«Supplichiamo i governanti a non restare sordi al grido dell’umanità». Sessant’anni fa il desiderio roncalliano di «riassumere le voci del mondo» fu messo a dura prova pochi giorni dopo l’apertura del Concilio Vaticano II, quando il mondo minacciò di sprofondare nella guerra nucleare.
Sono anni di paura nella stagione della «guerra fredda». Nella notte del 13 agosto 1961 le truppe sovietiche costruiscono il Muro di Berlino che spacca la città in due: i tedesco-orientali fuggono all’Ovest verso la libertà. Il Muro sarà abbattuto 28 anni dopo, nel 1989. Sempre nel 1961 il segretario del Partito comunista sovietico Nikita Krusciov annuncia la ripresa degli esperimenti nucleari e il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy replica con analoga decisione: test atomici nel sottosuolo e in laboratorio.
Nell’ottobre 1962 la crisi dei missili sovietici a Cuba porta l’umanità sul baratro. Il braccio di ferro inizia il 16 ottobre quando la Cia segnala a Kennedy l’installazione a Cuba di testate sovietiche in grado di colpire gli Stati Uniti. Il presidente raduna un’unità di crisi per decidere risposte appropriate. Il Pentagono preme per il bombardamento delle basi seguito da uno sbarco sull’isola per rovesciare il regime castrista. Ma il presidente opta per una misura meno drastica.
Il 22 ottobre Kennedy denuncia la dislocazione di missili, aerei e basi nell’isola e ordina il blocco aeronavale di Cuba. L’Us Navy pattuglia le acque per perquisire le navi russe e costringerle a invertire la rotta se trasportano materiale bellico. Il 25 l’ambasciatore americano all’Onu Adlai Stevenson, in una drammatica riunione del Consiglio di sicurezza, inchioda l’ambasciatore sovietico Valerian Zorin: «Lei nega che l’Urss abbia collocato e stia collocando missili a Cuba? Sì o no? Non aspetti la traduzione. Lei nega l’esistenza di queste rampe? Sono pronto ad aspettare la sua risposta finché l’inferno si sarà congelato e sono pronto a presentare le prove». Compaiono le foto riprese dai satelliti americani delle rampe missilistiche e delle navi in rotta verso l’isola: sui ponti i missili sono nascosti da teloni.
Krusciov invia a Kennedy due lettere. Nella prima si dice pronto al ritiro delle testate se gli Usa si impegnano a garantire l’integrità territoriale dell’isola. Nella seconda subordina la rimozione delle basi ad analoga decisione americana: chiudere le basi Nato in Turchia. Robert Kennedy, fratello del presidente e ministro della Giustizia, propone una via d’uscita: ignorare la seconda missiva e rispondere alla prima. Bob si reca dall’ambasciatore sovietico per un chiarimento e prende contatto con la Santa Sede attraverso Norman Cousins, un cattolico, direttore del «Saturday Review».
Il mondo è col fiato sospeso. Grazie a un fitto lavorìo Papa Giovanni riceve assicurazioni da Washington e da Mosca che un suo intervento non è sgradito. Mons. Loris Francesco Capovilla, testimone di quegli eventi, parla di «mediazione papale sui generis». Nella notte tra il 23 e il 24, con il sostituto della Segreteria di Stato mons. Angelo Dell’acqua, il Papa stende un messaggio ai Grandi. Ogni tanto si alza e va in cappella a pregare. È un appello stupendo e accorato: «La mano sulla coscienza, coloro che portano la responsabilità del potere ascoltino il grido di angoscia che, da tutti i punti della Terra, dai fanciulli innocenti ai vecchi, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: pace! pace! Rinnoviamo questo solenne invito. Noi supplichiamo tutti i governanti di non restare sordi a questo grido dell’umanità. Facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra di cui non è possibile prevedere le terribili conseguenze».
Il 24 in un discorso ai pellegrini portoghesi elogia gli uomini di Stato che cercano di evitare la guerra. Il messaggio è consegnato alle ambasciate sovietica e statunitense presso la Repubblica italiana: allora il Vaticano non aveva rapporti diplomatici con Usa e Urss. Il 25 il testo è divulgato dalla «Radio Vaticana». Il 26 la «Pravda», organo del Partito comunista sovietico, dedica un articolo al Papa attribuendogli il merito di aver salvato la pace con un titolo che ne riporta le parole: «Noi supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi al grido dell’umanità». È il segnale che Krusciov approva. È il disgelo: la strada delle trattative è aperta. Il Papa dà la notizia all’Angelus del 28 ottobre: «La parola del Vangelo non è muta: essa risuona da un capo all’altro del mondo e trova la via del cuori».
Il 27 Washington invia a Mosca un messaggio di disponibilità, al quale il capo sovietico risponde con una lettera a Kennedy. L’umanità tira un respiro di sollievo. L’olocausto nucleare è scongiurato, anche grazie al senso di responsabilità di un ufficiale sovietico che, a bordo di un sommergibile che scorta le navi con la stella rossa, impedisce il lancio di un missile atomico contro le navi americane. La crisi si risolve con un compromesso grazie a faticosi negoziati che durano tutto novembre: la Casa Bianca assicura l’indipendenza di Cuba; il Cremlino ordina alle navi di invertire la rotta.
Arthur Schlesinger jr. scrive ne «I mille giorni di John F. Kennedy: «Domenica 28 ottobre alle 9 cominciò ad arrivare la risposta di Krusciov. Si impegnava a interrompere i lavori alle basi, a rispedire in Unione Sovietica le armi “da voi definite offensive” e ad avviare i negoziati all’Onu. Quanto al futuro diceva: “È nostro desiderio continuare lo scambio di vedute sulla proibizione delle armi atomiche, il disarmo e altri problemi riguardanti la distensione internazionale”».
La crisi di Cuba è il punto di svolta tra guerra fredda e distensione. Dalla primavera 1963 Cremlino e Casa Bianca sono collegati dal «telefono rosso» e in 5 agosto Usa, Urss e Gran Bretagna firmano a Mosca il «Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio cosmico e negli spazi subacquei».