale voce di uscita, non si toccano, ci mancherebbe. Ma l’anno prossimo lo sbilancio potrebbe toccare i tre milioni perché, come detto, le fondazioni hanno già anticipato parte del loro contributo e difficilmente apriranno di nuovo i cordoni della borsa.