«La Terra è blu» esclama estasiato, sessant’anni fa, il russo Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio. E non sa che a Torino due giovani fratelli, Achille e Giovanni Battista Judica Cordiglia, lo stanno captando.
Il 12 aprile 1961 l’Unione Sovietica di Nikita Krusciov apre la via alle missioni umane di esplorazione dello spazio, battendo gli Stai Uniti di John Fitzgerald Kennedy. Quattro anni dopo il lancio della prima navicella «Sputnik, compagno di viaggio», era l’uomo a superare i confini dell’atmosfera. Un primato conquistato in piena «Guerra fredda»: tra l’Occidente capitalista e l’Oriente comunista i dittatori di Mosca fanno calare la «Cortina di ferro» e la corsa allo spazio vede le due superpotenze acerrime rivali. Ma otto anni dopo gli Stati Uniti, il 20 luglio 1969, ribaltano le sorti della battaglia spaziale facendo scendere Neil Armstrong sulla Luna alle 4:57 del 21 luglio (ora italiana) 1969.
Prima di Gagarin, l’Urss aveva mandato vari cani nello spazio: il 2 giugno 1954 «Lisa, Volpe» e «Ryžik, Ginger con il pelo rosso» volano a 100 chilometri dalla Terra; il 4 ottobre 1957 dal cosmodromo di Baikonur in Kazakistan i russi spediscono lo «Sputnik» in orbita intorno alla Terra; nel 1959 inviano un manufatto sulla Luna. Dopo il volo di Gagarin, quello della prima donna Valentina Tereshkova nel 1963; il cosmonauta Aleksei Leonov nel 1965 è il primo a lasciare la capsula e a volteggiare sospeso nello spazio. I sovietici sono i primi a circumnavigare la Luna, a fotografarne la faccia nascosta e a calare un robot sulla superficie lunare.
Molte cose sono cambiate dal primo giro ellittico attorno alla Terra, 108 minuti tra le stelle. L’esplorazione spaziale è considerata impossibile senza una forte e ampia collaborazione internazionale. Lo dimostra la Stazione Spaziale internazionale: la più grande struttura mai costruita nello spazio, nata dalla collaborazione fra Stati Uniti, Russia, Canada, Europa, Giappone e alla quale anche l’Italia contribuisce con astronauti, strumenti e tecnologia.
«Vedo la Terra blu sotto di me. È bellissima!». Il volo resta segreto fino a quando il cosmonauta russo, 26 anni, comunica di stare bene e di sopportare in modo accettabile l’assenza di peso. Ma non è un segreto per due fratelli radioamatori, lombardi di nascita e torinesi d’adozione e di studi, Achille e Giovanni Battista Judica Cordiglia, entrambi studenti: Achille, morto nel 2015, diventa un cardiochirurgo; Giovanni Battista documentarista e consulente per perizie foniche e fotografiche, ed è in questa veste che avvicinerà la Sindone.
Da tempo seguono i lanci dei sovietici. Racconta Giovanni Battista, 81 anni, a «La Stampa»: nella loro stanza all’ultimo piano di via Accademia Albertina, i due fratelli accendono la radio ed escono sulla terrazza dove hanno installato la grande antenna: «È la voce di un cosmonauta. Non stavamo nella pelle. Eravamo appassionati di radio e di telecomunicazioni. Ci interessava diventare bravi radioamatori e ci trovammo a registrare voci ed eventi che sarebbero dovuti restare segreti. Ci appassionammo allo spazio, captammo le missioni della Nasa. Ci siamo trovati alle prese con la più affascinante e pionieristica avventura di quel tempo e ne approfittammo».
Pochi mesi dopo il volo di Gagarin, a Torre Bert sopra San Vito nasce il centro di radioascolto spaziale. Racconta Giovanni Battista: «Abbiamo avuto molte sorprese, compreso un signore dei servizi segreti che si presentò dietro la porta di casa. Il generale russo Kamanin, a capo del programma spaziale, ci definì “banditi dello spazio” perché captammo voci e reazioni di cosmonauti in volo che stavano concludendo tragicamente la missione, di cui non si è saputo più nulla. Per noi sono morti durante le missioni: il tutto venne tenuto nascosto. Noi abbiamo recuperato quelle voci e, sfruttando gli stessi principi tecnici della fisica, le abbiamo registrate e gelosamente custodite. Torino è la nostra città sin da quando, ragazzini siamo arrivati da Erba. E la città in cui è nato un po’ tutto, anche la radio». Nel 1959 – racconta a «La Stampa» – realizzano una televisione privata». Come mai le voci dallo spazio sono captate a Torino? «Il Piemonte è in una posizione favorevole sull’inclinazione orbitale delle navicelle russe, e non fu così complicato ricevere voci e segnali».
Nel 1969 Giovanni Battista Judica Cordiglia incontra la Sindone. Il tecnico torinese non è da confondere con il milanese Giovanni Judica Cordiglia, docente di Medicina Legale a Milano e noto sindonologo. Il 18-19 giugno 1969 viene effettuata una ricognizione della Sindone nella Cappella del Crocifisso di Palazzo Reale. Procedono gli esperti, tra i quali Giovanni Judica Cordiglia, della Commissione nominata il 25 marzo 1969 dal cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino. Pubblicheranno «Ricerche e studi» sul supplemento della «Rivista diocesana torinese del gennaio 1976 intitolato «La Santa Sindone». Le riprese fotografiche sono eseguite dal perito fotografo Giovanni Battista Judica Cordiglia assistito dal dott. Carlo Andrea Filipello.
Ne trae la relazione «Come si è proceduto alla ripresa fotografica della Sindone in occasione della ricognizione privata». È autore anche di «Una mappa come strumento di lavoro». Giovanni Battista parla di «particolare cura e precisione che abbiamo adottato nello svolgere il compito che ci fu affidato. Tutti gli accorgimenti che credevamo opportuni adottare e che la tecnica ci permetteva di impiegare, sono stati presi al fine di ottenere un buon risultato, sia per ottenere validi documenti di studio, sia per nostra personale soddisfazione. Cura particolare fu posta nel riprodurre con assoluta fedeltà ciò che il Telo riproduce, senza distorsioni, alterazioni o ritocchi che avrebbero potuto far apparire ciò che non esiste o anche più chiaramente ciò che s’intravede o appena si intuisce. Le lastre e le copie sono originali, senza manipolazioni». Su questa esperienza Giovanni Battista scrive numerosi articoli, specie sulla «Gazzetta del Popolo».